Brexit, la Ue compatta: i 27 approvano all’unanimità le linee per il negoziato

dal nostro corrispondente ALBERTO D’ARGENIO

BRUXELLES – Rapidi e uniti. Questo voleva il copione e così è stato: in meno di un minuto i capi di Stato e di governo dell’Unione, ovviamente senza Theresa May, hanno approvato le linee guida europee per il negoziato sulla Brexit. Volati a Bruxelles per un pranzo, i Ventisette restano compatti, senza spaccature. Una notizia tutt’altro che scontata dopo le costanti spaccature registrate negli ultimi anni sulla doppia faglia Nord-Sud ed Est-Ovest. “Le linee guida sono state approvate all’unanimità”, ha twittato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Ma i veri giochi per la separazione tra il Continente e Londra devono ancora iniziare.I negoziati partiranno solo dopo la formazione del nuovo governo britannico all’indomani del voto anticipato dell’8 giugno. Ma gli europei si portano avanti e fissano i loro principi negoziali. Prima si definiranno i termini del divorzio, solo dopo si parlerà dei futuri rapporti tra Unione e Regno Unito. Un vantaggio tattico per l’Unione, con la May che invece vorrebbe legare le due parti del negoziato per avvantaggiarsi verso gli ex partner. Per divorzio gli europei intendono: diritti dei cittadini comunitari residenti in Gran Bretagna (per Bruxelles dovranno avere la residenza a vita chi vive nel territorio di sua Maestà da almeno 5 anni), gestione dei confini e conto d’addio. Fin qui le stime prevedevano che gli impegni finanziari presi da Londra nei prossimi anni, e che per gli europei dovranno essere onorati anche dopo la Brexit, ammontassero a 60 miliardi (gli inglesi calcolano una parcella inferiore alla metà). Ma il conto potrebbe essere più salato e non a caso il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha sottolineato che quella circolata è solo “una stima prudenziale”.

Lo stesso Juncker ha poi ammonito Londra: “C’è la sensazione che qualcuno in Gran Bretagna si faccia delle illusioni, deve essere detto chiaramente che è tempo sprecato”. Parole non casuali visto che mercoledì scorso il lussemburghese è stato protagonista di una cena a Downing Street con la May che, stando a fonti diplomatiche europee, sarebbe andata maluccio: gli inglesi, questo il resoconto filtrato a Bruxelles, continuano a pensare di poter imporre le loro priorità nel negoziato, tanto sul conto finale del divorzio quanto sui tempi e i modi dei negoziati. Non si può dimenticare che per Londra fondamentale è l’accesso della City al mercato europeo, impossibile per i Ventisette se gli inglesi nel nome della hard Brexit usciranno dal mercato interno e dunque rifiuteranno di accettarne gli obblighi tra i quali la libertà di circolazione e stabilimento al suo interno. Insomma, per gli europei è ora che i britannici capiscano che il negoziato si svolge 27 contro 1 e che non possono pensare di condurlo a modo loro o di poter uscire dal club europeo conservando i benefici della membership.

I negoziati, che dovranno chiudersi entro due anni, avranno un ritmo forsennato. Sei riunioni a settimana, interminabili notti in bianco per tutto il circo europeo: funzionari, leader e stampa. L’obiettivo dei Ventisette è di chiudere la prima parte, quella sul divorzio, entro ottobre 2018. Sarà un’impresa viste le centinaia di settori da regolare – l’integrazione europea è ormai entrata in profondità nei nostri paesi – per sganciare il Regno Unito dall’Unione. Come testimonia il premier Paolo Gentiloni: “Ci sarà una complicazione tecnica-economica straordinaria”. Una volta raggiunto l’accordo si dovrà attendere il voto del Parlamento europeo entro marzo 2019, con Strasburgo che avrà l’ultima parola. Il presidente dell’assemblea, Antonio Tajani, ricorda che “senza un accordo sui cittadini residenti” dall’aula non arriverà alcun via libera.

Ma resta lo spettro di una rottura senza intesa: a quel punto sarebbe il caos e i futuri rapporti tra Ue e britannici sarebbero regolati dal Wto. Un incubo per entrambe le parti. A far sperare diversi osservatori è che il voto dell’8 giugno rinforzi la May permettendole poi di ammorbidire il suo approccio negoziale. D’altra parte gli interessi economici di Londra pressano per un buon accordo. Difficile invece sperare che sull’onda dei sondaggi britannici che tra i sudditi di sua Maestà danno i favorevoli al divorzio in calo, ci possa essere una clamorosa marcia indietro di Londra: “Mai dire mai nel lungo termine, magari nei prossimi 20 anni, ma è del tutto fuori dal realismo politico immaginare un ripensamento a breve”, l’analisi di Gentiloni.

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