Rivolta a Tripoli, Roma rimane isolata: Europa e Stati Uniti non prendono posizione

francesco grignetti
roma

Parola d’ordine, minimizzare: a Tripoli non è successo niente o forse appena un qualcosina. Fuori dall’ufficialità, invece, la preoccupazione è massima. Sembra essersi innescata una reazione a catena che potrebbe sfociare nel dramma. Il governo italiano esamina attentamente le dinamiche di Tripoli perché un po’ se l’aspettava: a riaprire l’ambasciata, in splendida solitudine, l’Italia ha deciso di esporsi. Mostrare il tricolore, in certi contesti, produce un effetto immediato. Il discorso del ministro Marco Minniti in conferenza stampa, poi, doverosamente amplificato dai media libici, ha fatto il resto. Il messaggio è stato univoco: Roma continua a credere nella scommessa di Al Sarraj. Il guaio è che siamo rimasti soli. E le notizie che filtrano dalla Libia profonda fanno temere il peggio.

 

Il primo a troncare e sopire è il neoambasciatore Giuseppe Perrone: «Non mi risulta – diceva ieri – alcun golpe in atto. Le sedi istituzionali nelle quali opera il governo di accordo nazionale sotto la guida di Sarraj continuano a lavorare». Frase anodina. Dato che il governo legittimo non è mai riuscito a controllare i tre ministeri contesi, formalmente non ha perduto nulla. Ma è una magra consolazione. È la certificazione, anzi, che la scommessa di Al Sarraj arranca e rischia di finire nel sangue di uno scontro tra clan.

 

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Questo arrancare preoccupa il nostro Esecutivo perchè siamo noi italiani i più interessati a una Libia stabilizzata. L’alternativa è un Paese in preda a convulsioni, caos, humus fertile per criminali e jihadisti. Eppure, ieri, quando si sono sparse le prime voci di disordini e forse di un golpe in atto, l’Italia ha provato a chiamare gli alleati per concordare una solenne dichiarazione congiunta della comunità internazionale a favore di Al Sarraj che lo facesse sentire meno solo. Le risposte che abbiamo ricevuto ci hanno gelato. Dagli Stati Uniti, considerando il momento di transizione, ci si attendeva poco. È arrivato di peggio. «I circoli che attorniano Trump – dice una fonte – ci informano che alla nuova Amministrazione non interessa nulla della Libia e che è un problema degli europei. Ossia, a dirla tutta, un problema italiano».

 

Da Francia Germania e Gran Bretagna pare che sia venuto uguale gelido distacco. Bilanciato invece da un grande interesse, che forse è la novità che ci spaventa di più, della Russia. Putin osserva il caos libico e sta valutando come trarne profitto. Agli occhi dei potentati arabi, peraltro, le maniere brutali dimostrate dai russi in Siria sono piaciute moltissimo.

 

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Alla fine, la dichiarazione congiunta non è arrivata. E l’Italia, con Gentiloni immobilizzato in ospedale, s’è resa conto che è rimasta da sola a spendersi per quel premier che era stato messo lì dalle Nazioni Unite. Ci stiamo provando. C’è un nostro ospedale militare a Misurata (l’ottima missione Ippocrate, che però è tenuta semisegreta dalla Difesa), è stata riaperta l’ambasciata a Tripoli, Minniti è volato a Tripoli per impostare un nuovo accordo sull’immigrazione clandestina e su tutti i traffici illegali che giusto ieri Angelino Alfano ha illustrato al commissario europeo per le Migrazioni, Dimitris Avramopoulos. Ma finora, tolta Malta, nessuno ha detto una parola a favore.

 

Si spiegano così anche le uscite contro l’Italia da parte degli antagonisti di questo governo. L’ex premier Ghwell s’è scagliato qualche giorno fa contro l’ospedale militare italiano paragonandolo a una spedizione coloniale. Il generale Haftar ha fatto criticare la missione di Minniti sostenendo che in questo modo ha deciso di parteggiare. Per dirla con le parole di Ashraf Tulty, portavoce di Al Sarraj, «stanno cercando di seminare il caos». Sembra vicina una prova di forza su chi conta per davvero.

LA STAMPA

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