Archive for Gennaio, 2023

Il centrodestra non si ferma: cresce ancora e sfonda il 46%

martedì, Gennaio 31st, 2023

Luca Sablone

Gli italiani continuano a fidarsi del centrodestra. Anzi, con il passare delle settimane incrementa progressivamente la quota di nuovi elettori che premiano i partiti che attualmente fanno parte della maggioranza. Dall’ultimo sondaggio di Swg per La7 emerge una situazione chiarissima: la coalizione che ha vinto le ultime elezioni non si ferma e sfonda il 46% nelle intenzioni di voto, allungando così il vantaggio rispetto a un centrosinistra che prova a rialzare la testa senza però chissà quali risultati.

Lega e Forza Italia in crescita

La rilevazione non fa segnare particolari novità nello scenario politico del nostro Paese. Saldamente al primo posto resta Fratelli d’Italia che – nonostante un calo dello 0,4% dalla scorsa settimana – si mantiene sull’ottimo livello del 30,4%. Dello 0,4% invece sale il Movimento 5 Stelle che così arriva al 17,8%. Lievissima ripresa per il Partito democratico, che ottiene un +0,2% grazie a cui arriva al 14,2%. Un numero che ovviamente è la rappresentazione di un momento estremamente negativo.

Arrivano buone notizie per la Lega: il Carroccio cresce dello 0,5% e balza al 9%. Ormai è staccato l’asse tra Azione e Italia Viva: il Terzo Polo risulta essere invariato all’8,2%. Prosegue il momento positivo per Forza Italia, che incassa lo 0,2% e si porta al 6,8%. Tra i partiti con minori preferenze rientrano Verdi-Sinistra italiana al 3,6% (-0,2%), +Europa di Emma Bonino al 3,2% (+0,1%), Per l’Italia con Gianluigi Paragone al 2% (-0,3%) e Unione Popolare di Luigi de Magistris al 2% (+0,2%). Le altre liste hanno un peso del 2,8%, in netto calo dello 0,7%. La quota di chi non si esprime ammonta al 37% (+1%).

Il centrodestra supera il 46%

Il sondaggio di Swg fotografa il periodo di forma che sta attraversando il centrodestra, che può vantare un ottimo bottino di intenzioni di voto a proprio vantaggio. Infatti la coalizione formata da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia conta sul 46,2%: un dato più che buono, visto che rispetto a sette giorni fa si registra un aumento dello 0,3%.Così in 100 giorni il governo Meloni ha messo a tacere le ‘vedove’ di Draghi

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Morti Covid, i pm puntano su Conte

martedì, Gennaio 31st, 2023

Felice Manti

«Epidemia colposa per reato omissivo improprio». Sarebbe questa l’ipotesi attorno a cui ruoterebbe l’inchiesta della Procura di Bergamo sulla mancata chiusura della zona rossa in Valseriana e il mancato aggiornamento del piano pandemico, «eclatante e di forte impatto». Ad anticipare la chiusura delle indagini che rischiano di inguaiare in primis l’ex premier Giuseppe Conte e l’esecutivo Pd-M5s da lui guidato è stato direttamente il procuratore capo di Bergamo Antonio Chiappani, l’altro giorno, parlando all’inaugurazione dell’anno giudiziario di «gravi omissioni da parte delle autorità sanitarie, nella valutazione dei rischi epidemici e nella gestione della prima fase della pandemia», quando la mortalità nella Bergamasca raddoppiò (da tremila a oltre seimila), con un nesso eziologico causa-effetto suffragato dalla perizia di Andrea Crisanti – oggi senatore Pd – firmata anche da Daniele Donato ed Ernesto D’Aloja. In Procura bocce cucitissime, in ossequio alle rigide limitazioni della riforma Cartabia, ma secondo quanto trapelato gli indagati sarebbero una ventina, con responsabilità proporzionate al loro «peso» nella catena di comando.

LE PROVE

Quale sarebbe il ragionamento della Procura? Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Può reggere? Secondo la Cassazione no, perché lo ritiene un reato integrabile solo mediante «condotta attiva». «Ma è una lacuna difficilmente giustificabile e tollerabile – spiega un esperto – la diffusione di germi patogeni può avvenire non solo mediante l’azione (per esempio, il contagio da tatto) ma anche mediante un’omissione, per esempio l’aver trascurato di asportare del materiale infetto con il quale terzi hanno poi avuto contatto». Vedremo. L’ipotesi della Procura peraltro si baserebbe non solo sulla «compendiosa» informativa della polizia giudiziaria curata dalla Guardia di Finanza ma anche su una serie di documenti interni a Palazzo Chigi, ministero della Salute e Cts, alle chat e agli sms che si sono vorticosamente scambiati nella prima fase della pandemia membri dell’esecutivo e dirigenti del ministero della Sanità e soprattutto sulla relazione di Crisanti, che cristallizza l’omissione. «È come se un padre non mettesse la cintura di sicurezza al figlio che poi muore in un incidente perché il seggiolino non è assicurato al sedile», è la sintesi del ragionamento. Tanto che l’architrave delle indagini è stato il report dell’ex Oms Francesco Zambon, sparito e fatto ritrovare dall’allora consulente dei legali delle vittime della Bergamasca Robert Lingard, che assieme alle false autovalutazioni inviate all’Oms inchioderebbero Conte e Speranza, con la Ue che ci considera il cluster d’Europa.

LA MINACCIA DIMENTICATA

Va ricordato anche che secondo un recente rapporto Ue, il Covid-19 è una cosiddetta minaccia Cbrn (chimico-batteriologica-radiologica-nucleare) e che dal 2017 esiste un piano d’azione della Commissione Ue che richiede espressamente esercizi di simulazione, seminari sul regolamento sanitario internazionale e best practises sullo screening in entrata e in uscita dai confini. Che noi invece abbiamo compromesso, aprendo al raddoppio dei voli dalla Cina, cui abbiamo regalato preziose mascherine che si sarebbero servite. Eppure Speranza, lo ammette a pagina 28 del suo libro Perché guariremo (sparito dagli scaffali…), sapeva di focolai di una strana polmonite ben prima del 31 dicembre 2019. «Era tutto il mese che si rincorrevano le voci (…) il 7 novembre avevo ospitato a Roma il ministro della Salute del governo cinese, Ma Xiaowei (…) non mi era sembrato che nutrisse particolari preoccupazioni sul suo Paese». Ma per quale ragione avrebbe dovuto esserlo?

SICUREZZA TRADITA

La pandemia costituisce una minaccia per la sicurezza dello Stato? Sì. Che la responsabilità del mancato aggiornamento del piano pandemico e della mancata chiusura della Valseriana siano in capo a Palazzo Chigi lo dimostrerebbe il dietrofront sull’esercito tra Nembro e Alzano Lombardo. Il 4 marzo 2020 i militari – che agivano in qualità di «agente di pubblica sicurezza» – arrivano e se ne vanno. Chi non firmò? Conte. Perché? Sul pasticcio c’è il segreto di Stato per ragioni di «ordine pubblico, sicurezza nazionale, Difesa e questioni militari». La mancata competenza del Pirellone sul tema è confermata indirettamente dai legali di Generali e UnipolSai, secondo cui la polizza di Regione Lombardia non copre le attività svolte dal governatore «in rappresentanza del governo»

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Sanremo 2023, dai cantanti in gara ai duetti: tutto quello che c’è da sapere

martedì, Gennaio 31st, 2023

L’edizione numero 73 di Sanremo si svolge da martedì 7 a sabato 11 febbraio. Per cinque serate il teatro Ariston diventa il palco della gara canora più seguita d’Italia. Uno show fatto di musica, ma anche di grandi ospiti, sketch e monologhi.

Chi conduce
Ad affiancare il direttore artistico, che nelle scelte dei co-conduttori non ha mai sbagliato, quest’anno c’è Gianni Morandi (che l’anno scorso si è piazzato terzo tra i big). Ma i due non sono soli. Con loro ci sono anche delle compagne di avventura, che si alterneranno durante le varie serate. La più attesa è certamente Chiara Ferragni, imprenditrice, influencer, moglie e mamma. Amadeus le faceva il filo da anni e finalmente lei ha detto sì. La prima sera e la finalissima farà impazzire tutti con i suoi look, targati Dior e Schiaparelli. Nella seconda serata, invece, tocca a Francesca Fagnani, giornalista e conduttrice del programma di Raidue Belve. Giovedì e venerdì è la volta della pallavolista italiana Paola Egonu e dell’attrice Chiara Francini.

-Il cast delle co-conduttrici e la parità di genere

Gli ospiti
Dopo tre anni di assenza tornano le star internazionali. Martedì a scaldare la sala ci penseranno i Black Eyed Peas, vincitori di ben sei Grammy Awards. Trentacinque milioni di album venduti e 120 milioni di singoli per un gruppo che – come ha sottolineato Ama – è davvero «un grande nome». Ma a proposito di grandi ritorni, il 9 febbraio rivedremo al Festival i Måneskin (che ormai sono di casa). Dopo aver aperto l’edizione dello scorso anno Damiano e compagni sono stati rinvitati dal padrone di casa perché «quando ci sono loro Sanremo ha una marcia in più». A dare il via allo show, nella serata d’apertura come di consueto, vedremo i vincitori dello scorso anno, ovvero Mahmood e Blanco, che canteranno Brividi, uno dei brani più venduti e ascoltati dell’anno. Ma Sanremone 2023 è più che mai il Festival delle reunion. E la prima sera si partirà con i Pooh. Sul palco sarà presente anche Riccardo Fogli, per una performance che, come hanno spiegato gli stessi Roby Facchinetti, Dodi Battaglia e Red Canzian, proporrà le hit della band e sarà anche «un omaggio a Stefano» D’Orazio, scomparso nel novembre 2020. L’8 assisteremo a quello che Ama ha definito «un grande evento, mai accaduto prima». All’Ariston come ospiti ci saranno Al Bano e Massimo Ranieri. E i due, saranno protagonisti di un momento musicale a tre con Gianni Morandi.

Sulla Costa Concordia, ancorata al largo di Sanremo, si esibiranno invece Salmo, Fedez, Takagi & Ketra e Guè. In piazza Colombo, un altro palco collaterale creato da Amadeus, ci saranno Piero Pelù, La Rappresentante di Lista, Annalisa, Achille Lauro e l’inedita coppia formata da Nek e Francesco Renga.

– Le pagelle delle canzoni dopo il primo ascolto

I cantanti in gara
I cantanti in gara sono 28, sei dei quali – Sethu, Will, Olly, Shari, Colla Zio, gIANMARIA – arrivano da Sanremo Giovani. Nel cast ci sono grandi ritorni, come Giorgia, Mengoni, Ultimo. Ma anche tante novità, come Mara Sattei, Ariete, Mr.Rain e Rosa Chemical. Di tutto un po’, come è sempre stato nei Festival targati Amadeus, tra vecchie glorie e nuove leve: Articolo 31, Elodie, Colapesce e Dimartino, Modà, Leo Gassman, I cugini di campagna, Anna Oxa, Lazza, Tananai, Paola e Chiara, LDA, Madame, Gianluca Grignani, Coma Cose e Levante.

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Conte e Salvini, i desaparecidos della pace

martedì, Gennaio 31st, 2023

Alessandro De Angelis

Se non ci fosse il Sanremo della politica – Zelensky sì, Zelensky no – che ha rimescolato gli schieramenti catodici, forse la notizia sarebbe uno dei più grandi rivolgimenti politici degli ultimi tempi: l’appannamento del “populismo pacifista” o, se preferite, del “pacifismo populista”. Paradosso che, forse, ne disvela tutta la carica di strumentalità.

C’era una volta, con Mario Draghi a palazzo Chigi, Matteo Salvini, che, un giorno sì e l’altro pure, chiedeva lo stop all’invio delle armi: talvolta, in versione francescana, ricorrendo alla retorica della preghiera, altre volte, in versione “aspirante Cassandra” evocando sciagure economiche e perdita di posti di lavoro, altre offrendo, con la collaborazione dell’ambasciatore Razov la sua expertise filo-russa per volare a Mosca nei panni del diplomatico. E c’era una volta Giuseppe Conte che contestava quell’aumento delle spese militari da lui sottoscritto, che chiedeva, anche lui un giorno sì e l’altro pure, un dibattito in Parlamento sulla guerra, per poi scegliere questo terreno, quando nei sondaggi andava di moda, come il principale per logorare il governo e rompere con il Pd.

Fine dell’amarcord, inizio del paradosso: nel momento in cui è in atto un oggettivo salto di qualità del conflitto con annesso rischio di un suo allargamento, e una importante assunzione di responsabilità anche dell’Italia (come invio di strumenti di difesa e aumento della spesa) Matteo Salvini e Giuseppe Conte sembrano desaparecidi, in materia di pacifismo. Poche dichiarazioni di circostanza sulla necessità di “una iniziativa diplomatica” che non c’è stata fino a qui, figuriamoci ora; poche interviste sul tema, ben al di sotto dei loro standard; lo spin orientato su altro (il primo su strade, Gronda e Ponte sullo Stretto teso ad accreditarsi come “uomo del fare”, il secondo più sul sociale, teso a intercettare il malessere degli ultimi). Conoscendo il potere di fuoco delle rispettive “bestie”, questa distrazione non è casuale. L’uno (Salvini) ha scelto di non suonare il controcanto al premier per ora, perché non ne ha la forza e perché non è il momento: meglio aspettare che si logori un po’ sperando di arrivarci meno ammaccato possibile. E poi sa che attaccare sul vincolo esterno, come faceva con Draghi, significa indebolire il governo nelle sue fondamenta e non può permetterselo. L’altro (Conte), a proposito di paradossi, ha votato contro l’invio di armi in Parlamento, ma è sembrato un atto dovuto, privo di drammatizzazione.

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Inflazione, mutui, tasse: per le famiglie italiane è allarme debiti

martedì, Gennaio 31st, 2023

Fabrizio Goria

Il rischio è il collasso delle famiglie. Il debito privato, ancora prima che quello pubblico, preoccupa il Fondo monetario internazionale (Fmi). Specie in Italia, fa notare l’ultimo aggiornamento del World economic outlook (Weo). La recessione sarà meno severa, l’inflazione no. Il Fmi avverte che si deve tenere la barra dritta sui conti. Tuttavia, il crescente costo della vita riduce i redditi ed erode i risparmi. Con la conseguenza che a essere intaccata, secondo l’istituzione di Washington, è la ricchezza privata. Cioè uno dei capisaldi dell’economia del nostro Paese. Misure ad hoc per le fasce più fragili sono richieste, dice il Fmi, «a patto che siano mirate e temporanee».

Pandemia, guerra in Ucraina, strozzature nelle filiere produttive e crisi energetica rischiano di intrappolare l’Italia in una spirale fatta di riduzione del potere d’acquisto, alto debito e bassa crescita. Lo scenario tratteggiato dal Fmi è costituito di buone notizie sul fronte della recessione. Se in ottobre era quasi scontata, ora non lo è più. Le stime del Pil sono state innalzate di 8 decimali per il 2023, ma sono state ridotte dello 0,4% per il 2024. Tradotto: stagnazione. Sul fronte globale, il Pil calerà dal 3,4% del 2022 al 2,9% del 2023. Per l’Italia si prevede una crescita dello 0,6% in quest’anno e dello 0,9% nel prossimo. In uno scenario del genere le famiglie, così come le imprese, avranno extra costi che intaccheranno i risparmi privati. Secondo Banca d’Italia la quota di debito delle famiglie italiane ha superato quota 1.000 miliardi di euro, quasi 4 punti in più sull’anno precedente. Ed è solo l’inizio.

Per Roma la doccia gelata, secondo il Fmi, riguarda l’inflazione. A livello globale sarà al 6,6% nel 2023, al 4,3% nel 2024. Due revisioni al rialzo, rispettivamente da un decimale e da due, che preoccupano chi deve quadrare i bilanci ogni giorno. «La guerra della Russia in Ucraina potrebbe intensificarsi, e le condizioni finanziarie globali più rigide potrebbero peggiorare il fronte di stress debitorio», scrivono gli economisti di Washington. Rilevante attenzione è riservata ai Paesi con una storia di elevato debito pubblico ed espansione economica ingessata. Con «una politica monetaria più restrittiva e una crescita inferiore che potrebbero incidere sulla stabilità finanziaria e del debito», bisogna «aumentare il monitoraggio» sulle situazioni di pericolo. Parole che, come spiegano fonti interne del Fmi, riguardano due Paesi nello specifico in Europa: Italia e Francia.

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Il dovere di uno Stato

martedì, Gennaio 31st, 2023

MASSIMO GIANNINI

Di fronte all’offensiva violenta degli anarchici, agli attacchi alle ambasciate e alle molotov contro i commissariati di Polizia, fa benissimo il governo a ribadire che lo Stato non scende a patti con chi minaccia le istituzioni. Fissato questo principio, irrinunciabile per una democrazia, va detto però che sulla delicata vicenda di Alfredo Cospito c’è solo una cosa che lo Stato, nelle sue più diverse articolazioni, non deve fare: lavarsene le mani.

L’uomo non ha ucciso nessuno, ma ha commesso reati gravi, per i quali sta scontando la pena dell’ergastolo ostativo, in regime di 41 bis. Contesta il regime di “carcere duro” che gli è stato assegnato, e per questo sta facendo uno sciopero della fame da 103 giorni. Non è Gesù, al contrario.

Ma a prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza e sull’asprezza della pena che gli è stata inflitta, quando ci sono di mezzo il Diritto e i diritti, chi li amministra non può fare il Ponzio Pilato. E invece è quello che sta succedendo.

Fa Ponzio Pilato la Corte di Cassazione, che giovedì scorso, con un’inaccettabile scusa burocratica, ha rinviato di un mese la decisione sulla legittimità del 41 bis per Cospito e quella sulla costituzionalità o meno dell’ergastolo ostativo, dopo la pseudo-riforma approvata dal Parlamento.

Fa Ponzio Pilato l’Amministrazione penitenziaria, che considerate le condizioni di salute potrebbe disporre il trasferimento di Cospito in una struttura carceraria adatta ad assicurare le cure necessarie. Fanno Ponzio Pilato la Procura di Torino e la Procura Nazionale Antimafia che, potrebbero addirittura emettere un parere favorevole alla sospensione del 41 bis, se ci fosse tuttavia un input del ministro della Giustizia.

E sta facendo Ponzio Pilato proprio il Guardasigilli, al quale l’avvocato di Cospito ha inviato un’istanza di revoca del carcere duro, citando una sentenza definitiva nella quale si sancisce che quell’uomo non ha più alcun contatto con il Fai, cioè l’organizzazione anarchica che si prefiggeva di sovvertire la Repubblica (era proprio su questo presupposto che fu deciso di assegnarlo al 41 bis).

Carlo Nordio, in presenza di questo “fatto nuovo”, potrebbe disporre la revisione del regime carcerario di Cospito. Dice di avere il dossier sul tavolo da mesi, ma non fa niente. Così, in questo accidioso e pericoloso “non fare”, il detenuto rischia di morire.

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Maria Mesi, l’amante di Messina Denaro, indagata per favoreggiamento: gli intrecci e le lettere d’amore

martedì, Gennaio 31st, 2023

di Lara Sirignano

Sequestrati pc e telefoni dell’ex fidanzata nella casa di Aspra, Bagheria. Accusato di favoreggiamento ii fratello del superboss di Cosa Nostra. Le lettere d’amore di mafia e la vicinanza a Filippo Guttadauro

Maria Mesi, l’amante di Messina Denaro, indagata per favoreggiamento: gli intrecci e le lettere d’amore
Maria Mesi, amante di Messina Denaro, in una foto di qualche tempo fa

Nomi noti e antiche relazioni evidentemente mai interrotte: nell’indagine sulla latitanza di Matteo Messina Denaro tornano i protagonisti di un passato lontano. Come Maria Mesi, 54 anni, fidanzata del capomafia più di 20 anni fa, e suo fratello Francesco. Entrambi già condannati per favoreggiamento.

Al setaccio anche la casa di campagna della famiglia Mesi

Il Ros si è presentato ieri a casa loro. Una palazzina gialla in via Milwaukee, ad Aspra, frazione marinara di Bagheria, a pochi metri dall’alcova in cui la donna, negli anni 90, incontrava il padrino di Castelvetrano, allora già ricercato. Gli inquirenti sospettano che i fiancheggiatori di un tempo abbiano continuato ad avere legami con il boss e un ruolo recente nella sua latitanza. Per questo i militari dell’Arma, che hanno passato al setaccio anche una casa di campagna dei Mesi e la torrefazione di famiglia Agorà, hanno sequestrato telefonini e pc che verranno esaminati nei prossimi giorni. Maria e Francesco sono di nuovo indagati per favoreggiamento.

Il pizzino di Matteo a Provenzano e il foulard di Hermes

Corsi e ricorsi che non sorprendono i magistrati. In un pizzino scritto al boss Bernardo Provenzano nel ‘94 Messina Denaro illustrava, infatti, la sua «filosofia». «A Marsala — diceva — hanno arrestato i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi, quando avranno finito con le persone arresteranno pure le sedie. Quindi dobbiamo aspettare quelli che hanno le cose più leggere», cioè la scarcerazione degli «amici» condannati a pene minori. Come la Mesi che per aver coperto il padrino ebbe solo 2 anni perché in Cassazione cadde l’aggravante mafiosa. Seguendo le tracce della love story, gli investigatori arrivarono a un soffio dal capomafia. Grazie ai collaboratori di giustizia il pm dell’epoca, Roberto Piscitello, scoprì la casa in cui i fidanzati si incontravano. Venne perquisita: il covo era ancora «caldo». Furono trovati cibo, un foulard Hermes appartenuto al latitante, una consolle Nintendo. Fuori fu piazzata una telecamera: per un mese si aspettò che Messina Denaro tornasse dall’amante. Ma qualcosa andò storto. Una fuga di notizie, probabilmente. E il padrino restò invisibile. A giugno del 2000 Maria venne arrestata.

Lettere appassionate d’anore e di mafia

Anni dopo furono trovate alcune appassionate lettere che la donna aveva scritto al fidanzato. Un legame d’amore e di mafia il loro: la Mesi, infatti, era molto vicina ai fedelissimi del boss come Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro, e suo fratello Carlo, titolare della Sud Pesca, l’impresa presso la quale la donna lavorava. Secondo gli inquirenti, la società, nel tempo, avrebbe dato impiego a diversi favoreggiatori del capomafia: uno per tutti Matteo Cracolici, un narcotrafficante condannato per aver prestato al padrino l’identità.

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La Chiesa che sta perdendo l’Europa

martedì, Gennaio 31st, 2023

di Ernesto Galli della Loggia

Qui e non altrove sono le radici della Chiesa e della sua identità, non a caso la crisi attuale si manifesta innanzi tutto nel centro stesso della Chiesa rappresentato dalla Santa Sede e dal Vaticano

P uò il Cristianesimo perdere l’Europa senza combattere? Può accettare come fosse una cosa ininfluente per la propria identità che l’Europa estrometta dal proprio orizzonte quella fede facendone un semplice residuo archeologico, così come sta avvenendo? E può accettarlo innanzi tutto la Chiesa cattolica, la quale nel nostro continente è stata del Cristianesimo la manifestazione prima e resta indubbiamente la più rilevante?

In realtà è dalla fine della Seconda guerra mondiale che la Chiesa ha cessato di considerare l’Europa stessa un centro della storia mondiale e quindi della sua propria storia. La guerra sembrò la sconfitta definitiva del vecchio Continente, ormai ridotto a un condominio Usa-Urss, cioè di due Paesi estranei se non nemici di Roma. Anche il fatto che per la prima volta dei partiti cattolici fossero al governo in Germania, in Austria e in Italia si rivelò rapidamente non tanto la premessa per la nascita di quella «società cristiana» vagheggiata da Maritain bensì solo l’inizio di una rapida ricostruzione di segno capitalistico-americano all’insegna del consumismo e dell’individualismo. A radicare questa immagine dell’Europa come un’entità politica ormai fuori gioco, e per giunta moralmente macchiata dalle responsabilità nell’Olocausto, si aggiunse infine negli anni Cinquanta del Novecento una serie di fatti.

Innanzitutto la crescente importanza sulla scena mondiale degli Stati africani e asiatici neo-indipendenti, tutti invariabilmente di orientamento socialista, poi l’ascesa ideologica del terzomondismo, il rafforzamento e la stabilizzazione dell’egemonia mondiale russo-americana apparentemente definitiva e orientata ormai alla coesistenza; da ultimo il proliferare delle più varie organizzazioni multilaterali in genere sotto l’egida ancora prestigiosa delle Nazioni Unite.

La parte migliore del cattolicesimo e la Chiesa si fecero conquistare da questo scenario che così divenne la tacita ma decisiva premessa culturale e politica della svolta conciliare (1962-64). Una svolta non a caso caratterizzata sia da un’attesa piena di ottimismo per le sorti delle società umane, giudicate ormai sulla via di una sostanziale unità d’intenti all’insegna della cooperazione, sia da una fiducia nel progresso economico e nella basilare bontà delle conquiste della scienza, nonché dalla sicura speranza che i diritti umani e il consenso dei governati fossero ormai sul punto di divenire la dimensione obbligatoria di qualsiasi regime politico.

È evidente che in questa prospettiva fortemente universalistica qualsiasi significato specifico dell’Europa era destinato a svanire. Tutto quanto contava si giocava al di fuori di essa, a cominciare dalle sorti del Cristianesimo. L’Europa aveva in sostanza un carattere residuale e naturalmente la sua rapidissima decristianizzazione non poteva che confermare una tale analisi. In questa prospettiva il pontificato di Karol Wojtyła, il suo strenuo impegno in chiave ultraeuropea contro il totalitarismo sovietico, rappresentò non più che una parentesi: lunga, ma solo una parentesi. Così come non era destinato a lasciare un segno decisivo il papato di Ratzinger. Pur convinto — nell’assunzione stessa del nome di Benedetto — della centralità storica e teologica dell’Europa, egli non riuscì tuttavia a tradurre tale consapevolezza in una capacità di direzione in grado di spostare realmente il mainstream dell’opinione cattolica ed ecclesiastica. In particolare non riuscì a dar vita a quella pastorale nuova e alta, insieme duttile e drammatica, di cui la rievangelizzazione del continente pur da lui immaginata avrebbe avuto bisogno. Dopo Benedetto la Chiesa ha invece proseguito sulla via aperta dal Concilio, e anzi con Francesco è venuta accentuandola: nel senso di una predicazione sempre più mirata in generale contro la disuguaglianza e l’oppressione, a favore della pace senza se e senza ma. Ma il tutto perlopiù declinato in una dimensione planetaria intrisa di diffidenza se non peggio per qualunque cosa o potere sapesse di Occidente, e dunque di Europa, e viceversa assai indulgente per qualunque cosa non avesse quell’origine (ad esempio la Cina).

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Il libro nero «inquietante» di Paratici e le motivazioni contro la Juventus: come si difende il club e cosa succede ora

martedì, Gennaio 31st, 2023

di Monica Colombo e Massimiliano Nerozzi

Il documento di 36 pagine della Corte d’Appello federale: «Illecito grave, ripetuto e prolungato; bilanci non attendibili; alterazione del risultato sportivo». La replica della società: «Evidente illogicità e infondatezza»

 Il libro nero «inquietante» di Paratici e le motivazioni contro la Juventus: come si difende il club e cosa succede ora

Le parole fanno quasi più impressione del numero — il meno 15 di penalizzazione — a leggere le 36 pagine della motivazione della corte d’Appello federale contro la Juve e i suoi (11) dirigenti: illecito grave, ripetuto e prolungato; bilanci non attendibili; alterazione del risultato sportivo. Per rendere l’idea — secondo i giudici — bastano due passi: il «Libro nero di FP» (Fabio Paratici) è «inquietante» e la «mancata presa di distanze da esso della Juve, a prescindere da ogni ulteriore rilevanza, ha una portata devastante sul piano della lealtà sportiva». L’altro, di una riga: i bilanci «semplicemente non sono attendibili».

La difesa del club bianconero

Parole e motivazione non convincono invece il club bianconero che, in serata, ha fatto sapere in un comunicato la propria idea sulla sentenza: «Si tratta di un documento, prevedibile nei contenuti, alla luce della pesante decisione, ma viziato da evidente illogicità, carenze motivazionali e infondatezza in punto di diritto, cui la società e i singoli si opporranno con ricorso al Collegio di Garanzia presso il Coni, nei termini previsti». E ancora: «La fondatezza delle ragioni della Juventus sarà fatta valere con fermezza, pur nel rispetto dovuto alle istituzioni che lo hanno emesso». Tante cose non vanno giù alla società e ai dirigenti ed ex finiti nel mirino, a partire da questioni che dal diritto sconfinano nel buon senso, guardando con occhi difensivi: non esiste una norma dell’ordinamento che proibisca le plusvalenze o che ne disciplini l’utilizzo. Per non parlare — sempre secondo la tesi bianconera — della violazione delle garanzie per la difesa. Di fronte a un processo sportivo per il quale — ancora una volta, e ovviamente — i giudici spiegano la specificità: «la diversità e l’autonomia» dell’ordinamento sportivo giustificano il discostamento anche da principi costituzionali afferenti al giusto processo. Per lo meno discutibile, secondo diversi giuristi e avvocati.

Bilanci non attendibili

Non c’era e non c’è invece alcun dubbio per la corte, presieduta da Mario Luigi Torsello: nel provvedimento si spiega perché il processo sulle plusvalenze sia stato riaperto — dopo le sentenze di assoluzione della primavera scorsa — accogliendo la tesi della Procura federale; e perché la pena richiesta da Giuseppe Chiné (meno 9 in classifica) sia stata addirittura inasprita. «È indiscutibile che il quadro fattuale determinato dalla documentazione trasmessa dalla Procura di Torino alla Procura federale non era conosciuto al momento della decisione revocata e, ove conosciuto, avrebbe determinato per certo una diversa decisione» viene spiegato nel documento. «E si tratta di un quadro fattuale sostenuto da una impressionante mole di documentazione probatoria». La conclusione a cui giunge la corte è lapidaria, appunto. «I bilanci della Juventus non sono attendibili».

Illecito disciplinare

La violazione, a cui Torsello più volte fa riferimento, è quella della lealtà, citata nell’articolo 4 del codice di giustizia sportiva. «La Juve ha commesso un illecito disciplinare sportivo, tenuto conto della gravità e della natura ripetuta e prolungata della violazione». In generale viene rappresentato un sistema definito «fraudolento». Nelle motivazioni emerge come tutta la catena di comando della società bianconera — dall’allora ds Fabio Paratici al suo braccio destro Cherubini passando per il presidente Andrea Agnelli e l’ad Maurizio Arrivabene — avesse «consapevolezza della artificiosità del modus operandi della società stessa. Tutti erano direttamente o indirettamente coscienti di una situazione fuori controllo». L’altra norma non rispettata e più volte citata è infatti l’articolo 31, che riguarda gli illeciti amministrativi. Si cita infatti «l’esistenza di un sistema collaudato della Juventus di scambi incrociati di calciatori con altre società sportive, finalizzati alla realizzazione di plusvalenze artificiali».

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Cospito resta al 41 bis, la linea del governo: «Pensano di aiutarlo con le minacce, ma così gli fanno un danno»

martedì, Gennaio 31st, 2023

di Virginia Piccolillo

Misure ritenute necessarie per l’alto livello dello scontro. Si teme una possibile «saldatura» tra diversi gruppi antagonisti

 Cospito resta al 41 bis, la linea del governo: «Pensano di aiutarlo con le minacce, ma così gli fanno un danno»

Al termine di un’altra giornata scandita da proteste degli anarchici, il governo non cambia la linea: non si cede al ricatto delle violenze e delle minacce. E in un Consiglio dei ministri lampo, la premier Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e quello degli Esteri, Antonio Tajani, hanno deciso, «compatti», di non lasciarsi condizionare.

Né auto incendiate, né proiettili in busta, né altro, potranno alleggerire il destino carcerario di Alfredo Cospito. L’anarchico è da 103 giorni in sciopero della fame contro il regime di carcere duro ricevuto dopo la condanna per strage per due ordigni fatti esplodere di fronte alla Scuola allievi Carabinieri che — solo per caso, secondo i giudici — non hanno ucciso nessuno. Più salirà di livello lo scontro, filtra da Palazzo Chigi, e più si dimostreranno le condizioni che giustificano il 41 bis: mirato a evitare i contatti tra un esponente di punta e la sua organizzazione, sia una cosca mafiosa o una galassia dedita alla violenza.

Cospito ha ottenuto solo il trasferimento, ma resta al 41 bis. Se ieri dal carcere di Sassari è stato portato a Milano Opera è solo in base a una indicazione sanitaria della Asl, che suggeriva il trasferimento in una struttura completa di centro clinico attrezzato per le emergenze. Un suggerimento, si specificava però, solo a «scopo preventivo». Nessun peggioramento pericoloso certificato.

Una versione diversa da quella della difesa di Cospito che parla di aggravamento delle condizioni di salute del detenuto, alle quali il ministro Nordio ha assicurato «massima attenzione». Specificando, come scritto in una nota di via Arenula, che per lui «la tutela della salute di ogni detenuto costituisce un’assoluta priorità». Dove quell’«ogni» faceva capire che nessun trattamento di favore sarà adottato per Cospito.


Una linea di rigore ed equità necessaria anche a tutela del regime del 41 bis. Qualsiasi deroga potrebbe aprire un varco nelle maglie di una norma, il 41 bis, auspicata per le cosche da Giovanni Falcone, varata dopo la sua morte, cambiata negli anni e ora divenuta il pilastro tecnico sul quale poggia l’ergastolo ostativo. Perché nella nuova formulazione si dice che l’esenzione dal carcere ostativo, prevista per tutti i detenuti, non si applica a quelli al regime di 41 bis. Senza carcere duro rischia di cadere anche l’ergastolo ostativo per boss e terroristi, qualora emulassero Cospito.

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