Archive for Giugno, 2022

Il piano segreto di Landini: il partito dei populisti rossi

giovedì, Giugno 30th, 2022

Laura Cesaretti

Un po’ Lula, un po’ Mélenchon. Alla testa di un nuovo partito della sinistra populista, messo insieme a tavolino utilizzando sigle e personaggi in cerca di autore (dai 5S di Conte a Leu al Prc), ma senza assumersi i rischi della leadership in prima persona: il suo sogno è fare il burattinaio, muovendo le piazze contro il governo Draghi e il parlamento, perché «il popolo non si sente più rappresentato, e infatti non va a votare per gli attuali partiti», che ormai «rispondono alle multinazionali e a altri interessi».

Il piano potrebbe ricordare vagamente Trump o il generale Pappalardo, ma invece il protagonista è il capo del principale sindacato italiano: Maurizio Landini. Che per discuterne ha convocato per domani un summit di leader e dirigenti del centrosinistra, con lui a capotavola. Ci saranno Enrico Letta, Carlo Calenda, Roberto Speranza, Giuseppe Conte, Ettore Rosato per Iv e ancora Fratoianni, Elly Schlein, Acerbo (Rifondazione, che a quanto pare ancora esiste). Sul tavolo, la legge di bilancio «alternativa» made in Cgil per lanciare l’attacco a Draghi e costruire l’autunno caldo che dovrebbe far maturare il nuovo partito melenchonian-lulista. Parole d’ordine: recupero integrale dell’inflazione sui salari, defiscalizzazione, decontribuzione, riduzione dell’orario a parità di salario, pensione a 62 anni per tutti. I contenuti della sfida politica li ha spiegati il 18 giugno scorso dal palco della manifestazione di Piazza San Giovanni: «Vogliamo che prima di scrivere la legge finanziaria Draghi ne discuta con noi: dobbiamo capovolgere il percorso. Costruiamola noi e sosteniamola nelle piazze. I partiti non possono far finta di niente: se il 50% non va a votare vuol dire che non si sente rappresentato da nessuno». Della rappresentanza di chi non va a votare si sente evidentemente investito lui: «E non ci fermeremo fino a quando il Parlamento non accetta di mediare con noi, e non tra loro». Governo e parlamento, in pratica, devono scrivere la prossima manovra sotto dettatura della Cgil, e sotto la pressione della «piazza» evocata da Landini. In una clamorosa inversione dei rapporti vigenti in democrazia tra rappresentanza politica e parti sociali. Non a caso persino in Cgil qualche critico si spinge a parlare di «ipotesi eversiva di stampo populista».

Ma su questa piattaforma, e usando la forza di pressione del sindacato (di cui a dicembre sarà rieletto segretario) come massa di manovra, Landini pensa non solo di mettere spalle al muro il governo, ma anche di far nascere un rassemblement tra sigle della sinistra e quel che resta di M5s, pronto a scendere in campo nel 2023: i suoi rapporti con Conte (che cerca disperatamente un’ancora che lo tenga a galla), Leu e compagni sono intensi, e Bersani si è già spinto a prevedere che «in autunno ci sarà una novità politica». E a sostenere che dalla crisi dei 5S, grazie a Conte, sta emergendo «una sinistra di nuovo conio».

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Perché ci serve il gendarme Usa

giovedì, Giugno 30th, 2022

Nathalie Tocci

Il vertice Nato a Madrid segna una svolta: l’ufficializzazione che il post-Guerra fredda è finito e che la Russia rappresenta non più un partner strategico, ma una minaccia diretta per l’Europa. Associata ad una mano tesa a Mosca, la deterrenza è rimasta un pilastro per l’Alleanza Atlantica anche nel periodo che si è aperto dopo la fine della Guerra fredda. A seguito della crescente aggressività della Russia, soprattutto dal 2014 in poi, la deterrenza è andata via via aumentando, fino agli attuali 40mila militari in alta allerta che oggi si trovano sul territorio Nato. 40mila militari rappresentano sì un’efficace deterrenza, ma non una vera e propria difesa laddove ce ne fosse bisogno. Come è noto, la Russia aveva mobilitato ben più di 200mila uomini ai propri confini occidentali prima di dare il via all’invasione dell’Ucraina.

Il vertice Nato non poteva non prendere atto che la guerra c’è e che non dà segni di poter finire in tempi brevi. Finché Vladimir Putin rimarrà al potere è difficile, se non impossibile, immaginare una reale pace. È per questo che la postura militare cambia: sarebbe semmai irresponsabile non farlo. Saranno così 300mila i militari Nato in alta allerta per rispondere ad un eventuale “spillover” nel resto del continente della guerra in corso in Ucraina. Gli Stati Uniti in particolare hanno risposto positivamente alle richieste degli alleati est-europei, con una base permanente in Polonia e 5mila uomini aggiuntive in Romania. Il vertice dell’Alleanza segna una svolta anche perché inquadra la guerra in Ucraina e lo scontro con Mosca come parte di una sfida molto più ampia che vede come protagonista la Cina. Il nuovo Concetto Strategico non dipinge esplicitamente un mondo diviso tra democrazie e autocrazie, ma è chiaro nel definire quella posta da Pechino come una sfida sistemica non soltanto ai nostri interessi, ma anche ai nostri valori. Probabilmente, se gli Stati Uniti non vedessero lo scontro con Mosca collegato all’antagonismo con la Cina, non si spenderebbe tanto su una potenza, quella russa, tanto pericolosa quanto palesemente in declino. Infine, il vertice di Madrid ha visto l’invito formale dell’Alleanza Atlantica alla Finlandia e alla Svezia, in risposta alle richieste di adesione dei due Paesi nordici minacciati da Mosca. Il nodo del veto della Turchia è stato sciolto con un memorandum d’intesa tra Svezia, Finlandia e Turchia, e la luce verde di Joe Biden alla vendita di caccia F-16 ad Ankara. La ratifica dell’adesione da parte dei trenta Stati membri della Nato non sarà immediata, ed è prevedibile che Ankara dia ancora del filo da torcere mentre si avvicina a elezioni presidenziali l’anno prossimo il cui risultato è tutto tranne che scontato. Detto questo, l’allargamento dell’Alleanza è una questione di quando, non più di sé; un altro segnale di drammatica presa d’atto della “Zeitenwende” che stiamo vivendo. L’era in cui vivevamo era confortevole, non c’è dubbio: un’era segnata da pace e prosperità, ma anche da una buona dose di ipocrisia e convenienza, visto che ci ostinavamo a non vedere che qualcosa di radicale stava cambiando a Mosca. C’è chi lo fa ancora, puntando il dito contro l’espansione della Nato, e citando le preoccupazioni della Russia o i diritti delle minoranze russofone in Ucraina orientale (le prime vittime della guerra criminale del Cremlino). Eppure Putin e l’intero establishment russo parlano ormai apertamente del reale obiettivo di questa guerra: la restaurazione del territorio “storico” della Russia. È evidente che un progetto del genere non si ferma volontariamente nel Donbas. Inevitabilmente l’Alleanza Atlantica, che ruota attorno alla difesa collettiva e che include e includerà Paesi che rappresentano potenziali prede di Putin, deve fare i conti con questa nuova realtà.

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Estradizione negata dei brigatisti, il giudice Caselli: “Pesa il pregiudizio sul nostro Paese. Nessuno può diventare un ex assassino”

giovedì, Giugno 30th, 2022

Giancarlo Caselli

La giustizia francese ha negato all’Italia l’estradizione di vari cittadini italiani riparati in Francia per sfuggire all’esecuzione di condanne definitive inflitte nel nostro Paese per gravi reati (anche omicidi) di matrice terroristica. A fronte di questa eventualità, qualche tempo fa un ministro francese ebbe a rivolgersi a quella fazione dei suoi concittadini che era contraria alla estradizione chiedendo che cosa avrebbe detto se qualcuno avesse osato rifiutare alla Francia l’estradizione di uno o più responsabili del grave attentato terroristico del Bataclan (proprio in questi giorni arrivato ad un pubblico processo lungamente atteso dall’opinione pubblica tutta). In questo modo quel ministro voleva significare che ci sono leggi dell’umanità che devono affermarsi come vere leggi sanzionate, anziché essere solo frasi di stile, relegate in qualche preambolo di accordi internazionali. In altre parole, che vi sono diritti insopprimibili legati alla dignità, ai sentimenti, alle radici culturali e alle esigenze di ogni stato democratico. La giustizia francese – nel caso dei terroristi italiani non estradati – sembra aver deciso in base a criteri tutt’affatto diversi. In sostanza, chi uccide e viene condannato in Italia per gravi fatti di terrorismo, se scappa in Francia può essere perdonato e sottratto alla giustizia italiana.

Difficile, davvero difficile, non ipotizzare che su atteggiamenti di questo tipo possa influire in modo decisivo anche un antico pregiudizio verso il nostro Paese, alimentato dalla favola di un’Italia di fatto «fascista» che ha combattuto il terrorismo a colpi di teoremi, di accuse senza prove, di imputati condannati in violazione dei principi dello stato di diritto. La favola quindi di personaggi che se commettevano gravi delitti lo facevano per nobili ideali da assumere come giustificazioni scriminanti. Un saggio ha detto che si può anche diventare ex terroristi ma non si diventa mai ex assassini. Vale a dire che ci sono delitti contro la civile convivenza democratica che non possono essere cancellati con un tratto di penna, dimenticando che sono stati commessi nell’ambito di una guerra unilaterale spietata e feroce, dichiarata dalle catacombe della clandestinità contro persone arbitrariamente elette a simboli da abbattere. Farlo equivale a rendersi vittime di una colpevole amnesia, con un senso etico a corrente alternata o geograficamente variabile, se non del tutto carente.

Mi rendo conto di aver espresso opinioni che mi espongono alle ire dei tanti «benpensanti» ( anche italiani) sempre pronti ad autoproclamarsi garantisti doc, squalificando nel contempo come giustizialisti, manettari o forcaioli tutti coloro che la pensano diversamente. In realtà molto spesso il loro è un garantismo peloso, selettivo: nel senso che l’applicazione delle regole viene diversificata a seconda dello status ed in particolare delle tendenze politiche di questo e di quello. Il contrario del garantismo vero, classico: che è veicolo di eguaglianza o altrimenti non è.

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Covid, Covid in ripresa ovunque. Ecco perché gli Usa acquistano 100 milioni di dosi di vaccino Pfizer per la campagna d’autunno

giovedì, Giugno 30th, 2022

ROBERTO CAUDA

ROMA. Il dipartimento della Salute degli Stati Uniti, in collaborazione con il dipartimento della Difesa, ha annunciato un accordo per l’acquisto di oltre 100 milioni di dosi del vaccino anti Covid-19 Pfizer per la campagna di vaccinazione autunnale. Il contratto da 3,2 miliardi di dollari comprende sia dosi per adulti che per uso pediatrico. Analizzando i numeri che giornalmente vengono forniti circa l’andamento della pandemia in Italia, è ragionevole prevedere che assisteremo nelle prossime settimane quasi certamente ad un incremento dei casi tale da configurare una quinta ondata in estate. Infatti, il monitoraggio settimanale della pandemia indica un progressivo netto aumento dei nuovi contagi praticamente in tutte le regioni italiane, con un’incidenza che supera i 500 casi per 100.000 abitanti in diverse province. A questa crescita che non accenna a diminuire si associa, ma in misura minore, l’aumento dei ricoveri in area medica ed in terapia intensiva, mentre i decessi restano sostanzialmente invariati.

Diffusione delle varianti
La diffusione delle varianti Omicron 4 e 5, che sono più trasmissibili anche se non più gravi, contribuisce grandemente alla circolazione del virus ed al conseguente attuale aumento dei casi. Inoltre, ciò che sta accadendo in questo periodo sfata la convinzione che l’estate doveva essere considerata un porto franco, quando il virus circola di meno. Nel 2020 ha certamente influenzato il basso numero di contagi estivi, l’onda lunga del lockdown attuato da marzo a giugno e nel 2021 la percentuale crescente di soggetti recentemente vaccinati e quindi protetti nei confronti delle varianti allora in circolazione. L’incidenza di infezioni ospedaliere da SARS-CoV-2 avvenute in 12 ospedali regionali del Massachussets, tra il 21 luglio 2020 ed il 28 febbraio 2022, viene descritta in uno studio (Komplas M. e altri) da cui emerge un significativo aumento delle infezioni intra-ospedaliere da SARS-CoV-2 legato alla variante Omicron. Questo aumento può essere spiegato dall’ampia diffusione in comunità di Omicron, variante che si caratterizza per una maggiore contagiosità e che determina una elevata incidenza di infezioni negli operatori sanitari, nei visitatori ed in altri pazienti che possono quindi essere altrettante sorgenti di infezione.

Misure di controllo
Per questo motivo, nell’articolo si sottolinea che, a dispetto delle stringenti misure di controllo delle infezioni e dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, il rischio di infezioni intra-ospedaliere può essere significativamente elevato quando una variante virale, come Omicron, è molto trasmissibile ed è diffusa ampiamente nel territorio. Uno studio (Caccuri F e altri) sottolinea che le mutazioni che insorgono nello spike di SARS-CoV-2 contribuiscono largamente all’adattamento virale all’uomo. Infatti, la persistenza di un virus all’interno di un organismo consente l’evoluzione del virus e ciò per SARS-CoV-2 si è probabilmente verificato in pazienti immunocompromessi che consentono la replicazione virale per un lungo tempo. Infatti, gli autori dimostrano l’esistenza di mutanti minori di SARS-CoV-2 in campioni biologici ottenuti da un paziente immunocompromesso che si sono sviluppati nel corso di una infezione persistente (222 giorni di replicazione virale). In particolare, il mutante originale è stato sostituito da una quasi specie minore che esprime due mutazioni critiche nello spike e questo determina sia una più rapida capacità replicativa del mutante rispetto all’originale, che un maggior effetto sul sistema immunitario ed in particolare sulla produzione di gamma interferone. L’importanza di questa segnalazione risiede nel fatto che la comparsa di una quasi specie virale diversa da quella originale, se ha una capacità replicativa maggiore, può soppiantare il virus originale e, quasi certamente, questo è il meccanismo che ha dato origine alle varianti che oggi conosciamo di SARS-CoV-2.

Il ruolo del microbioma intestinale

E’ noto che il microbioma intestinale, gioca un ruolo importante in diverse malattie ed in questo studio (De Maio F. e altri) è stato analizzato il microbioma intestinale di 30 pazienti ospedalizzati con polmonite da SARS-CoV-2. Dall’analisi dei risultati emerge chiaramente che l’infezione da SARS-CoV-2, induce significativi cambiamenti nella flora microbica intestinale, cambiamenti che tendono a regredire in tempi piuttosto lunghi. Inoltre, esistono molti fattori riferibili al microbioma intestinale che potrebbero influenzare il decorso della malattia COVID-19 e per questo l’auspicio è che studi analoghi con casistiche più significative vengano condotti al più presto per chiarire questo importante aspetto.
Una press release (Comunicato stampa) della Food and Drug Administration (FDA) americana ha annunciato che è stato autorizzato l’uso emergenziale dei vaccini contro COVID-19 Moderna e Pfizer per la prevenzione della malattia nei bambini al di sotto dei 6 anni di età. Questa autorizzazione si basa sulla valutazione dei dati di sicurezza ed efficacia ottenuti somministrando i vaccini a mRNA in questa fascia d’età ed in considerazione dei noti e potenziali benefici che sono maggiori dei potenziali e noti effetti collaterali.

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Italia, generazione disarmata

giovedì, Giugno 30th, 2022

Domenico Quirico

Proviamo a immaginare un punto di vista diverso per decifrare la scarsa attenzione che l’opinione pubblica occidentale e italiana, in particolare i giovani, presta al quotidiano aggravarsi e allargarsi del fronte della guerra ucraina. Ormai sotto vesti Nato ascesa a scenari globali. Dopo cinque mesi continua a esser percepita come un conflitto barbaro ma circoscritto ai due protagonisti, che prima o poi basterà una spintarella per far abbiosciare il colpevole, Putin, e reintegrare l’Ucraina nei suoi sacrosanti diritti di paese invaso e parzialmente smembrato. Anche se non basta avere ragione in guerra e in politica, bisogna avere vittoria.

È sorprendente: la guerra in sé non spaventa, eppure è una mischia feroce, selvaggia. Semmai turbano un po’ le sue conseguenze indirette, aumento dei costi economici, penurie, nuove migrazioni. Non parlo del giudizio sulla giustizia della causa ucraina e il torto russo, invasore che fa di tutto per rendersi odioso, condiviso da una larga maggioranza perché evidente. Parlo della paura: fisica, personale, elementare, che ti impregna la giornata, la paura di essere anche tu sotto le bombe e nelle trincee come i soldati del Donbass. Riusciamo a vivere nella guerra lontano dalla guerra come se intorno a noi si fosse avvolto una specie di bozzolo. La malattia del secolo, la preoccupazione, qui non si avverte.

Invece pacifisti e cassandre scomparse, Papa zittito, si aspettano fiduciosi le vacanze. Sono dunque efficaci le rassicurazioni dei governanti che più agiscono per prolungare la guerra ed alzarne il livello più usano i diminutivi, garantiscono che noi non la stiamo combattendo. Direttamente: ecco l’avverbio chiave, direttamente.

A dar loro una mano nel controllare umori e tremori dell’opinione pubblica contribuisce il fatto che questa è la prima guerra non geograficamente periferica che le giovani generazioni italiane vedono in televisione e sui media vecchi e nuovi senza che per loro contenga la possibilità, o meglio l’incubo, di essere coinvolte in prima persona a causa della leva obbligatoria.

Immaginiamo che la leva non sia stata sospesa dal 1990 e poi abolita dal 2005 e sostituita da un esercito di professionisti, ponendo fine (ma davvero in modo definitivo?) a un dibattito avviato con la leva in massa dei rivoluzionari del 1789. Immaginiamo che ogni sera migliaia di famiglie guardino al telegiornale le scene del tritacarne russo con la sua brutalità meccanica e ascoltino le contromisure che la Nato riunita a Madrid e i governi occidentali adottano per sconfiggere quello che è stato ormai definito come “il nemico’’ (e non è questa una esplicita dichiarazione di guerra’’?). Cosa accadrebbe, intendo politicamente, se dovessero riflettere sulla possibilità che arrivi la “cartolina’’ che accompagnerebbe obbligatoriamente i figli mariti e i nipoti verso caserme e reggimenti, appena abbandonate dopo i dieci mesi con salutare esultanza? Se la scelta non fosse dunque per noi molto accademica, tra pace e condizionatore. Ma non ci fosse come un tempo nessuna scelta: ovvero la guerra e basta.

La garbata attenzione all’Ucraina cambierebbe senso, come può cambiare la direzione del vento. Ma l’attenzione, il rifiuto della guerra dovrebbe essere istintivo, indipendente dal coinvolgimento diretto.

Nessuna nostalgia, per carità, per la “naja’’. Per sintetizzare in una parola breve ed efficace il servizio militare nel secondo dopoguerra basta una sola paroletta: uffa! quella sopravvivenza militaresca, quella specie di morta gora dopo tutto quello che la seconda guerra mondiale aveva distrutto apparteneva al massimo alla meditazione sulla stupefacente forza di sopravvivenza delle istituzioni umane. Ma quei mesi inutili passati in caserma da cui la maggioranza non vedeva l’ora di evadere per riprendere la via più spedita verso la vita normale, collegavano migliaia di giovani alla idea della guerra, alla possibilità un giorno che quei fucili, quei cannoni dovessero impugnarli e puntarli verso altri uomini, sconosciuti, il Nemico. Che stava a oriente come ai tempi di Cecco Beppe. La guerra insomma per loro esisteva. Dopo la fine della leva è scomparsa. Divenuta impossibile. Remota. Riguardava coloro che l’avevano scelta come mestiere e accettavano l’ipotesi di morire.

Se esistesse ancora questa paura privata, la massa dei dubbiosi dei contrari sarebbe molto alta. Ci sarebbero i cortei e i sit-in contro la guerra. Non a favore della Russia, che i putiniani se li sono inventati i trinceristi dell’atlantismo: perché senza reprobi come si fa a dire di avere ragione? Un tempo si dubitò se valesse la pena morire per Danzica. Credo, purtroppo, che sorgerebbero dubbi anche se valga la pena morire per il Donbass.

L’assenza del rischio personale incide sulla percezione della guerra. Nel senso che essere come è giusto a fianco degli ucraini appare come faccenda teorica, senza conseguenze.

La istituzione della leva che fu il primo atto del nuovo Stato unitario, ha cambiato l’Italia, mescolando genti che appartenevano a Stati diversi, ha insegnato una lingua comune a masse di analfabeti che la scuola non poteva ancora raggiungere. Ha davvero fatto gli italiani.

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La telefonata e il no all’incontro, Draghi adesso teme lo strappo

giovedì, Giugno 30th, 2022

ILARIO LOMBARDO

INVIATO A MADRID. La crisi, adesso, è una minaccia concreta. Lo intuisce Mario Draghi. Lo intuisce quando chiude la telefonata con Giuseppe Conte e quando gli riportano gli ultimatum dei leghisti, pronti a lasciare il governo dopo l’accelerazione impressa da Pd e M5S alle leggi sulla cannabis e sulla cittadinanza ai figli di immigrati che frequentano le scuole italiane. È una giornata che sembra complicarsi di ora in ora, per il presidente del Consiglio, volato l’altro ieri sera a Madrid per un importantissimo vertice della Nato, forse il più importante della sua storia, il primo che si tiene mentre l’Europa riscopre il sapore di ferro della guerra in casa. Eppure, Draghi lascia il vertice con un giorno di anticipo, a sorpresa, per rientrare a Roma in serata, dopo la cena con i leader al museo del Prado. E dopo lunghe ore di polemiche scatenate dai due principali partiti della coalizione.

Alle tre di pomeriggio, Draghi convoca la stampa per una breve dichiarazione. In Italia, sta succedendo di tutto. Le rivelazioni sulle telefonate del premier a Beppe Grillo, in cui, secondo quanto il comico avrebbe confessato al professore Domenico De Masi e a diversi deputati, Draghi avrebbe chiesto di liquidare la leadership di Conte, hanno mandato su tutte le furie l’avvocato. L’ex premier attacca il suo successore frontalmente. È la prima volta che succede. Con toni che suonano implacabili e prima di salire al Quirinale dal presidente Sergio Mattarella.

Per ore Draghi non smentirà nulla delle ricostruzioni. Lo farà solo all’ora di cena, quando fonti di Palazzo Chigi preciseranno che il presidente del Consiglio «non ha mai detto o chiesto» a Grillo di rimuovere Conte dal M5S. Stessa smentita che quasi contemporaneamente arriva da Grillo, il che ha fatto sospettare un contatto tra i due. Nel pomeriggio, però, Draghi si limita a rivelare solo di aver sentito al telefono Conte, di aver «iniziato» con lui un chiarimento e di aver rinviato il confronto a un faccia a faccia che il presidente del Consiglio avrebbe voluto avere già oggi, al suo ritorno a Roma.

La telefonata, in realtà, non sarebbe andata benissimo. Almeno stando alle fonti più vicine a Conte. È Draghi a cercare il leader. In un primo momento, il presidente del M5S, impegnato in una riunione, non risponde. Poi è lui a richiamare il premier. Draghi prova a spiegare quello che è avvenuto e a dare la sua versione dei fatti. Conte non gli crede, ed è categorico. Durante il colloquio più volte userà il termine «grave». «È molto grave quello che è successo – dice – Non ne faccio una questione personale, ma di democrazia e di istituzioni». Per Conte, è inaudito che il premier intervenga nella vita interna di un partito. Ma c’è di più.

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Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi |Allarme degli 007 Usa: Mosca potrebbe usare armi nucleari tattiche

giovedì, Giugno 30th, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro e Paolo Foschi

Le notizie di giovedì 30 giugno sulla guerra, in diretta

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Un soldato ucraino in una trincea nell’area di Odessa (Epa)

La guerra in Ucraina è arrivata al 127esimo giorno.
• I russi continuano a premere su Lysychansk. Alle forze di Kiev mancano armi, munizioni e dispositivi indispensabili come i visori notturni.
• Gli 007 Usa: «Mosca userà l’atomica? Possibile». Nuovo scambio di prigionieri: liberati 144 soldati ucraini, tra cui 95 combattenti del reggimento Azov.
• La Nato aumenterà la presenza in Europa: in arrivo in Italia un altro battaglione Usa e un sistema di difesa antiaerea. Draghi ha lasciato il summit in anticipo.
• Stoltenberg: «Gli alleati sono pronti a una guerra lunga. Sapevamo dell’invasione già in ottobre, abbiamo lavorato per impedirla».
• Zelensky ha ricevuto ieri il presidente dell’Indonesia e il miliardario Richard Branson.

Ore 09:07 – Ucraina: partita una nave con 7.000 tonnellate di grano

Una nave con 7.000 tonnellate di grano ha lasciato il porto ucraino occupato di Berdyansk. Lo riferiscono le autorità filo-russe.

Ore 08:44 – Putin: «L’adesione Finlandia e Svezia non preoccupa Mosca»

L’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia non preoccupa la Russia che si riserva tuttavia di rispondere a un eventuale «dispiegamento di infrastrutture e contingenti militari dell’Alleanza atlantica» nei due Paesi nordici «seguendo il principio della reciprocità», ha affermato Vladimir Putin. Svezia e Finlandia nella Nato «non creano lo stesso problema che si porrebbe nel caso dell’Ucraina» nell’Alleanza atlantica.

«Non abbiamo dispute territoriali con loro. La loro adesione alla Nato non ci preoccupa. Sono liberi di fare quello che vogliono», ha ribadito Putin da Ashgabat. «Con Finlandia e Svezia avevamo relazioni positive, e ora ci saranno alcune tensioni. E’ evidente, non c’è modo di evitarlo», ha aggiunto il Presidente russo.

Ore 08:25 – Lisichansk sotto bombardamenti incessanti, «no tregua»

La città in prima linea Lysychansk , è sotto incessanti bombardamenti mentre la Russia continua con la sua offensiva nell’Ucraina orientale. Il governatore regionale Serhiy Haidai ha dichiarato alla televisione ucraina: «La battaglia è in corso. I russi sono costantemente in offensiva. Non c’è tregua. Assolutamente viene tutto bombardato». Le autorità ucraine hanno affermato che stavano cercando di evacuare i residenti dalla città, al centro degli attacchi della Russia, dove circa 15.000 persone sono rimaste sotto gli incessanti bombardamenti.

Le forze russe stanno circondando la città mentre provano a prendere la regione industrializzata del Donbass orientale. Tutte le strade da e per Lisichansk sono controllate dalle truppe della Federazione russa e dai ribelli della sedicente autoproclamata Repubblica di Lugansk, la via Lysichansk-Artyomovsk è completamente chiusa, secondo Rodion Miroshnik, un funzionario russo. Il territorio della raffineria di Lysichansk è passato completamente sotto il controllo delle forze russe.

Ore 07:45 – Putin: «L’obiettivo della Russia è liberare il Donbass»

(Luca Angelini da Prima Ora) Putin ieri ha anche detto che, per quanto riguarda l’«operazione militare speciale» (leggi invasione) in Ucraina, «l’obiettivo della Russia è liberare il Donbass». Da Kiev, l’inviato Andrea Nicastro segnala, però, che la direttrice dell’intelligence americana, Avril Haines, non è d’accordo: «Dobbiamo aspettarci di tutto, da Mosca. Putin non ha rinunciato all’idea di conquistare tutta l’Ucraina». E aggiunge: «I russi impiegheranno anni a riprendersi. Potranno avanzare, ma in modo limitato e la frustrazione potrebbe indurli ad attacchi cibernetici, a controllare le reti dell’energia e persino all’uso dell’atomica. Da parte loro gli ucraini dovrebbero riuscire a stabilizzare il fronte e a riconquistare parte del Sud. La guerra si prospetta lunga».
(Qui il punto militare di Andrea Marinelli e Guido Olimpio)

Nicastro segnala anche che, nel più grande scambio di prigionieri dall’inizio dell’invasione, 144 soldati ucraini sono stati liberati da Mosca in cambio di altrettanti russi. Tra gli ucraini c’erano 95 «difensori di Mariupol» e, tra questi, 43 del reggimento Azov. «Il tabù è rotto. Anche se i 144 sono in gran parte gravemente feriti, l’idea di processarli non è un obiettivo irrinunciabile».

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Ore 07:38 – L’arci-putinista Patrushev, il «clown» Medvedev e gli altri. Chi conta davvero a Mosca?

(Marco Imarisio) Quasi tutti gli uomini del presidente. E quanto pesano, soprattutto. Sono mesi in cui per forza di cose gli esercizi di Cremlinologia sono diventati un sottogenere giornalistico, con annesse previsioni sul nuovo Zar nell’improbabile caso di abbandono, o peggio, da parte di Vladimir Putin. Novaya Gazeta, il quotidiano diretto dal premio Nobel Dmitry Muratov , ha fatto una operazione diversa. Sulla sua edizione online, l’unica ormai possibile, ha affidato ad alcuni politologi la valutazione sulla effettiva rilevanza dei personaggi che più di tutti recitano il ruolo di guerrafondai e nemici dell’Occidente.

Cominciamo con i due cattivi mediatici per eccellenza, Ramzan Kadyrov e Dmitry Medvedev , i due uomini che ogni mattina danno il buongiorno al creato con parole sempre più aggressive contro «i nemici della Russia». Il leader ceceno si è accreditato con i consueti toni sguaiati come il cattivo tenente di Putin. Ma è innegabile come la guerra in Ucraina gli stia dando la possibilità di uscire dal cono d’ombra del leader regionale e di ritagliarsi un ruolo importante a livello federale. Non ha alcuna possibilità di sostituirlo, ma almeno è diventato un interlocutore del presidente. Quella dell’ex delfino dello Zar è invece una parabola opposta. La tribuna degli esperti di Novaya Gazeta è concorde su Medvedev. Un grande avvenire dietro le spalle, e un presente gramo. «La sua figura ormai non appartiene più alla politica, è diventato una specie di clown dei media» dice ad esempio l’analista Nikolay Petrov.

Ore 06:09 – I russi: controlliamo tutte le vie di accesso a Lisichansk

Tutte le strade da e per Lisichansk sono controllate dalle truppe della Federazione russa e dai ribelli dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk, la via Lysichansk-Artyomovsk è completamente chiusa. Lo rende noto Rodion Miroshnik, un funzionario russo secondo Ria Novosti. Il territorio della raffineria di Lisichansk è passato completamente sotto il controllo delle forze russe.

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Grillo: le chiamate a Draghi, le accuse e le gag, 72 ore da «guastatore»

giovedì, Giugno 30th, 2022

di Emanuele Buzzi

Beppe Grillo trascina anche Conte in uno show dove solo lui è il mattatore. Il suo passaggio lascia strascichi tra i 5 Stelle: «Ci sta triturando»

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Un po’ istrione, un po’ guastatore. Beppe Grillo nelle sue giornate romane si è ripreso la scena e lo ha fatto a modo suo. Ha detto tutto e il contrario di tutto disorientando eletti e vertici Cinque Stelle. «Il Movimento non esce dall’esecutivo». «Valutiamo l’appoggio esterno». «Il limite dei due mandati è un totem? Sì, certo». Eppure: «Si potrebbe pensare a qualche eccezione, ma vediamo ora i dettagli con Giuseppe». L’ex premier è anche il bersaglio di battute pubbliche: «Avevo un progetto» sulle tecnologie digitali, «l’ho dato anche a Conte, ma darlo a Conte è come buttarlo dalla finestra». E di sfoghi privati, come quello raccontato da Domenico De Masi. «Secondo Grillo, Draghi gli ha chiesto di rimuoverlo dal M5S, perché inadeguato», racconta il sociologo al Fatto parlando di Conte.

Proprio questo episodio però diventa il caso incendiario del giorno. E Grillo ancora una volta spiazza i cronisti: «Storielle». Ma in realtà il caso lascia il segno. «Ogni volta vengo strumentalizzato e raccontano ca…ate su di me e su Draghi…». Le parole raccolte dall’Adnkronos e il fatto che il leader abbia scelto di far saltare la riunione con i ministri M5S hanno l’effetto di riaccendere il dibattito interno. E innescare congetture. «Beppe è una furia. Per tutto», dicono gli stellati. «Ora farà sentire il suo dissenso ogni volta che potrà: è stato un errore cercare di metterlo all’angolo». «Ma no, è solo stanco», controbattono esponenti contiani commentando gli impegni disdetti all’ultimo dallo showman. E anche fonti vicine al garante ribadiscono: «Ha avuto giornate pesanti».

Sta di fatto che il garante riesce nel giro di 72 ore a destabilizzare qualsiasi certezza e a trascinare anche Conte in uno show dove solo lui è mattatore. «Ci sta triturando e noi siamo qui ad applaudirlo come pagliacci», masticano amaro alcuni Cinque Stelle al secondo mandato. «Conte e Grillo sono inconciliabili: che ne prendano atto», dicono ai piani alti del Movimento. Insomma, l’uragano Grillo, anche se velato di amarezza riesce comunque a scombinare i piani.

E così l’unica certezza è che salta la candidatura alle primarie in Sicilia di Giancarlo Cancelleri: uno stellato che Grillo lanciava dieci anni fa sul palcoscenico della politica attraversando a nuoto lo Stretto, uno stellato che nel 2021 si è schierato al fianco di Conte proprio contro il garante. Lo stop a Cancelleri — che ieri ha annunciato il suo passo indietro alla candidatura dopo che Skyvote ha reso noto che era impossibile procedere a una votazione entro i tempi richiesti — potrebbe dare il la a nuovi addii nei prossimi giorni. Ma l’Elevato, come si fa chiamare, è irremovibile. Grillo non accetta di metterci la faccia sulle deroghe. La partita per ora è sospesa, ma molto probabilmente sarà il presidente M5S a doverci mettere la faccia, salvando i big storici «in nome delle competenze».

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I due nodi dei partiti più forti

giovedì, Giugno 30th, 2022

di Angelo Panebianco

Le amministrative non possono dirci cosa accadrà quando si terranno le elezioni politiche. Se non altro perché l’astensione, presumibilmente, sarà più bassa e le situazioni locali non peseranno sugli orientamenti di voto. Come i sondaggi, esse confermano solo che i principali sfidanti saranno Fratelli d’Italia e il Partito democratico. La frammentazione partitica resterà forte, la somma dei voti dei due partiti maggiori, plausibilmente, non raggiungerà la metà dei voti validi. Ma essi saranno, l’uno per l’altro, l’avversario da battere. Ciascuno dei due partiti ha oggi, accanto a elementi di forza, anche qualche seria debolezza. Mentre la sua posizione sull’Europa è il tallone d’Achille di FdI, il cosiddetto «campo largo» è quello del Pd.

A differenza dei suoi (confusi) partner del centrodestra, Giorgia Meloni ha conferito al suo partito caratura e piglio di forza di governo con la decisa scelta atlantista in difesa dell’Ucraina. Adesso FdI (al pari del Pd) è un partito che ha acquistato un forte credito presso i nostri alleati occidentali. Chi pensa che in politica queste cose contino poco è afflitto da provincialismo. A dispetto delle apparenze, e di ciò che è accaduto in queste amministrative, è possibile che FdI riesca anche a presentarsi alle elezioni con uno schieramento di destra relativamente coeso. A causa del fatto che la stella politica di Salvini sembra al tramonto. Con Forza Italia e con una Lega in cui tornino a contare i presidenti di Regione e gli amministratori locali, forse non sarà difficile per FdI trovare intese su questioni strategiche come, per esempio, tasse o politica dell’immigrazione.

L ’Unione europea, invece, è una specie di macigno sulla strada che conduce a Palazzo Chigi. La difesa della «sovranità nazionale» e la conseguente postura polemica nei confronti dell’«Europa che c’è» sono per FdI elementi identitari. Un po’ come lo ius soli o il sostegno al movimento Lgbt per il Pd. Ma la differenza è che mentre ius soli e battaglie Lgbt, quali che possano esserne gli effetti di lungo termine sulla società, non incidono sul gioco degli interessi qui ed ora, non hanno un rapporto immediato con il tenore di vita degli italiani o con l’andamento della vita economica, le posizioni che si assumono sull’Europa hanno, eccome, un rapporto diretto e immediato con tutto ciò.

Come ha scritto Sergio Fabbrini (Il Sole 24ore, 26 giugno), a causa della stretta interdipendenza fra i Paesi europei, è un grave errore trattare il tema dell’Europa come se avesse a che fare con la «politica estera». L’Unione europea e tutto ciò che la riguarda sono ormai parte integrante della politica interna. Per accettarlo FdI dovrebbe fare un piccolo strappo identitario, dovrebbe riconoscere che, a differenza dei secoli passati, sovranità e interesse nazionale non coincidono. Ormai si difende l’intereresse nazionale partecipando al gioco dell’integrazione, non tentando di allentarne i vincoli. E occorre l’autorevolezza per riuscirci. Non è andando lancia in resta contro l’Europa che Mario Draghi ha spianato la strada per l’Ucraina nella Ue o che ora sembra riuscire nell’impresa di spingere una Germania indecisa a tutto a porre un tetto al prezzo del gas. Non è che FdI debba fare abiure ma qualche seria correzione di rotta sì. Quale che sia la compatibilità con l’appartenenza al gruppo dei conservatori europei. Se andrà a Palazzo Chigi Meloni non potrà inseguire fantomatiche «confederazioni». Dovrà piuttosto gestire al meglio, in stretta cooperazione con le autorità di Bruxelles e gli altri governi europei, i fondi del Pnrr. Quando si va al governo finisce il tempo della poesia e comincia quello della prosa.

L’Europa non è certo un ostacolo per il Partito democratico. Esso è partito europeista per antonomasia. In realtà, proprio la Nato (date le posizioni ostili che persistono in certe aree della sinistra) avrebbe potuto essere per il Pd un problema ma la decisa posizione assunta da Enrico Letta sull’Ucraina ha sgombrato il terreno da ogni equivoco. Il Pd ha il vantaggio di essere da tanti anni (salvo il breve periodo giallo-verde) forza di governo. Nella prossima campagna elettorale dovrà guardarsi dall’accusa, che certamente il centro-destra gli scaglierà contro, di volere la patrimoniale. In un Paese di ceto medio diffuso e di proprietari di case, se il sospetto si diffonderà per il Pd la sconfitta sarà pressoché sicura.

Ma il suo vero punto debole è la politica delle alleanze. Qui gioca un vecchio riflesso, una tradizione che risale ai tempi del Partito comunista. I comunisti, durante le campagne elettorali, non presentavano programmi. Era l’ideologia il programma. Essi si limitavano a chiamare a raccolta gli elettori «contro il potere democristiano». La conventio ad excludendum, la convenzione che escludeva la possibilità che il Pci andasse al governo, lo esimeva dal presentare proposte concrete. Era sufficiente fare promesse di «grandi trasformazioni» che, comunque, il Pci non sarebbe mai stato chiamato a mantenere. Echi del passato ritornano quando esponenti del Pd ci spiegano che un’alleanza con i 5Stelle (magari imbarcando anche Renzi e Calenda) è oggi necessaria «per battere le destre». Ma batterle per fare cosa? Un’alleanza fra forze così eterogenee, una alleanza solo «contro», costruita all’unico scopo di «battere le destre», nelle nuove condizioni, ha ottime probabilità di contribuire a farle vincere. In una recente intervista Enrico Letta sembra consapevole del problema. Ma, per come si esprimono, diversi esponenti del suo partito non paiono averlo compreso. Finite le vecchie ideologie, se vuoi vincere le elezioni devi spiegare che cosa vuoi fare. E solo dopo, di risulta, devi dire contro chi sei. Qui la difficoltà per il Pd è indubbia. Si tratti di politica estera o di politica energetica (caso del termovalorizzatore a Roma) ci sono pochi temi su cui Pd e 5Stelle potrebbero concordare. Per non dire della possibilità di aggregare uno come Calenda, il cui credito presso settori del Paese dipende proprio dalla sua indisponibilità a stringere accordi con i vari populisti. Altro che campo largo.

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Conte-Draghi, la dura telefonata dopo le accuse: se ci volete fuori dal governo, me lo dovete dire

giovedì, Giugno 30th, 2022

di Monica Guerzoni

Draghi costretto a tornare in anticipo dal vertice Nato di Madrid, ma smentisce di aver mai chiesto a Grillo di sostituire Conte alla guida del Movimento 5 Stelle. E il cofondatore del Movimento: «Io strumentalizzato»

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DALLA NOSTRA INVIATA
MADRID — Lo sguardo di Mario Draghi sul capolavoro di Velazquez, Las Meninas, è stanco e sfuggente, forse il presidente italiano ha già la testa al Consiglio dei ministri di oggi. Cruciale, decisivo per le sorti del governo. Non tanto e non solo per il provvedimento che dovrà ridurre il peso delle bollette, quanto per le minacce di rottura che arrivano dai leader di M5S e Lega.

Nonostante le rassicurazioni di Palazzo Chigi la crisi con Giuseppe Conte non è rientrata. L’ex premier, che a sera ha drammatizzato salendo al Quirinale, ha parlato per oltre un’ora con il presidente Mattarella. E con i fedelissimi non ha escluso la possibilità di uscire dall’esecutivo. Non è il solo. Perché ieri, mentre il capo del governo era chiuso alla Fiera di Madrid con Biden, Macron, Scholz, Johnson e gli altri leader della Nato, Salvini accusava l’ala sinistra di «far saltare il governo». Le bollette, certo. Ma c’è anche l’allarme sulla tenuta dell’esecutivo dietro la scelta (sofferta) di Draghi di cambiare in corsa l’agenda e lasciare, dopo la prima giornata, l’importantissimo summit spagnolo sulla strategia di difesa dopo l’aggressione russa all’Ucraina.

Alle tre e mezzo del pomeriggio il premier accetta di rispondere alle domande dei giornalisti. Due sono sulla Nato e quella del Corriere è sui rapporti con Conte. È vero che il premier ha chiesto a Beppe Grillo la testa del leader del Movimento? E se i 5 Stelle escono, si fa un’altra maggioranza o si va a votare? La risposta dell’inquilino di Palazzo Chigi è netta («Il governo non cade»), ma l’imbarazzo è evidente. Tanto che pochi minuti dopo l’ira di Conte fa il giro del Parlamento: «Draghi non ha smentito niente». Ci vorrà qualche ora ancora, e contatti con il fondatore del M5S, prima che la presidenza del Consiglio invii una nota lapidaria per dire che mai l’ex presidente della Bce ha chiesto a Grillo di rimuovere Conte. Ma ormai il caso è deflagrato e la bomba sono le parole che il presidente del Movimento ha detto a Draghi, al telefono, dieci minuti prima delle brevi dichiarazioni ai giornalisti. Era stato il premier a chiamare, ma Conte stava in riunione e si è fatto vivo con calma, con uno sfogo che ha sorpreso Draghi.

«Per il rispetto che ho delle istituzioni e del tuo ruolo non ti avrei attaccato pubblicamente mentre eri impegnato al vertice Nato. Ma se è vero che hai chiesto a Grillo la mia testa — va giù duro Conte — è una cosa gravissima, non per l’attacco personale a me da parte di un premier tecnico, ma perché in ballo c’è il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche». Draghi è spiazzato e vuole chiarire, conferma le conversazioni con Grillo ma smentisce categoricamente di aver mai chiesto al comico e fondatore di rimuovere il leader del M5S. Ma Conte non ha finito: «A che gioco state giocando? Se ci volete fuori dal governo me lo dovete dire, chiaro e tondo». Il plurale lega Draghi a Luigi Di Maio. Conte sospetta che premier e ministro abbiano lavorato di sponda per buttarlo fuori dalla maggioranza, dopo essersi assicurati, con la scissione, una scialuppa di salvataggio in Parlamento: «Ci sono voluti due giorni per aggiungere un aggettivo alla risoluzione sull’Ucraina. Chigi e Farnesina bloccavano ogni nostra proposta e intanto Di Maio, tra Camera e Senato, raccoglieva le firme per spaccare il M5S». E ancora, ancora. L’accusa di aver «piazzato la norma sull’inceneritore nel decreto Aiuti, che stanziava 14 miliardi per i cittadini con misure volute da noi», e la rabbia per «lo stop al superbonus».

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