Archive for Agosto, 2022

La favola del fascino immaginario del fascismo

mercoledì, Agosto 31st, 2022

Paolo Guzzanti

Germogliano inaspettati filoni di nuovo dibattito sulla destra non per sapere che cosa pensi di fare Giorgia Meloni se conquisterà il campanello di Presidente del consiglio, ma per la solita storia del fascismo di cui quasi nessuno dei viventi ricorda granché. Io, che avrei anni sufficienti non ricordo nulla di memorabile del fascismo, ma molto degli italiani che erano stati giovani quando lo avevano attraversato. Tutti evitavano di parlare della guerra, ma tutti rimpiangevano i servizi sociali, il welfare che aveva procurato molti fan all’estero del sistema italiano. E poi il rimpianto dei contadini per le colonie estive per i figli, i treni popolari, una molto allusa ed ovvia libertà sessuale.

Fino ai miei trent’anni da giornalista socialista ho scazzottato come era d’uso con fascisti e fascistelli intorno e dentro l’università. Un paio di volte ci scappò il morto. La storia di cui parliamo è nata da un articolo di Corrado Augias su Repubblica e di cui ha ieri scritto Alessandro Gnocchi a commento di un intellettuale pacato e intelligente secondo cui essere fascisti a quell’epoca era qualcosa di simile a uno stato d’animo. Uno diceva secondo questa interpretazione come ti senti? E l’altro: un po’ fascista. Sarà vero? Certo che no, però sono tempi in cui ci si contenta molto. Quando un paio di anni fa incontrai Eugenio Scalfari nella piccola libreria antiquaria di via di Piè di Marmo, mi chiese cosa stessi cercando. Risposi che stavo cercando alcuni libri sul 1943 per un mio studio storico. Gli si illuminarono gli occhi e battendo su col bastone sulle piastrelle della libreria gridò: «Il 1943! Un anno indimenticabile». E fu davvero un anno indimenticabile perché il 19 luglio gli americani bombardarono Roma, il re fece un complotto con i gerarchi dissidenti convocando il Gran Consiglio del fascismo che era un organo costituzionale inserito nello statuto albertino, per la sera del 24 luglio.

A tarda notte dopo ampio e approfondito dibattito, fu tenuta una regolare votazione parlamentare in cui Benito Mussolini – capo di un governo costituzionale che era cominciato con un incarico nel 1922 per mettere in piedi una coalizione e che soltanto dal 1926 con la crisi dell’omicidio Matteotti si trasformò in una dittatura a causa dell’abbandono per due anni di deputati e senatori dalle loro aule – fu messo in minoranza, spogliato del ruolo di duce. Fu preso a male parole dalla moglie Rachele quando tornò a casa e lei disse «va là ben sei proprio un gran testardo, il tuo amico Hitler con quattro dei suoi gli avrebbe sparato a tutti», cercò di rabbonirlo mentre si toglieva le scarpe dicendo «domani vado dal re e calmo tutte le acque». L’indomani quando andò dal re a villa Torlonia il piccolo monarca non gli fece aprir bocca e disse: «Ho già nominato il maresciallo Pietro Badoglio capo del governo». Mussolini si sedette in stato di choc e il re aggiunse: «Tutte le misure sono prese e un’ambulanza vi porterà al sicuro».

Il resto lo sappiamo: Mussolini fu fucilato due anni. Dopo qualche mese più tardi la bara fu trafugata sicché nacque la leggenda di un fuoco fatuo tricolore e che generò il simbolo della fiamma tricolore del Msi. Corrado Augias e alcuni arditi intellettuali dibattono ora su un nuovo tema troppo a lungo trascurato: se il fascismo, fosse stato, al di là della politica anche uno stato d’animo sintetizzato dalla battuta «Oggi mi sento un po’ fascista». Tra quelle di casa mia, di emozioni ricordo quella di mio padre, ingegnere delle Ferrovie che quando Hitler venne a Roma con la capitale in ghingheri e piena di svastiche, ricevette dal gerarca l’ordine di salire sul treno di Hitler, copiare tutto per rifarne uno identico al Duce. Mio padre lo visitò, misurò e poi disse semplicemente: «Non si può fare una copia di questo treno in Italia». Un pugno lo stese a terra da dove mio padre spiegò i motivi per cui il treno tedesco non poteva essere riprodotto.

Eugenio Scalfari, quando ci incontrammo due anni fa in libreria proseguì: «Nel 1943 io non ero fascista». Si fermò guardandomi con una lunga pausa: «Io nel 1943 ero fascistissimo!». Quando dette alle stampe la sua autobiografia dettata a due colleghi, iniziò con una descrizione dei sentimenti di disarmante entusiasmo fascista, pur avendo l’età in cui Piero Gobetti fu ammazzato dai fascisti.

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È in Cina una delle chiavi per superare l’inverno, così sul gas può dare un aiuto inaspettato all’Europa

mercoledì, Agosto 31st, 2022

Tommaso Carboni

È il più grande acquirente mondiale di gas naturale liquefatto (Gnl), ma quest’anno ne consuma meno del previsto e rivende i carichi di Gnl in eccesso. L’Europa ne approfitta e compra, malgrado i prezzi alla stelle. La domanda d’energia cinese è debole in conseguenza dell’economia che rallenta anche a causa dei duri lockdown anti Covid. Non è detto però che questa situazione resti immutata. Con un Pil di nuovo in crescita, la Cina potrebbe tornare sul mercato a caccia di gas. E a quel punto l’inverno europeo rischia di essere ancora più duro.

Per ora tiriamo un grosso respiro di sollievo. Secondo Wood Mackenzie, una società di ricerca sull’energia, la Cina rispetto all’anno scorso importerà il 14% in meno di gas naturale liquefatto, la più grande flessione dal 2006. E così parte di questo gas torna disponibile, e i trader cinesi rivendendolo incassano profitti davvero notevoli. L’autorevole quotidiano giapponese Nikkei rivela che il gruppo cinese JOVO potrebbe aver realizzato un utile di cento milioni di dollari dalla vendita di un cargo di Gnl a un acquirente europeo. Sempre secondo Nikkei, la quantità totale di gas liquefatto cinese rivenduta è probabilmente superiore a quattro milioni di tonnellate, pari al 7% delle importazioni di gas europee nei primi sei mesi del 2022.

Il Gnl è stato un’ancora di salvezza nella crisi energetica per la guerra in Ucraina: tra gennaio e giugno, l’Europa ne ha importato il 60% in più rispetto al 2021, compensando così la progressiva chiusura dei gasdotti di Mosca (il flusso attraverso i gasdotti russi è solo il 20% di un anno fa). Questo calo, come sappiamo, ha fatto schizzare i prezzi del gas sul mercato spot europeo, con picchi più di dieci volte superiori al valore storico. Trasportato su colossali navi cisterna, il Gnl ha scalzato il carburante russo come fonte principale di gas in Europa, e metà delle forniture arrivano dagli Stati Uniti. Gli Usa sono diventati il più grande esportatore di gas naturale liquefatto al mondo (Gnl), e le società americane pur di vendere in Europa sono state disposte a rompere contratti già stipulati in Asia, tradizionalmente il loro mercato più redditizio. Ecco perché sono diminuite così tanto le vendite di gas statunitense in Sud Corea e Giappone, ma anche Bangladesh, Pakistan, India, Singapore. I margini elevati coprivano il costo delle penali e garantivano comunque guadagni molto ricchi – il prezzo in Europa, dettaglio importante, è anche parecchio superiore a quello del Gnl praticato in America.

Se la traiettoria attuale continua, e se la Russia non azzera del tutto le forniture, l’Europa è probabile che centri l’obiettivo di riempire l’80% dei suoi stoccaggi di gas entro novembre. Ma tenere questo livello di importazioni, o aumentarle, potrebbe non essere facile. Le forniture sono limitate, e in teoria gli acquirenti europei devono continuare a offrire di più dei clienti asiatici. Il nuovo assetto è stato possibile anche grazie a consumi cinesi sotto la media. Ma se per qualche motivo dovessero riprendersi il quadro rischia di cambiare. Tra l’altro ponendo l’Europa in una condizione di vulnerabilità (e di dipendenza) rispetto alla Cina.

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I migranti, i patrioti e il gioco delle tre carte

mercoledì, Agosto 31st, 2022

Karima Muoal

È sicuramente una campagna elettorale lampo questa che stiamo vivendo in vista del 25 settembre. Eppure almeno su un tema – l’immigrazione – nonostante ci si trovi già alla seconda generazione con i figli degli immigrati nati sul suolo italiano, continua ad essere manovrata con chiavi decisamente obsolete da parte dei due partiti di destra, Fratelli di Italia di Giorgia Meloni e la Lega di Matteo Salvini. La sensazione è che i due leader facciano continuamente il gioco delle tre carte. Salvini grida ai Clandestini Zero, Meloni risponde con un bel Blocco Navale. Ma il leader della Lega, in piena mitomania, si spinge ad autocelebrarsi sui social come «il miglior ministro dell’Interno che abbia avuto l’Italia». Lo ha scritto lui stesso. E non importa che l’autoptoclamotosi miglior ministro dell’interno abbia partorito i famosi decreti sicurezza, (con evidente e denunciata macchia di incostituzionalità) riproposti in mancanza di fantasia in questa campagna elettorale. C’è anche da segnalare come non abbia mandato in porto nemmeno una delle promesse fatte prima di salire al Viminale. Una cosa è la propaganda, altro è la realtà.

Eccola: sull’immigrazione irregolare Salvini promise allora come oggi il rimpatrio di tutti gli irregolari(erano circa 500mila): alla fine del suo mandato risultarono rimpatriati in 7.289. Sul decreto sicurezza – che Salvini oppone alla rivale Meloni come più efficiente di un’altra favola, quella del blocco navale – c’è da sottolineare che secondo molti studi quel decreto ha contribuito all’aumento del numero degli stranieri irregolari (sono arrivati a 600mila secondo le stime) con la soppressione della protezione umanitaria, finestra di legalità chiusa buttando per strada molti immigrati. E poi c’è l’altra favola, la preferita della Leader di Fratelli d’Italia, con tanto di foto di gigantesche navi militari. Prima della caduta del governo Draghi le dichiarazioni sul blocco navale erano nette, con il deputato Donzelli che ad ogni intervento s’impuntava sulla sua fattibilità ricordando che fu già adottato in un caso – negli anni Novanta con gli albanesi sulle nostre coste e Prodi al Governo. Omettendo che quella tragica decisione costò la vita a più di 100 albanesi con il comandante della Marina militare italiana che ha dovuto pagarne il prezzo non solo secondo la legge ma anche con la coscienza. In questi giorni assistiamo ad un aggrapparsi agli specchi (o a un bagno di realtà). Magicamente il blocco navale si ammorbidisce, si trasforma. Insomma, Meloni e Guido Crosetto insistono: il blocco navale che intendono non è il blocco navale che noi conosciamo. Loro – sostengono – parlano un’iniziativa europea in accordo con le autorità libiche.

Probabilmente sono consapevoli che il blocco navale è infattibile, ma siccome fa scena rimane lì. Il punto è che questa “ iniziativa europea”, è un lavoro anticipato proprio dal governo Draghi e già nell’ottobre 2021. In concreto: il 10% dei fondi Ue per l’azione esterna Ndci (Neighbourhood, development and international cooperation instrument) è dedicato alla migrazione, circa 8 miliardi di euro in aggiunta a quelli già previsti dal Qfp 2021-2027 per la gestione delle frontiere Ue. Sono poi stati definiti piani di d’azione per Libia, Tunisia, Marocco, Niger, Nigeria, Iraq, Afghanistan, Bosnia-Herzegovina) e programmi operativi per la rotta mediterranea in Paesi come Niger e Tunisia. La Commissione europea ha nominato Mari Anneli Juritsch coordinatrice Ue dei rimpatri, incaricandola di istituire un sistema europeo efficace, comune, legalmente solido, operativo e con una governance più forte, in stretta cooperazione con gli Stati membri.

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Meloni apre all’armistizio delle bollette e dice sì al rigassificatore di Piombino

mercoledì, Agosto 31st, 2022

ALESSANDRO BARBERA

Come era inevitabile che accadesse, la crisi del gas russo costringe i partiti ad abbassare i toni. Alla spicciolata, i leader in campagna elettorale annunciano di essere disposti a discutere insieme del decreto che Mario Draghi dovrà varare entro metà settembre, l’ultima data utile per farlo approvare dal vecchio Parlamento. Ora è disponibile anche Giorgia Meloni, e non solo per trattare. Si dice contraria a «nuovo debito» e ha cambiato linea sulla nave rigassificatrice di Piombino, essenziale allo stoccaggio del gas africano e contro la quale fa le barricate il sindaco di Fratelli d’Italia. «Gli impianti vanno fatti, se non ci sono alternative per me l’approvvigionamento è la priorità».

In queste ore lo staff di Palazzo Chigi e il capo di gabinetto Antonio Funiciello si tengono in contatto con tutti. Carlo Calenda di Azione, che la settimana scorsa aveva lanciato un appello perché ci fosse un tavolo dei leader, attacca il Pd di Enrico Letta dicendo che «è l’unico a non aver risposto». Fonti della segreteria del partito reagiscono caustiche: «Calenda per far vedere che esiste vuol far perdere tempo a noi e al premier. Il presidente sa benissimo quali sono le nostre proposte, a partire dal tetto al prezzo del metano russo».

Draghi, il primo a lanciare la proposta a livello europeo, si sta occupando anzitutto di questo. Ha convinto i tedeschi a rompere gli indugi, e spera di fare altrettanto con il governo olandese. Non è ancora chiaro se si tratterà di un vero e proprio tetto, di certo permetterà di ridurre il costo dell’energia elettrica nell’Unione europea, fin qui dipendente dal prezzo del gas. La trattativa con gli altri governi la sta facendo la presidente della Commissione Ursula von Der Leyen, che in questi giorni ha sentito più volte al telefono Draghi. Contemporaneamente i tecnici stanno lavorando al terzo decreto di aiuti, che verrà immediatamente trasformato in emendamento al “bis” ancora in discussione alle Camere. A disposizione ci saranno fra gli otto e i dieci miliardi di euro, parte dei quali verranno dalla riscrittura della tassa sugli extraprofitti delle aziende energetiche. L’ipotesi più probabile è che si trasformi in addizionale Irap. Il Pd è favorevolissimo, il partito della Meloni meno. Il premier ieri ne ha parlato a Palazzo Chigi col ministro del Tesoro Daniele Franco. Draghi chiede che la nuova norma sulla tassa sia efficace, ha chiesto correttivi che costringano le aziende a pagare invece della fuga nei ricorsi e per questo alle riunioni partecipa anche la Guardia di Finanza. Il problema sarà riuscire a far bastare quanto a disposizione per rifinanziare tutti gli sconti fin qui garantiti. Il costosissimo sussidio su benzina e diesel, ad esempio: la proroga di quello in scadenza il 20 settembre per ora verrà confermata solo fino al 5 ottobre.

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Provenzano: “La destra è unita solo contro i poveri, sul lavoro il Pd ha corretto gli errori”

mercoledì, Agosto 31st, 2022

Annalisa Cuzzocrea

«Meloni, Salvini e Berlusconi sono divisi su tutto, uniti solo a danno della povera gente». Peppe Provenzano ribalta la narrazione di una destra più vicina al popolo, di una sinistra chiusa nei salotti. «La destra fa tutta una campagna sulla paura, sull’angoscia delle persone – spiega il vicesegretario Pd – trovando ogni volta un capro espiatorio, che siano l’immigrato, il percettore di reddito di cittadinanza, il deviato, la libera stampa, il sindacato, l’Europa. Noi non dobbiamo fare l’errore del passato, ignorare quelle paure, ma indicare con chiarezza come si possono offrire davvero opportunità e protezione sociale».

Siete ancora in tempo? A guardare i sondaggi, la destra sembra imbattibile.
«A settembre si entra nella fase decisiva della campagna elettorale. Le famiglie si ritrovano con i problemi della vita quotidiana, le bollette, gli affitti da pagare, le spese per la scuola dei figli, i redditi con cui si fatica ad arrivare a fine mese. È su questo che gli italiani sceglieranno. La vera partita inizia adesso. Con una larga fetta che vuole astenersi, con il 40% di indecisi, è ancora tutta da giocare».

Finora la campagna elettorale è stata più ideologica e poco concreta?
«La polarizzazione rosso/nero non è una trovata comunicativa dettata dal meccanismo elettorale. Certo noi e la destra siamo universi politici e morali lontanissimi sulle libertà, sull’idea di democrazia, sulla collocazione dell’Italia in Europa. Ma ora la vera polarizzazione sarà sui temi, sulle scelte da fare, sull’idea di Italia che dobbiamo e vogliamo proporre».

La destra di Giorgia Meloni sembra incarnare, agli occhi degli italiani, il cambiamento. Il che è paradossale visto che è forse la destra più conservatrice degli ultimi vent’anni. Eppure, in una fabbrica simbolo come Mirafiori, gli operai scelgono Fratelli d’Italia, non Pd, non la sinistra. Cos’è successo, cosa vi ha fatto perdere la vostra base storica?
«È successo quel che diceva il poeta, il nemico ha stravolto le nostre parole fino a renderle irriconoscibili. Ora è nostro dovere farle risuonare più forti andando tra le persone. Abbiamo un programma progressista, forse il più progressista da quando esiste il Pd. Su ambiente, diritti, lavoro, non è un Pd pallido. La sfida è essere credibili nel cambiamento».

Come si recupera credibilità?
«Ai lavoratori bisogna dire la verità. Che in passato abbiamo sbagliato, soprattutto con Renzi e il Jobs act, ma anche prima. La precarizzazione del mondo del lavoro è iniziata negli anni ’90, lo ha impoverito, lo ha privato di senso, ha generato nuove forme di risentimento. I quarantenni che oggi lavorano spesso sono insoddisfatti, infelici, inappagati non solo dal punto di vista economico, ma da quello del riconoscimento sociale del lavoro. Ma lo abbiamo capito, in questi ultimi tre anni abbiamo maturato una sensibilità sociale nuova. E abbiamo portato avanti un’agenda sociale prima nel Conte due e poi anche nel governo Draghi, con la difficoltà dei compromessi con la destra».

Eppure, i voti dell’insoddisfazione che dipinge vanno a destra.
«E noi dobbiamo andarceli a riprendere. La Meloni è la donna del popolo? E cosa ci guadagna il popolo con la flat tax? La Lega è il partito degli operai? Ma tutte le volte che c’era da schierarsi concretamente con i lavoratori loro sono stati dall’altra parte. Sulla riduzione delle tasse sul lavoro, l’aumento dei soldi in busta paga, hanno votato contro. Sul blocco dei licenziamenti durante la pandemia, contro. Sugli ammortizzatori sociali per chi prima non li aveva, contro. Su tutte le norme di sicurezza sul lavoro, sulle regole per i sub-appalti, hanno sempre frenato. L’altro giorno Salvini chiedeva norme contro le delocalizzazioni, ma la nostra proposta è stata azzoppata da un suo ministro, Giancarlo Giorgetti».

La credibilità di cui parla non è stata aiutata dalla composizione delle liste elettorali pd, tutte d’apparato.
«Ci sono politici e ci sono candidati nel Pd, anche giovani, che hanno conosciuto sulla pelle cosa significhino precarietà e incertezza del futuro. La rappresentanza sociale non si costruisce con operazioni di marketing, ma con un messaggio riconoscibile. Io il 9 settembre sarò a Torino a confrontarmi anche con altre forze politiche sui luoghi del lavoro operaio».

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Verso il voto: Fdi doppia la Lega, Azione supera Fi. Un elettore su tre non ha deciso

mercoledì, Agosto 31st, 2022

Alessandra Ghisleri

E ci siamo: mancano esattamente 25 giorni agli esami di riparazione della politica. Il giorno del voto in cui il giudizio degli italiani farà sentire la sua voce dopo 4 anni e mezzo in cui si sono succeduti 3 differenti governi -impronosticabili- che hanno dovuto guidare il Paese attraverso una pandemia, una guerra ai confini dell’Europa, una crisi energetica e una forte inflazione. Questi sono solo alcune delle variabili a contorno dello scenario in cui ogni giorno ogni cittadino affronta i suoi problemi. Il panorama politico rispetto al 2018 è molto cambiato. Nuovi schieramenti politici si sono palesati sulla scena che ha registrato ben 415 cambi di “casacca” ad opera di 280 parlamentari, con una media di 8,3 al mese dall’inizio della legislatura. Sotto questo cielo domenica 25 settembre gli italiani saranno chiamati a scegliere un nuovo governo per la guida del Paese.

Ad oggi ogni cittadino sta elaborando le sue possibili scelte cercando di trovare adesione presso un punto di riferimento a cui offrire il suo sostegno o negarlo. E così, dopo la pausa estiva, che ha portato una ventata di leggerezza nella quotidianità dei più fortunati che hanno potuto godersela, piano piano anche i più ritardatari stanno rientrando per riprendere il proprio tran tran. Lo scontro con la realtà che si registra è molto duro: almeno 1 italiano su 2 segnala l’aumento generale dei prezzi(47,4%) e la crisi energetica (45,7%) come problemi più importanti seguiti da lavoro e occupazione (40,5%). Il 35,1% degli italiani vorrebbe che il futuro governo si concentrasse sulla ripresa economica nazionale mentre il 33,2% sull’aumento delle forniture di luce e gas x evitare possibili razionamenti. L’attenzione nei riguardi della possibile pianificazione per una riduzione della povertà (18,9%), il salario minimo (17,6%) insieme all’immigrazione (17,0%) occupano posti meno rilevanti nella classifica. Fanalino di coda risultano il tema della sicurezza (16,2%) e la riforma delle pensioni (8,8%).

Di fronte all’indicazione di queste priorità i cittadini si dimostrano pessimisti sull’esito degli interventi che il prossimo governo potrà ottenere nel merito. Se la sicurezza, con il 42,1% delle indicazioni, è il tema che ha avuto maggiori apprezzamenti, sicuramente la riduzione della povertà è quello che ne ha ricevuti meno (29,5%) registrando il 60,2% di giudizi pessimisti sulla possibile pianificazione di piani utili ed efficaci in tal senso. La scarsa convinzione, tuttavia, coinvolge tutti i temi testati associando un giudizio negativo che registra una media del 53,0%.

Il senso di un certo disorientamento si registra anche nelle intenzioni di voto che registrano ancora il 35,4% dell’elettorato indeciso. Questa percentuale si divide tra chi non sa ancora se andrà a votare (il 23,8% degli indecisi) e chi non sa quale forza politica votare (il 76,2% sempre degli indecisi). Su queste indicazioni si stima oggi un’affluenza compresa tra il 66% e il 70%. Il 51,7% degli italiani è convinto che il vincitore della prossima elezione politica sarà il centrodestra, ed effettivamente nell’analisi dei dati delle intenzioni di voto la differenza che si registra oggi tra i due principali schieramenti è di 17,4 punti percentuali.

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Crisi energetica e partiti: l’illusione di ricette semplici

mercoledì, Agosto 31st, 2022

di Daniele Manca

La strada sembra semplice: andare rapidamente a uno scostamento di bilancio. Chi più chi meno, è la risposta che quasi tutti i partiti hanno in mente di dare alle sofferenze prodotte dal rincorrersi dei prezzi dell’energia che stanno incidendo profondamente sulla vita degli italiani.

Il governo resiste allo scostamento. L’Europa ripete, ancora ieri con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che le regole del mercato elettrico non funzionano. Peccato che adesso si tratti di agire non più di analizzare. Visto che, peraltro, l’Italia quelle cose le diceva ai partner dell’Unione sin dal novembre dell’anno scorso.

Lo scostamento permetterebbe di intervenire subito, nel breve periodo. Ma non sarebbe privo di conseguenze. Modificare le regole del mercato elettrico, e farlo in fretta viste le anomalie che hanno contribuito a determinare la rincorsa dei prezzi, avrebbe effetti strutturali ma non immediati. Sebbene il solo fatto di dirlo sembrerebbe già raffreddare in minima parte i costi.

Ma perché il governo è così restio a procedere a uno scostamento di bilancio? Si stanzia qualche decina di miliardi nei conti pubblici e si interviene. Semplice a dirsi meno a farsi. Questa volta ci scuseranno economisti, esperti e professori se, a rischio di banalizzare, inizieremo col chiederci di che cosa si sta parlando. E cioè cos’è lo scostamento di bilancio?

Come ogni famiglia o impresa, anche lo Stato deve fare i conti con le sue entrate e le sue uscite. Poniamo che avesse annunciato di spendere 100 nel 2022, a fronte di costi che aumentano dell’energia si troverà a spendere 130. Dove può prendere quel 30 in più di spesa? Un cittadino o un’azienda si rivolgerebbe alla propria banca chiedendo un prestito.

Lo Stato fa lo stesso, chiede soldi in prestito ma usando un meccanismo più complicato. Emette titoli di Stato che vende sul mercato. A investitori ai quali dice: pensavo di spendere di meno, mi troverò a spendere di più, devo fare, appunto, uno scostamento di bilancio e ho bisogno che tu mi presti più soldi; compra i miei titoli di Stato e io mi impegno a pagarti gli interessi e a restituirti il denaro entro un certo numero di anni.

Il mercato, gli investitori, sanno che il motivo sono i prezzi dell’energia. Ma non gli importa molto. Saranno disposti a prestarci più denaro purché siano pagati loro degli interessi e restituito il capitale prestato. Se non fosse che l’Italia di debiti ne ha già tanti. Oltre 2.700 miliardi. E di scostamenti negli ultimi anni a causa della pandemia ne abbiamo fatti per 180 miliardi, come documentato da Enrico Marro ieri sul Corriere della Sera.

Ma proprio per questo potremmo continuare a farne. Chi ce lo impedisce? In realtà, chi gestisce il debito pubblico sa che se si continuano a chiedere sempre più soldi in prestito, gli investitori a loro volta chiederanno interessi più alti. Ci sono Stati che possono permettersi di sollecitare meno il mercato. Rispetto a loro noi avremo un costo del denaro più alto, dovremo cioè pagare più interessi per ottenere i nostri prestiti. La differenza tra i due livelli è lo spread. Che potrebbe allargarsi se gli investitori intuiscono che quella è la direzione.

Al di là dei costi sul bilancio pubblico, tutto questo significa anche mettere il proprio futuro in mani che con l’Italia hanno poco a che fare. In aree dove la speculazione, come abbiamo visto in altri periodi, non si fa problemi ad andare contro un Paese purché riesca a guadagnarci. Lo spread si allargherebbe e il costo del nostro già alto debito aumenterebbe.

Non è un caso che il più tiepido sulla eventuale manovra sia anche il più sovranista dei partiti, Fratelli d’Italia. Un Paese fortemente indebitato è un Paese che ha molto meno possibilità di agire secondo i propri obiettivi. Che ha meno sovranità. L’altro partito meno propenso è quel Pd che esprime il commissario europeo Paolo Gentiloni che sa benissimo che l’Italia nei prossimi mesi dovrà partecipare al dibattito sulla riforma del Patto di stabilità. Patto che prevede rigidi confini per quanto riguarda il debito e il deficit dei Paesi. E tecnicamente lo scostamento di bilancio è una richiesta all’Europa di aumentare il deficit.

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I politici nella trincea social: la grande sfida «acchiappavoti»

mercoledì, Agosto 31st, 2022

di Tommaso Labate

Promesse e proclami anche con video su TikTok per provare a conquistare il consenso anche dei più giovani. Ecco le ricette di Meloni, Salvini, Letta, Conte e Calenda

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«Quando propongo di togliere il motorino ai quattordicenni che fanno casino, penso alle ragazze come Michelle. Che disturbano, molestano, aggrediscono o fanno casino. Quindi — come a ricapitolare a beneficio di chi non avesse capito — nessuno tocca il motorino a ragazze e ragazzi perbene… Ma baby-gang e casinisti, se hanno il motorino, via il motorino per qualche mese! E se vogliono prendere la patente a diciott’anni, ecco, la prendono a diciannove o venti…». C’è una vasta gamma di proposte e promesse elettorali che non superano i confini dei social network. Non hanno a che fare col prezzo del gas, con le bollette impazzite, col Pnrr.

Per accedere a questo scrigno prezioso di idee, bisogna collegarsi coi TikTok e gli account Instagram e Twitter dei leader politici che ne fanno uso. Come Matteo Salvini. Si scoprirà per esempio che la Lega, per bocca del suo leader, promette, in caso di vittoria il 25 settembre, di mettere mano ai motorini delle ragazze e dei ragazzi particolarmente inclini a cedere alla tentazione di disturbare il prossimo. «I casinisti», come li ha chiamati l’ex ministro dell’Interno. In un video postato su TikTok qualche giorno fa, Salvini ha rifilato una ramanzina alla giovane «Michelle», che si era riconosciuta nella misteriosa — ma neanche troppo — ragazza immortalata da un video virale che in treno aveva indirizzato un sonoro «put…a!» alla signora che le aveva inutilmente chiesto di spegnere la sigaretta. «Michelle ma che fai? Hai diciassette anni, con la tua amica, fumare in treno, far casino, insultare una signora con qualche anno in più di te dandole della “pu…”. Non è un gesto rivoluzionario, simpatico, giovanile. È una sciocchezza! Spero che mamma e papà ti insegnino come si sta al mondo!», conclude l’ex ministro dell’Interno poco prima di rilanciare la proposta di sequestrare il motorino e rinviare l’esame della patente ai «casinisti» come lei.

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L’andamento dei follower dei leader su Instagram e Facebook

Calenda e i condoni
Se soltanto il tempo e l’analisi del voto dei giovanissimi (sono loro a usare TikTok) diranno parole definitive sull’efficacia dell’idea salviniana di estendere il vecchio concetto dei «porti chiusi» alle «porte chiuse» del garage (coi motorini dei «casinisti» confiscati dentro), basta poco, pochissimo, per misurare la spontaneità con cui su Twitter Carlo Calenda si cimenta nell’esercizio quotidiano di prendere di mira Enrico Letta. Il segretario del Pd segue la scia della campagna dicotomica bene-male, rispettivamente su sfondo rosso-nero, già marchiata a fuoco dal divertissement guanciale-pancetta riferito alla pasta alla carbonara, diventato virale qualche giorno fa. E quando ieri Letta ha pubblicato la scheda con «meno tasse per chi lavora» da un lato (bene, sfondo rosso) e «più condoni per gli evasori» dall’altro (male, sfondo nero), l’ex compagno di strada è entrato in tackle, ricordandogli un provvedimento di quando era presidente del Consiglio: «E il tuo condono del 2013 dove si colloca? Oppure valgono solo quelli di destra? Ci sono condoni moralmente superiori e quelli moralmente condannabili?». Su TikTok, però, Calenda sotterra l’ascia di guerra e continua nel proposito iniziale di consigliare libri e mostre d’arte. Andando in Sicilia, ha fatto un video per suggerire la lettura de Il Gattopardo e de I viceré. Lui preferisce il secondo.

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi | Germania: «Iniziato lo stop di forniture del gas alla Ue». Il convoglio Aiea lascia Kiev per Zaporizhzhia

mercoledì, Agosto 31st, 2022

di Lorenzo Cremonesi e Marta Serafini

Le notizie di mercoledì 31 agosto, in diretta. Come annunciato ieri da Gazprom il blocco è iniziato dalle 5 di oggi ora italiana . Kiev, due senatori Usa a colloquio con il leader ucraino

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La guerra in Ucraina è arrivata al 189esimo giorno.
• Al via la missione Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica), i tecnici ieri sera a Kiev per ispezionare la centrale nucleare di Zaporizhzhia: la missione durerà da mercoledì a sabato.
Zelensky ai russi: «Scappate o arrendetevi, non c’è altra scelta».
Mosca accusa: colpito il tetto dell’impianto.
• L’8 settembre riunione dei ministri della Difesa Usa e alleati sulla guerra.
• Il ministero della Difesa russo ha rivendicato di aver respinto gli attacchi nelle regioni di Kherson e Mykolaiv e di aver inflitto «pesanti perdite» alle forze ucraine.

Ore 07:43 – Il punto sul gas

(Luca Angelini) Dopo le «aperture» in seno all’Ue a discutere di un possibile tetto al prezzo del gas — che il governo di Mario Draghi chiede da mesi — il prezzo al Ttf di Amsterdam ieri è sceso (del 6,8%, chiudendo a 254 dollari al chilowattora), nonostante la concomitante chiusura — partita proprio questa mattina — , per presunti problemi tecnici in realtà assai politici, del gasdotto Nord Stream 1 da parte della russa Gazprom.

E nonostante la comunicazione di un taglio delle forniture della stessa Gazprom alla francese Engie per «disaccordi contrattuali».

«La proposta di un tetto al prezzo del gas sarà presentata dalla Commissione Ue nelle prossime settimane, probabilmente dopo il consiglio Energia straordinario del 9 settembre, convocato per dare una risposta all’emergenza scatenata dall’impennata dei prezzi dell’elettricità. La proposta, invece, di riforma del mercato elettrico arriverà all’inizio del prossimo anno», scrive da Bruxelles Francesca Basso. Ma è chiaro che famiglie e imprese italiane (e non soltanto italiane) hanno bisogno di interventi urgenti e consistenti. E i partiti non smettono di fare pressing su Palazzo Chigi perché tolga loro, il più possibile, le castagne dal fuoco.

Draghi, però, non vuole sentire parlare di scostamenti di bilancio (leggi nuovo debito) e il motivo lo spiega il vicedirettore del Corriere Daniele Manca nel suo editoriale:

Chi gestisce il debito pubblico sa che se si continuano a chiedere sempre più soldi in prestito, gli investitori a loro volta chiederanno interessi più alti. Ci sono Stati che possono permettersi di sollecitare meno il mercato. Rispetto a loro noi avremo un costo del denaro più alto, dovremo cioè pagare più interessi per ottenere i nostri prestiti. La differenza tra i due livelli è lo spread. Che potrebbe allargarsi se gli investitori intuiscono che quella è la direzione. Al di là dei costi sul bilancio pubblico, tutto questo significa anche mettere il proprio futuro in mani che con l’Italia hanno poco a che fare. In aree dove la speculazione, come abbiamo visto in altri periodi, non si fa problemi ad andare contro un Paese purché riesca a guadagnarci. Lo spread si allargherebbe e il costo del nostro già alto debito aumenterebbe.

Ma, allora, che cosa il governo può e intende fare? Enrico Marro lo riassume così:

Il governo punta a trovare almeno una decina di miliardi per finanziare i nuovi interventi contro il caro-energia, che dovrebbero essere decisi la prossima settimana. Ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha incontrato a Palazzo Chigi il ministro dell’Economia, Daniele Franco, per una ricognizione sulle risorse che si possono rinvenire tra le entrate tributarie superiori alle previsioni, la rimodulazione di alcune voci di spesa e il gettito della tassa del 25% sugli extraprofitti delle società del settore energia. Oggi scade il termine per pagare l’acconto di questa tassa: dovrebbero entrare circa 4 miliardi (dei 10,5 miliardi previsti a regime) e Draghi ha fatto partire ieri un pressing su tutte le aziende che ancora non hanno pagato (molte infatti hanno fatto ricorso al Tar). Il premier punta così ad aumentare quel miliardo di euro appena che risultava in cassa fino a qualche settimana fa: entrate più che mai preziose per coprire i nuovi interventi allo studio.

Quanto agli interventi concreti, «la priorità verrà data alle imprese gasivore e in particolare alle filiere produttive che utilizzano più di tutte il gas e rischiano di fermarsi per i costi insostenibili della bolletta. Sono allo studio non solo crediti d’imposta ma anche bonus ad hoc per pagare il gas, e forniture dello stesso a prezzo calmierato».

Una mano per affrontare la crisi, però, potremmo darla tutti: «Dagli elettrodomestici all’acqua calda, possiamo risparmiare 7 miliardi di metri cubi di gas» spiega al Corriere Gilberto Dialuce, presidente dell’agenzia Enea.

(Questa analisi è stata pubblicata su PrimaOra, la newsletter che il Corriere della Sera riserva ai suoi abbonati. La si trova qui. Per riceverla ogni mattina basta iscriversi a Il Punto, di cui PrimaOra è uno degli appuntamenti quotidiani: lo si può fare qui)

Ore 07:35 – Il punto sulla guerra in Ucraina

(Luca Angelini) La controffensiva dell’Ucraina per riconquistare Kherson va avanti. Una controffensiva, spiega l’inviato Lorenzo Cremonesi, attraverso la quale gli ucraini si pongono tre obiettivi:

Primo: bloccano il progetto di referendum voluto da Putin sul modello di quello che si tenne in Crimea nel 2014 per dare una patina di legittimità alla «russificazione» di territori occupati con le armi. Il referendum a Kherson era programmato per l’11 settembre, ma forse l’infuriare della battaglia imporrà un rinvio.
Secondo: cercano di accelerare i tempi del ritiro russo nella speranza di porre fine alle mire espansionistiche di Putin e soprattutto arrivare a un cessate il fuoco da posizioni di vantaggio. L’economia ucraina è in ginocchio, mancano i fondi per pagare gli stipendi pubblici e gli stessi soldati, il governo teme la crisi economica prevista per l’inverno addirittura più della carenza di armi.
Terzo: si segnala alle popolazioni ucraine nelle zone occupate, comprese quelle del Donbass, che non sono state dimenticate. Kiev farà di tutto per scacciare i russi sulle posizioni di partenza.


Ma, aggiunge Cremonesi, «gli esiti della battaglia restano molto incerti» (qui il punto militare di Andrea Marinelli e Guido Olimpio).

Marta Serafini ha invece incontrato a Kiev Giulia Schiff, l’italiana — a suo tempo espulsa dall’Aeronautica militare dopo aver denunciato un episodio di nonnismo — che combatte in Ucraina dall’inizio del conflitto, prima nella Brigata internazionale e ora nel team Masada per le operazioni speciali. «Ho rischiato di morire per la nostra libertà, ma ora qui ho trovato anche l’amore, un soldato della mia stessa formazione», dice.

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Gorbaciov, gigante che cambiò il mondo (odiato nella sua patria): dall’Urss alle critiche a Putin

mercoledì, Agosto 31st, 2022

di Paolo Valentino

Mikhail Gorbaciov, morto martedì 30 agosto a 91 anni, demolì il Muro, ma passa alla Storia come un gigante senza pace. Credeva che ogni nazione dovesse decidere il proprio destino: l’opposto di quanto pensi Vladimir Putin

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Un eroe tragico, un gigante senza pace, il comunista che cercando di salvarlo seppellì il comunismo, il patriota che con le migliori intenzioni preparò la fossa al primo Stato socialista della Storia.

Tutto questo e altro ancora è stato Mikhail Sergeyevich Gorbaciov — morto martedì 30 agosto a 91 anni , l’uomo che, come Icaro, pensò di poter volare vicino al sole ma finì per distruggere sé stesso e l’opera che voleva preservare.

Se potessimo arbitrariamente ridurre a una sola persona, a una sola biografia il Novecento e quelle che Paul Klee chiamava le sue Harte Wendungen, le sue svolte brusche, molto probabilmente questa sarebbe Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione Sovietica, vero demolitore del Muro di Berlino e architetto di quella perestrojka che si rivelò il canto del cigno della Superpotenza comunista.

«Non si poteva andare avanti allo stesso modo», disse in una delle ultime interviste ricordando il suo disperato tentativo di riformare un sistema ormai ossificato, travolto dalla bancarotta ideologica, politica ed economica. Un passo obbligato, nella sua visione, ma un passo avventato. Che in fondo lo denudò come cattivo marxista: al contrario dei compagni cinesi, che avrebbero aperto a un capitalismo selvaggio stringendo le viti della democrazia e difendendo brutalmente il ruolo di guida del partito, Gorbaciov iniziò dalla sovrastruttura politica (la glasnost, la fine della censura, il diritto a manifestare) mentre si mosse poco e confusamente nella struttura economica, mezze riforme e timide aperture al mercato. E intanto, costretto dal riarmo dell’America di Reagan e sperando negli aiuti dell’Occidente, col quale si era vantato di avergli tolto il nemico, cedette pezzo per pezzo i cardini della potenza sovietica: gli euromissili, le armi strategiche e quelle convenzionali, il patto di Varsavia, le aree di influenza.

Quando nel 1989, il generale Sergeij Akromeev incontrò per la prima volta il nuovo capo della delegazione americana ai negoziati Start, Richard Burt, gli disse senza perifrasi che Gorbaciov aveva tradito il comunismo, ma che lui, che aveva combattuto nell’assedio di Leningrado, non avrebbe mai permesso che l’Unione Sovietica venisse umiliata in quella trattativa. Andò diversamente.

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