Archive for Marzo, 2022

Cambiano le bollette di luce e gas: le novità sull’importo

giovedì, Marzo 31st, 2022

Alessandro Ferro

Finalmente una buona notizia per i consumatori italiani: nel secondo trimestre dell’anno (aprile-maggio-giugno) si abbasserà il prezzo delle bollette di luce e gas. Lo ha comunicato l’Arera, Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, con una nota. “Nonostante nuovi record al rialzo dei prezzi all’ingrosso registrati dopo l’invasione russa dell’Ucraina, i dati sugli andamenti dei prezzi, pur in un contesto di grande incertezza, portano a un calo dei prezzi di tutela per l’energia elettrica e il gas naturale, il primo dopo 6 trimestri – 18 mesi – (7 se si considera il gas)”.

Il risparmio per famiglia

Nel dettaglio, il secondo trimestre dell’anno vedrà una riduzione medio a famiglia del costo delle bollette del -10,2% per la bolletta dell’elettricità e del -10% per la bolletta del gas. Il presidente di Arera, Stefano Basseghini, ha spiegato che nonostante la situazione straordinaria e la volatilità del mercato a causa del conflitto, l’Autorità ha deciso di venire incontro ai consumatori e tutelare il libero mercato modificando una componente tariffaria che “permette una compensazione dei costi di commercializzazione del gas”. Una misura di riduzione, a vantaggio di tutti i clienti, che si applica alla fascia di consumi fino a 5mila metri cubi/anno.

Cosa prevede la legge

La riduzione complessiva delle bollette, sia per l’elettricità che per il gas, sarà possibile anche grazie alla costante collaborazione istituzionale con Governo e Parlamento. L’Autorità sottolinea l’annullamento dei famosi oneri generali di sistema in bolletta dal prossimo trimestre grazie a quanto previsto dal decreto-legge n.17/22, con cui il Governo, che ha confermato e anche la riduzione Iva sul gas al 5% per il trimestre ha stanziato ulteriori risorse consentendo di alleggerire le bollette per quasi 30 milioni di utenze domestiche e oltre 6 milioni di imprese.

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Spese sanitarie, scatta l’accredito sul conto corrente: cosa cambierà

giovedì, Marzo 31st, 2022

Federico Garau

Torna in auge il tema del cosiddetto “cashback fiscale”, avviato alla fine dello scorso anno dietro esplicita proposta del Movimento CinqueStelle. Un argomento che riprende quota in concomitanza con la riapertura dei lavori relativi alla riforma del Fisco.

Al momento l’idea di base prevede la restituzione direttamente sul conto corrente del cittadino di tutte quelle spese sanitarie (come analisi, visite specialistiche, assistenza, cure o farmaci) pagate con modalità perfettamente tracciabili. Un sistema che, nelle intenzioni dei grillini, dovrebbe essere esteso anche ad altre tipologie di costi detraibili. L’obiettivo primario, tracciato da una proposta integrativa di Leu, sarebbe quello di partire innanzitutto con le spese socio-sanitarie. Solo in un secondo momento, in caso di riscontri positivi, si potrebbe estendere il medesimo metodo anche alle altre spese detraibili. Ciò presuppone, è bene precisarlo, il reperimento di fondi extra: al momento manca la necessaria copertura finanziaria, che si potrà cercare eventualmente solo con la prossima manovra di bilancio.

La proposta del “cashback fiscale”, sul tavolo del governo sotto forma di emendamenti presentati alla legge per la riforma del Fisco, sarà quindi oggetto di valutazione e successivamente di voto. Tali emendamenti, tuttavia, non includono alcun tipo di dettaglio circa il funzionamento pratico della manovra, ma solo i suoi principi generali. Per ora è possibile solo effettuare delle ipotesi.

Nonostante il nome attribuitogli, tale provvedimento non dovrebbe venirsi a configurare come il “cashback” di grillina memoria, del quale non riutilizzerebbe, quindi, l’impianto tecnologico. L’unico aspetto in comune potrebbe essere rappresentato dalla necessità di comunicare, al momento del pagamento, le coordinate Iban del conto sul quale si intende ottenere il rimborso.

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Giornalisti di guerra, vittime collaterali

giovedì, Marzo 31st, 2022

Un fumettista ha deciso di ritrarre i reporter uccisi o scomparsi: «Meritano di essere ricordati». La procuratrice di Kiev Venediktova: «I numeri ufficiali sono sottostimati»

Davide Lessi

«Volevo fermare questi volti. Dare loro dignità. Più di quanta già ne avessero nelle foto dei tesserini». C’è Gianluca Costantini, cinquantenne fumettista ravennate, dietro questi ritratti dei giornalisti uccisi e scomparsi in Ucraina. Una matita già nota al pubblico italiano per il disegno simbolo della campagna di Amnesty per Patrick Zaki, l’attivista e studente ancora sotto processo in Egitto. «Il progetto sui reporter uccisi nel mondo è partito anni fa con l’organizzazione non governativa Committee to Protect Journalists. Il primo che ho disegnato era un giornalista filippino nel 2004, poi c’è stato il Messico. Non ho più smesso, ne ho fatti a centinaia».

Gli ultimi cinque sono geolocalizzati in Ucraina. «Temo che non saranno gli ultimi e questa tragica lista sarà aggiornata», aggiunge Costantini. Il suo obiettivo, attraverso una sorta di “mappatura”, è creare «un racconto collettivo e parallelo alle cronaca di guerra quotidiana». Basta guardarli questi volti. E leggere le mini-biografie pubblicate a corredo sul sito (https://www.channeldraw.org/) per capire meglio cosa sta dicendo. L’ultima è Oksana Baoulina, la giornalista russa del sito di inchiesta The Insider uccisa a Kiev otto giorni fa «da un drone kamikaze», come denuncia Reporters sans frontières. Colpita, in maniera chirurgica, mentre stava documentando l’attacco missilistico di qualche ora prima a un centro commerciale.

Ci sono anche due veterani di guerra della Fox News: il cameraman Pierre Zakrzewski, 55 anni, e la giornalista ucraina Alexandra Kuvshynova, detta Sasha, appena 24 anni. Il veicolo in cui viaggiavano alle porte di Kiev è stato bersagliato da colpi di armi da fuoco. E poi il giornalista statunitense Brent Renaud, ucciso a Irpin («Lui lo conoscevo – racconta Costantini -. Era stato anche in Libia e avevo visto dei suoi filmati per documentarmi per un mio libro sul Paese nordafricano»). Senza dimenticare Viktor Dedov, morto tra le macerie della sua casa nella città martire di Mariupol. E infine, quello che forse è il primo reporter caduto di questa guerra: Evgueni Sakoun ucciso nell’attacco missilistico alla torre della stazione televisiva (Kyiv Live Tv) dove lavorava.

Non è finita. Nonostante il conto ufficiale parli di cinque reporter morti, la procuratrice generale ucraina Iryna Venediktova ha specificato che «dall’inizio della guerra almeno 12 giornalisti sono stati uccisi, almeno sei rapiti e altri 10 sono rimasti feriti». Vittime collaterali. Poco importa se la Convenzione di Ginevra del 1949 spiega che i «giornalisti che svolgono missioni professionali nelle zone di guerra vengono considerati come civili e protetti in quanto tali». C’è chi preferisce considerarli bersagli, obiettivi da eliminare. «Non è un caso che si colpisca chi vuole testimoniare cosa sta accadendo», commenta Costantini. «In una guerra a fare la differenza sono proprio i reporter che rischiano la loro vita sul terreno».

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Ma il pericolo non è alle spalle

giovedì, Marzo 31st, 2022

Antonella Viola

Da oggi comincia l’allentamento delle restrizioni che dovrebbe condurci gradualmente a una vita pre-Covid19, lontana da Green Pass, vaccinazioni, gel per le mani e mascherine. Ma sarà davvero così? Siamo realmente fuori dall’emergenza Covid19? Non commettiamo l’errore di pensare che, poiché stampa e televisioni non si occupano più della pandemia, abbiamo chiuso la partita con il nuovo coronavirus. Purtroppo, non è così: la circolazione del virus non si è affatto arrestata e il futuro resta pieno di dubbi e preoccupazioni. Lo conferma la recentissima decisione della Fda – l’ente che regolamenta l’uso dei farmaci negli Usa – di approvare la somministrazione del secondo richiamo (o quarta dose) per tutti gli over 50, indipendentemente dalle patologie pregresse.

Una decisione non facile perché, da un punto di vista immunologico, continuare a vaccinare ogni quattro mesi con lo stesso antigene non ha molto senso e rischia di polarizzare eccessivamente la nostra risposta immunitaria verso una proteina che può cambiare ancora moltissimo nei mesi e anni a venire. Inoltre, i dati preliminari mostrano che, sebbene la quarta dose induca un innalzamento del titolo anticorpale, l’aumento della protezione contro l’infezione è invece modesto. Perché dunque l’approvazione del secondo richiamo da parte della Fda? Perché, immaginando i possibili scenari futuri e osservando la grande e crescente trasmissibilità acquisita dal Sars-CoV-2, l’agenzia regolatoria ha valutato che la transitoria protezione data dal richiamo sia un beneficio maggiore del rischio legato alla vaccinazione. In altre parole, bisogna essere pronti a vaccinare ancora qualora fosse necessario, perché una nuova e importante ondata di contagi sarebbe ancora in grado di causare decessi e riempire gli ospedali.

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La metamorfosi del Sultano: così Erdogan rovescia la Storia

giovedì, Marzo 31st, 2022

Domenico Quirico

Comunque vada a finire, che sia davvero l’inizio di una tregua e poi di una pace, oppure un infido trucco delle due parti per guadagnare tempo, dovremo ringraziare lui, Erdogan, per averci provato, per esser rimasto l’unico che tenta di mettere a uno stesso tavolo russi e ucraini; che non «parli di» ma che «tenti di» ottenere un po’ di pace in quel campo d’armi sconfinato, in quella pianura che è stata invasa, afflitta, spogliata, forse barattata.

Sì, Erdogan, avete letto bene: il sultano, il restauratore degli ottomani, il bombardatore implacabile dei curdi, il protettore ad lib di tutti i jihadisti più feroci della terra, il disseminatore di caos a livello internazionale, l’uomo che per esser sicuro di non vedersi più davanti la piazza della libertà, la Maidan di Istanbul, la ha cancellata urbanisticamente, il commesso viaggiatore di droni che hanno massacrato gli armeni e i tigrini tanto per non darsi obiettivi di piccolo cabotaggio. Perfino la Merkel lo trattava con i guanti, uno che nel suo Palazzo le donne le fa stare in piedi.

Ancora: il sultano che di profughi se ne intende così bene da averne fatto una voce del prodotto interno lordo, facendosi pagare profumatamente da noi europei per ogni siriano che non inoltra verso i nostri confini. Un affarone: soldi dall’Europa e anche manodopera infantile a bassissimo costo per le botteghe del tessile. Perfino i golpe se li crea da solo, abituato com’è fare il bello e il cattivo tempo, con il depistaggio più riuscito della storia recente.

Con Erdogan finora potevi fare affari soltanto tenendoli un po’ nascosti, un po’ vergognandotene come appunto pagargli la custodia dei siriani fuggiaschi. Regolatore di ogni volontà, soffocatore di ogni dissenso, piramidale, fosco: la Nato lo considerava un aderente infido da tenere d’occhio, più dedito a un egoistico e sproporzionato espansionismo che alla difesa del cosiddetto mondo libero.

E invece adesso… Poichè siamo costretti a sperare che si consolidi la sua mediazione nella terrificante guerra nel cuore d’Europa portando almeno a un cessate il fuoco, vedrete che gli occidentali si metteranno in viaggio per Costantinopoli con facce serie, approvatrici, trattenute e ipocrite per andare a ringraziarlo e stringere la mano a questo mediatore unico.

Giuro, è così. La metamorfosi del tiranno. Si è detto e ridetto da un mese che questo conflitto è destinato a cambiare la storia. Il mondo non sarà più lo stesso. Tutto riparte da zero, il passato non esiste più, il passato è sorpassato. Verissimo. Erdogan ne è la prova. Chi fino a lunedì pomeriggio non lo avrebbe incasellato con fare spiccio nella categoria “tiranni”, sotto categoria ‘”autocrazie travestite più o meno da democrazie”? Appena una riga sotto Putin Vladimir: ma esclusivamente per le diverse dimensioni geografiche, il peso economico e le possibilità di nuocere. Da lunedì scorso tutti zittiti. Non arieggiano più umori critici.

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Giuseppe Conte preferisce bombardare Draghi? Chi non teme Putin non si intimorisce davanti al nulla

giovedì, Marzo 31st, 2022

Alessandro Sallusti

È presto per tirare conclusioni certe ma ieri la trattativa per mettere fine al conflitto in Ucraina ha fatto, sotto l’egida del presidente turco Erdogan, un sostanziale passo in avanti. Mosca ha annunciato un allentamento delle operazioni militari e Kiev ha accettato di discutere sul futuro delle due regioni contese, la Crimea (già di fatto autonoma e filo russa da anni) e il Donbass a maggioranza russofona. C’è da scommettere che ognuno dei due contendenti – se si raggiungerà un accordo in tal senso- canterà vittoria.

Ma se guardiamo le posizioni di partenza non c’è dubbio che l’Ucraina esce a testa alta da un conflitto impari per forze militari in campo e Putin deve ridimensionare di molto le folli ambizioni di annettersi, o quantomeno addomesticare, l’intera Ucraina. Evidentemente lo zar ritiene che andare avanti non gli porterebbe più alcun vantaggio strategico e che viceversa il prezzo da pagare per una lunga guerra sarebbe eccessivo – in vite umane e rubli – anche per la grande madre Russia. Tutto ciò dimostra oggettivamente una cosa: altro che resa umanitaria, contro i tiranni bisogna resistere e combattere a costo del martirio e per tentare di fermarli c’è bisogno di tutto l’aiuto possibile, comprese armi e tecnologia militare. Se Putin dovesse davvero fermarsi – cosa che ripetiamo è ancora tutta da verificare- e rinunciare a occupare l’Ucraina è soltanto per l’eroismo degli ucraini e perle armi dell’Occidente, che uniti alle pesanti sanzioni economiche lo hanno portato a più miti consigli.

Chi sperava di convincere Putin a trattare usando belle parole si deve ricredere, i criminali capiscono solo i rapporti di forza. E chi, come Giuseppe Conte e i suoi grillini, pensa ancora che non sia il caso di aumentare la risibile spesa militare, che un conflitto si fermi disarmando uno dei due contendenti, per di più non l’aggressore ma l’aggredito, può aprire una confraternita, in questo caso filo delinquente – non certo guidare un Paese che aspira ad avere un posto nel mondo libero.

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Gas in rubli, l’ultimatum all’Europa e il ripensamento: perché Putin ora esita

giovedì, Marzo 31st, 2022

di Federico Fubini

È una ritirata o un riposizionamento strategico, nella guerra economica che la Russia ha aperto da mesi contro l’Unione europea manipolando le forniture di gas dall’autunno. E procede in parallelo con la ritirata (o il riposizionamento strategico) che il Cremlino ha varato nelle ultime ore, quando ha annunciato che la morsa dell’esercito russo attorno a Kiev almeno per ora è destinata ad allentarsi. Mercoledì il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha fatto sapere che il passaggio al pagamento del gas naturale in rubli non è più imminente. Poco importa che fino a ieri sembrasse decisamente tale. «Questo processo richiede più tempo da un punto di vista tecnologico», si è limitato a commentare.

L’ultimatum dello zar e il ripensamento

Peccato che fosse stato Vladimir Putin in persona ad annunciare una settimana fa che l’Europa avrebbe avuto giusto sette giorni per fare i preparativi: il dittatore pretendeva che l’Italia, la Germania e gli altri «Paesi ostili» dell’Unione europea smettessero di pagare in euro come da contratto e iniziassero a usare la valuta di Mosca per approvvigionarsi di materia prima. In teoria domani Putin avrebbe dovuto ricevere il rapporto dalla sua banca centrale sulle modalità tecniche del cambiamento.

Le reazione dell’Europa

Ma il significato della mossa del Cremlino era politico: era una richiesta di sottomissione da parte di Putin ai Paesi europei; era una prova per misurare fino a che punto la dipendenza di questi ultimi dal gas russo lo stava rendendo irresoluti e malleabili. Ma se questo era il test, è fallito. Germania e Italia, le due economie più legate alle forniture russe, hanno detto con gli altri governi che la richiesta del Cremlino sarebbe stata una violazione dei contratti. Hanno fatto capire che avrebbero fatto a meno del gas, piuttosto che pagare in rubli. Tutta l’Europa, senza divisioni, ha preso la linea della fermezza. E ha pagato: di fronte al rischio di non poter più vendere il gas e privarsi dunque di circa un miliardi di euro al giorno di entrate, Putin oggi ha avviato una marcia indietro. Anche a costo di contraddirsi rispetto alle minacce di una settimana fa. Se c’è una lezione in questa vicenda è che opporre resistenza alle forzature del Cremlino – contrariamente a quanto si pensi – non peggiora la situazione. Al contrario, funziona. Anche nella guerra economica che corre in parallelo a quella sul terreno.

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M5S, il tentativo di sopravvivere di un populismo in declino

giovedì, Marzo 31st, 2022

di Massimo Franco

Sulle spese militari Conte si è mosso anche a rischio di ritrovarsi con solo la metà dei Cinque Stelle, rispolverando i «cavalli di battaglia» del passato

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Il presidente del M5S Giuseppe Conte

Il tema, a questo punto, non è tanto se la filiera antigovernativa del M5S provocherà una crisi di governo: oltre tutto in piena guerra russa contro l’Ucraina e con il piano per la ripresa ancora da approvare. L’ipotesi che oggi Giuseppe Conte dia seguito alle minacce e non voti la fiducia sull’aumento delle spese militari è esclusa . I Cinque Stelle già dicono che appoggeranno il governo, fingendo di avere vinto. L’incognita più corposa riguarda il futuro della maggioranza di Mario Draghi quando e se si materializzerà un «cessate il fuoco».

Lo strappo politico dell’ex premier grillino rimane, però. E pesa negativamente: sul futuro dell’esecutivo, sulla credibilità internazionale dei Cinque Stelle, che pure hanno un loro uomo alla Farnesina, e sulle prospettive dell’asse col Pd. Il segretario Enrico Letta è stato costretto a dire: «Lavoriamo per evitare la crisi». E ha aggiunto che, se ci fosse davvero, «l’Italia lascerebbe sbigottito il mondo intero»: uno sbigottimento provocato dal suo alleato-principe. Ma un M5S in caduta elettorale e risucchiato nelle logiche del passato non sembra preoccuparsi troppo di mettere in tensione la stabilità. Più cala nei sondaggi, più è tentato di marcare la propria diversità. Ormai, appare un partito allo sbando che prova maldestramente a dissociarsi: per poi fermarsi per mancanza di sponde.

Conte si è mosso anche a rischio di ritrovarsi con solo la metà dei Cinque Stelle; e di fare ripiombare il Paese nel girone degli inaffidabili. Per questo i timori riguardano quanto potrà accadere quando l’aggressione russa si fermerà. A quel punto, l’offensiva dei partiti contro Palazzo Chigi potrebbe tornare a inasprirsi su ogni provvedimento in agenda, mano a mano che ci si avvicina alla fine della legislatura. Le provocazioni nei confronti di Draghi fanno pensare a una manovra di logoramento con l’obiettivo immediato di impedirgli di governare; e con quello di prospettiva di bruciare l’eventualità che resti premier dopo elezioni senza vincitori.

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Riposa in pace

giovedì, Marzo 31st, 2022

di Massimo Gramellini

Uno degli ultimi ricordi che ho di mio padre — ripeteva spesso la signora Maria Romana De Gasperi, scomparsa ieri a 99 anni — è lui stanco e malato, la schiena affondata nella poltrona del salotto e i piedi appoggiati su una cassetta della frutta, mentre aspetta la telefonata che gli dirà se il parlamento francese ha approvato la formazione dell’esercito comune europeo.

Era stata una scelta sofferta, la sua, per certi versi ancora più difficile dell’adesione alla Nato. «A chi risponderà, questo esercito?», domandava agli interlocutori, che lasciavano la risposta volutamente in sospeso, perché l’unica possibile era anche la più difficile: a un governo europeo.

Ma con la capacità di visione degli statisti, Alcide De Gasperi intuiva che solo una difesa comune avrebbe creato i presupposti per completare l’unione politica. Perciò si era deciso a correre quell’azzardo. E anche per un’altra ragione, che in questi giorni suona quanto mai attuale.

Un esercito europeo avrebbe progressivamente affrancato il Vecchio Continente dalla protezione americana. Gli sembrava incoerente che proprio chi lo accusava di avere sottomesso l’Italia agli Stati Uniti fosse poi in prima fila nell’opporsi all’esercito europeo, in nome di un pacifismo ingenuo o peloso. Il telefono di casa De Gasperi non squillava e così fu lui — raccontava la figlia — a comporre un numero all’apparecchio. Appena seppe che la Francia aveva detto di no, si lasciò andare sulla poltrona e chiuse gli occhi. Chissà quando apriremo i nostri.

Il podcast con le parole di Maria Romana De Gasperi

CORRIERE.IT

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Ucraina Russia, news di oggi sulla guerra | Mosca: «Cessate il fuoco a Mariupol». L’intelligence britannica: «Dai soldati russi episodi di autosabotaggio»

giovedì, Marzo 31st, 2022

di Lorenzo Cremonesi, Andrea Nicastro, Marta Serafini, Giusi Fasano, Paolo Foschi

Le notizie di giovedì 31 marzo sulla guerra minuto per minuto. Domani nuovi colloqui tra Mosca e Kiev, in videoconferenza. L’intelligence britannica parla di truppe russe demoralizzate che rifiutano di obbedire agli ordini e hanno anche accidentalmente colpito un loro aereo

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• Siamo arrivati al 36esimo giorno di guerra.
• La Russia ha offerto il cessate il fuoco a Mariupol: dovrebbe partire dalle 10 di stamattina. Secondo il Pentagono Mosca starebbe abbandonando l’area della centrale di Chernobyl.
• Secondo l’Onu, oltre quattro milioni di persone sono fuggite dall’Ucraina da quando è iniziata l’invasione russa.

***

Ore 7.15 – Il retroscena della telefonata tra Draghi e Putin, ieri
(Elena Tebano) «Presidente, la chiamo per parlare di pace». Ha esordito così, nella sua telefonata a Vladimir Putin di ieri, il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Le prime parole di una chiamata durata 45 minuti. I due avrebbero dovuto vedersi a Mosca, un mese fa, ma l’incontro è stato annullato dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che il presidente del Consiglio italiano ha condannato con forza. Ieri Draghi si è informato sull’andamento dei negoziati con l’Ucraina e ha ribadito a Putin «la disponibilità del governo italiano a contribuire al processo di pace, in presenza di chiari segni di de-escalation da parte della Russia». Nel colloquio i due leader hanno discusso anche la modalità di pagamento del gas russo. Draghi nei giorni scorsi aveva escluso di farlo in rubli, come invece aveva intimato Putin all’Occidente. E il presidente russo è stato costretto a tornare sui suoi passi quando la sua stessa amministrazione gli ha spiegato che non era possibile (racconta tutto Federico Fubini). Lo stato dell’economia russa colpita dalle sanzioni, per altro, è uno degli aspetti sui cui Putin, secondo l’intelligence americana, sarebbe male informato. Draghi e Putin, infine, «hanno concordato sull’opportunità di mantenersi in contatto». Il presidente russo ieri ha sentito di nuovo anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, confermando che sarà possibile pagare il gas russo in euro alla Gazprombank e che poi questa convertirà i pagamenti in rubli. Qui l’articolo completo di Marco Galluzzo.

Ore 6.50 – Il morale delle truppe russe, e l’autosabotaggio
Jeremy Fleming, il capo di una delle agenzie di spionaggio britanniche, ha rivelato in un discorso in Australia che il morale delle truppe russe — secondo informazioni raccolte dall’intelligence occidentale — è bassissimo, si rifiutano di obbedire agli ordini e hanno compiuto episodi di autosabotaggio, oltre ad aver accidentalmente distrutto un loro stesso aereo da guerra. «Abbiamo visto soldati russi, a corto di armi e di morale, rifiutarsi di portare avanti quanto veniva loro ordinato, sabotare i propri materiali bellici, abbattere per errore un loro aereo», ha detto.

Secondo Fleming, Putin ha apparentemente «sbagliato in modo massiccio i calcoli» dell’invasione: ha sottovalutato l’impatto delle sanzioni e «la resistenza del popolo ucraino» e sovrastimato le capacità del suo esercito di arrivare a una vittoria rapida.

Ore 6.30 – Il rublo è tornato ai livelli pre-invasione
Il rublo recupera sul dollaro e torna ai valori pre-aggressione russa contro l’Ucraina, attestandosi a quota 76 (-5,263%): per l’acquisto di un dollaro, in altri termini, servono adesso 76 rubli, contro gli 84,95 del 24 febbraio e i 139,7 registrati il 7 marzo nel momento di massima debolezza.

Il trend ha beneficiato dell’ipotesi — non esclusa dalla Cina — di usare rubli o yuan nel commercio di fonti energetiche, in base a quanto riportato dalla Tass, citando il ministero degli Esteri di Pechino.

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