Archive for Novembre, 2022

Migranti a Catania, tensione dopo i primi sbarchi dalla Humanity. Soumahoro a bordo della nave: “Resisteremo”. Pd: “Scelte governo illegittime, Piantedosi riferisca in aula”

domenica, Novembre 6th, 2022

La nave Humanity1 è ancora ferma al porto di Catania. Al momento sono stati fatti sbarcare 149 migranti; tra loro alcuni minorenni, e un neonato. Per la Ong Sos Humanity potrebbero sbarcarne ancora degli altri, con problemi di salute. A bordo della nave Humanity 1 ci sono ancora 35 persone. «I naufraghi sono sfiniti», spiega a LaPresse la Ong facendo presente che uno di loro ha appena avuto un esaurimento nervoso.

Migranti a Catania, le ispezioni sanitarie a bordo della Humanity 1

La situazione davanti alle coste siciliane rimane particolarmente complessa. Cinque navi, due battenti bandiera tedesca, due battenti quella norvegese e una liberiana, si trovano a largo nel tratto di mare che va da Catania a Taormina. Un caso che va avanti da giorni, quando alla «Humanity 1» era stato impedito di entrare nelle acque territoriali italiane, senza l’assegnazione di un porto sicuro. Oltre ad essa, sono presenti anche la «Rise Above», la «Geo Barents» con 572 migranti, la «Ocean Viking» con 234.

Humanity, Croce Rossa: “Medici Usmaf a bordo, gli sbarcati saranno trasferiti al Palaspedini”

Soumahoro a bordo della Humanity: «Resisteremo»
«Respingere illegalmente 40 persone sfinite e con le lacrime agli occhi, negare il diritto a decine di naufraghi è illegale ed è disumano. Questo non è difendere i confini italiani e non migliora la vita di chi vive in Italia. Questo e’ disumanità e noi resisteremo». Lo afferna il parlamentare Aboubakar Soumahoro, salito sulla nave Humanity 1, in seguito a un malore di uno dei profughi e la decisione di non far scendere alcune decine di migranti – in quanto ritenute in buona salute – dei 179 approdati ieri sulla nave della ong tedesca Sos Humanity. «Sono otto ore con le vite sospese, otto ore di disumanità, otto ore senza cuore, di persone che hanno affrontato freddo, traumi, un calvario. Presidente Meloni, lei ha giurato sulla costituzione italiana. Non può piegare la nostra carta costituzionale per dei giochi di potere che rispondono a una deriva non umana», ha concluso.

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Una destra sospesa fra Tambroni e Berlusconi

domenica, Novembre 6th, 2022

MASSIMO GIANNINI

Lo confesso. Guardando la conferenza stampa di Giorgia Meloni, venerdì sera, ho pensato per un attimo a Draghi. Dal suo buen retiro di Città della Pieve, Super Mario si sarà goduto lo spettacolo. Sentire la nuova premier che, già molto stanca, annuncia un pacchetto da 32 miliardi contro il caro-bollette, fatto almeno per un terzo dal maggiore spazio fiscale lasciato in eredità dal suo governo, deve essere stata una vera soddisfazione. Ascoltare la Sorella d’Italia che sulla legge di bilancio e sui conti pubblici assicura un approccio “prudente, realistico e sostenibile”, deve essere stato un grande sollievo. Vederla abbassare un po’ lo sguardo, mentre chiarisce che sul Pnrr “introdurremo solo aggiustamenti per spendere le risorse nel migliore dei modi” e che “riprenderemo le attività per alcune concessioni finalizzate alla produzione di gas italiano”, deve essere stata una bella rivincita. L’esecutivo ha giurato nelle mani del Capo dello Stato sabato 22 ottobre. Sono dunque trascorse due settimane esatte dall’ingresso a Palazzo Chigi. E sono apparse altalenanti, contraddittorie a tratti un po’ schizofreniche. In generale, si conferma l’impressione della vigilia: come nell’Uomo senza qualità di Musil, quella di Giorgia è “Azione Parallela” e si svolge su due piani distinti, in virtù di una chiara forma di scissione psico-politica. Lo dico con tutto il rispetto per la Presidente del Consiglio. Sulle questioni interne prevale la “Ducetta”, che lascia si sprigionino gli spiriti animali non del capitalismo (non è mai stata quella la tazza di tè della cultura ex missina) ma di quello che Massimiliano Panarari definisce “l’identitarismo”. Viceversa, sulle questioni internazionali dove si gioca il profilo geo-strategico dell’Italia e dove il “vincolo esterno” è più incisivo e cogente, si impone la “Draghetta” (copyright Dagospia), che agisce in un quadro di compatibilità con gli impegni comunitari e di continuità con le scelte di chi l’ha preceduta.

La “capatrena” di Fdi deve ancora elaborare una sua idea di destra, cercando di non farsi risucchiare dai due estremi possibili che si trova alle spalle: la truce riedizione del modello Tambroni, o la stanca prosecuzione del modello Berlusconi. Per ora, impensieriti e incuriositi, assistiamo alla “doppiezza meloniana” che, come fu per quella togliattiana, inquieta e al tempo stesso conforta. Inquieta perché accelera la pericolosa deriva polacca di cui abbiamo scritto più volte: quella cioè di uno Stato assolutamente fedele ai principi dell’atlantismo e dell’europeismo, ma pericolosamente permeabile alle spinte tese a comprimere i diritti sociali e civili. La gestione del dossier migranti è una regressione insopportabile: ci riporta indietro di quattro anni, al gabinetto gialloverde del 2018, quello dei “muscoli del Capitano” che chiudeva porti, aboliva protezioni umanitarie, sbaraccava Sprar. La legge sui rave-party è una sbobba indigeribile, da tutti i punti di vista. Linguistico: è scritta in un italiano posticcio, e sarebbe bello sapere quale “mente raffinata” del nuovo Deep State l’abbia partorita. Giuridico: è talmente vaga da risultare applicabile a qualunque fattispecie, dalle occupazioni al liceo ai picchetti in fabbrica, nonostante le garanzie farlocche fornite dal ministro-prefetto Piantedosi, dal quale la suddetta applicazione non dipende in alcun modo. Costituzionale: non si vede la “necessità ed urgenza” di un decreto sui rave, neanche ce ne fosse uno al giorno con decine di ragazzi morti per overdose, e almeno su questo il Presidente della Repubblica qualche avviso ai naviganti avrebbe potuto lanciarlo. Morale: si spara ai passeri con il cannone, sei anni di galera per una notte a ballare in un capanno abusivo sono un’aberrazione in un Paese in cui gli stupratori prendono tre anni. Meloni può anche andare “fiera” del provvedimento, ma per ora ha raccolto solo critiche, dall’opposizione e persino dalla sua stessa maggioranza. E può anche rivendicare la sua svolta Law and Order, ma con le sicure correzioni che saranno apportate al testo nell’iter di conversione la “Nuova Italia” si dimostra quella che lei stessa dichiara di aver superato: la “Repubblica delle banane”.

Tuttavia la doppiezza meloniana è anche confortante. Se patisce strappi e spallate la “sovrastruttura” (ammesso che, marxianamente, si possano definire tali i principi dello Stato di diritto), viene mantenuta in relativa sicurezza la “struttura” (cioè il rispetto e l’assunzione delle responsabilità condivise in politica estera e in politica economica). Il maggior deficit necessario a coprire le misure di sostegno per famiglie e imprese colpite dalla crisi energetica (5,6 per cento del Pil quest’anno, poi ridotto al 4,5 nel 2023, al 3,7 nel 2024 e al 3 nel 2025) è concordato con la Commissione Ue. Gli “ulteriori segnali” annunciati per la manovra d’autunno (da quota 41 sulle pensioni al taglio di 5 punti del cuneo fiscale) non scaturiranno dai “corposi scostamenti di bilancio” sperati da Salvini, ma saranno ricavati da risparmi su altri capitoli di spesa o da nuove fronti di entrata, anche questo nel rispetto della road-map negoziata a Bruxelles. Persino la sorprendente ripresa delle attività di trivellazione in Adriatico, funzionale alla fornitura a prezzi calmierati di “1-2 miliardi di metri cubi di gas” alle aziende energivore, riflette la volontà di reperire risorse senza sfasciare la finanza pubblica. È una svolta importante, e niente affatto scontata. Era stata proprio la premier ad avvisare la sua squadra, nel primo Consiglio dei ministri: “Saremo ricordati per la crescita del Pil e per l’aumento dei posti di lavoro”. È essenziale continuare ad esserne consapevoli, e a tener conto che i soldi non li troveremo sotto l’albero. La bolletta di ottobre è stata clemente, ma già da novembre la stangata sarà pesante. La stessa cosa vale per i prezzi di tutte le materie prime e dei beni di prima necessità, che continueranno a crescere perché, come avverte Kenneth Rogoff sull’ultimo numero di Foreign Affairs, “questa inflazione non è passeggera ma è destinata a durare a lungo”, e costringerà le banche centrali a tenere i tassi di interesse sempre più alti.

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Manifestazione per la pace ipocrita, non fa i conti con Putin. Allora si punti a vincere

domenica, Novembre 6th, 2022

Domenico Quirico

Esiste una distanza, talvolta infinita benché infima, tra ciò che diciamo e ciò che vogliamo dire. Quella separazione la si può definire ambiguità, ipocrisia, bugia. Prendiamo la manifestazione di ieri per la pace a Roma. Manifestare per la pace è in sé lodevole, meravigliosa conferma che non ci rassegniamo alla terra spopolata, alle città vuote e messe a sacco, ai carri armati enormi e senza sportelli, ciechi come pesci degli abissi. Ma il dubbio nasce se la manifestazione si riduce appunto a una ecumenica, inutile manifestazione di ipocrisia: peccato da cui escluderei, ieri, per la sacrosanta innocenza dei fanciulli solo i boy scout.

Grazie a questa ipocrisia vi hanno partecipato tutti, preti e mangiapreti, comunisti e reazionari, liberali e liberisti, le schiere novelle che hanno ormai sostituito da alcuni mesi lo spirito santo con la Nato, filorussi cauti come carbonari e orfani inconsolabili di tutte le terze vie, i multilateralismi, le mondializzazioni salvifiche. Tutti presenti: dopo aver opportunamente verificato che la parola pace sarebbe stata scandita, sillabata e scritta all’italiana, ovvero dopo averla preventivamente svuotata di qualsiasi riferimento concreto, diplomatico, reale. Riconducendola cioè alla sua esclamazione metafisica, sacrale e quindi inutile: andate in pace… Invito di cui le vittime della guerra, in divisa e non, quelli per cui ogni speranza sembra spenta, davvero non sanno che farsene.

Che cosa significa la magica parola pace? Non sono riuscito a saperlo: etere, sogno, possibilità in attesa di una forma? Temo sia così che viene evocata in un Paese dove il libro più importante mai scritto è Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto a cui si abbeverarono le classi dirigenti dell’età barocca. Non a caso non viene insegnato a scuola: perché nei secoli è diventato una seconda natura.

Allora che cosa è la pace in riferimento al problema per cui bruscamente è stata evocata, ovvero la guerra europea in Ucraina, l’unico frammento della terza guerra mondiale a puntate indicata da Papa Francesco che davvero ci interessi? Se intesa come il contrario della guerra, fratellanza, capacità di dimenticare i torti subiti, pentimento di quelli che li hanno commessi, chi mai potrebbe esser contro un così impalpabile sogno? Ma se la si intende in senso pratico, come un processo diplomatico, l’atto politico e tecnico che pone fine alla guerra allora bisogna specificare, chiarire, aggiungere atti e fatti. Esattamente quello che nelle enunciazioni auto assolutorie, e nelle bugie dei politici che la guerra la vogliono, non si fa mai.

Per fare la pace bisogna inevitabilmente sedersi al tavolo con l’aggressore, ovvero Putin, discutere con lui, accettarlo come interlocutore, fino ad arrivare, forse, alla definizione di un equilibrio che ponga fine, temporaneamente (la pace perpetua esiste solo nella splendida utopia kantiana) al dominio della morte. Sgradevole necessità, certo, quella di discutere con il colpevole. Ma la pace, ontologicamente, richiede due soggetti. Altrimenti si chiama resa senza condizioni, vittoria assoluta. Una distinzione che gli stati uniti ben conoscono visto che hanno intavolato trattative di pace solo quando hanno perso la guerra, Corea, Vietnam, Afghanistan. Negli altri casi hanno accettato infatti la resa senza condizioni. Allarmante antecedente.

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Problemi tecnici

venerdì, Novembre 4th, 2022

La rassegna stampa riprenderà tra una settimana. Scusateci il disquido

NONSOLOFOLE

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