Archive for 2022

Il piano di FdI: minibicamerale per il presidenzialismo cercando la sponda di Renzi

venerdì, Dicembre 30th, 2022

FRANCESCO OLIVO

ROMA. Una bicamerale esile, ma non inconsistente: 15 o 20 parlamentari al massimo con a capo Marcello Pera. Tempo dei lavori: due anni circa. Il tutto contando su una sponda di Italia Viva e Azione. Il piano è inserito in un documento dal contenuto ancora volutamente vago, intanto per la difficoltà del compito e poi per la necessità di una condivisione, con i partiti di maggioranza e, entro la fine di gennaio, con quelli dell’opposizione. La ministra competente, Maria Elisabetta Alberti Casellati ha cominciato un giro preliminare di consultazioni, partendo da Fratelli d’Italia e Forza Italia, sospeso per le urgenze parlamentari. A gennaio si ricomincia, intanto dalla Lega, l’alleato più complicato in questo ambito e poi si passerà alle opposizioni.

Giorgia Meloni crede che «sia la volta buona» per la riforma presidenziale (o «semi», questo si vedrà), ma da parlamentare ormai esperta ha visto come i tentativi dei suoi predecessori sono falliti più o meno miseramente e sa anche che l’opposizione, con l’eccezione del Terzo Polo, non collaborerà a cambiare la forma dello Stato secondo i disegni della destra. Così, la scelta è quella di accelerare o almeno di dare questa impressione.

In una conferenza stampa senza grandi annunci, su una cosa la premier ha voluto mettere le cose in chiaro: «Il presidenzialismo è una mia priorità». La presidente del Consiglio si è data una scadenza, «punto a farlo entro questa legislatura» e ha indicato un metodo, «vorrei fare una riforma il più possibile condivisa. Non ho pregiudizi e preclusioni. La Bicamerale è utile se c’è la volontà di fare la riforma, non se ha scopi dilatori», e un modello, «il semipresidenzialismo non è il mio preferito ma può esserci convergenza». Il percorso quindi può cominciare con un impegno forte. «Non posso che essere lieto di questo desiderio del presidente del Consiglio e del fatto che si sia deciso di avere un ministro delle Riforme, che nel precedente governo non c’era», dice Nazario Pagano, Forza Italia, presidente della Commissione affari costituzionali della Camera. Pagano poi aggiunge: «Le riforme si fanno in Parlamento e la commissione che presiedo costituisce uno snodo fondamentale».

Sembra, quest’ultima un’ovvietà, ma tra deputati e senatori, anche del centrodestra, è diffuso il timore che anche in questo caso le Camere possano venire scavalcate da un’azione molto decisa del governo. L’idea della bicamerale “agile” immaginata in via della Scrofa non è quella di Casellati, che invece vuole preparare un testo del governo da presentare entro la prossima primavera. Meloni ieri ha tenuto aperte tutte e due le strade: «Ci può essere, e non lo escludo, un’iniziativa del governo. Se ci fosse invece la disponibilità di lavorare a livello parlamentare non avrei preclusioni». Emanuele Prisco, già capogruppo di FdI in Commissione Affari costituzionali e oggi sottosegretario all’Interno aggiunge un elemento: «Anche se la riforma dovesse ottenere il voto dei due terzi dei parlamentari sarebbe giusto indire un referendum: una tappa epocale non può non essere confermata dalle urne».

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Le Ong sfidano il governo: “Non rispetteremo i limiti”

venerdì, Dicembre 30th, 2022

Fausto Biloslavo

Le Ong si ribellano al decreto del governo che riguarda le loro discutibili attività in mare considerandosi al di sopra della legge.

I tedeschi di Sea Eye invocano addirittura l’intervento della Germania. Medici senza frontiere annuncia la ripartenza della loro nave spiegando che rispondono solo alle convenzioni internazionali. Emergency, con la nave che batte bandiera panamense, si rifiuta di raccogliere le richieste di asilo dei migranti recuperati.

Geo Barents, la nave di Msf salperà da Augusta il 31 dicembre per portarci altri migranti, anche se non scappano da paesi in guerra. Il capo missione è Juan Matias Gil. Quando l’allora ministro all’Interno Matteo Salvini voleva bloccare la nave di Open arms twittava: «La Ong spagnola fa vedere il lavoro sporco ed inumano dei governi libico ed italiano». Oggi si scaglia contro l’esecutivo Meloni e dichiara: «La strategia del governo ha l’obiettivo di ostacolare le attività di ricerca e soccorso delle Ong. Salvare vite umane è il nostro imperativo ed è un obbligo sancito da tutte le convenzioni e le leggi internazionali. Per questo continueremo a farlo».

I più spudorati sono i talebani dell’accoglienza tedeschi. Annika Fischer annuncia che «Sea-Eye non seguirà alcun codice di condotta illegale o qualsiasi altra direttiva ufficiale che violi il diritto internazionale o le leggi dello Stato di bandiera, nel nostro caso la Germania».

Quando il governo sostiene che dovrebbero sbarcare i migranti in Germania, lo Stato di bandiera non conta. Adesso, per opporsi al decreto, si aspettano «che il governo tedesco tuteli le organizzazioni di soccorso in mare dal comportamento illegale delle autorità italiane e ci sostenga con decisione in caso di conflitto».

Emergency con l’ammiraglia Life support, batte bandiera panamense. E si oppone al decreto sottolineando il niet all’obbligo da parte dello staff della nave a «raccogliere l’eventuale interesse dei superstiti di chiedere asilo, affinché sia il Paese bandiera della nave a farsi carico delle richieste di protezione internazionale». Come se fosse la corte di Cassazione spiega che secondo le linee guida dell’Organizzazione internazionale marittima «qualsiasi attività al di fuori della ricerca e salvataggio deve essere gestita sulla terra ferma dalle autorità competenti e non dallo staff delle navi umanitarie». In pratica dà ordini al governo.

Veronica Alfonsi, di Open arms, denuncia senza timore del ridicolo, che il vero obiettivo è fermare i testimoni «delle violazioni dei diritti quotidiane e reiterate che l’Europa compie in accordo con Stati illiberali, con dittature, con regimi, ai quali peraltro continua a dare un mucchio di soldi pubblici». Il riferimento è alla Libia, ma le Ong del mare non si pongono mai il problema di agire come pull factor per la gioia dei trafficanti di esseri umani.

I fiancheggiatori della Chiesa sono subito scesi in campo. Tonio Dell’Olio, sacerdote e attivista della non-violenza, ex coordinatore nazionale di Pax Christi, non ha dubbi: «Nel Paese che ha il triste primato delle mafie più potenti del mondo il decreto sicurezza criminalizza chi presta soccorso ai disperati che scappano da mafie, guerre e fame».

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Una riforma con troppi scogli

venerdì, Dicembre 30th, 2022

Marcello Sorgi

Si poteva pensare che, finita la campagna elettorale che l’ha vista vincitrice il 25 settembre e subito dopo – prima donna a Palazzo Chigi – alla guida del governo di destra-centro scelto dagli elettori, Meloni avrebbe lasciato cadere la riforma presidenzialista inserita al centro del programma della coalizione. E non perché non ci credesse, ma perché, come ha spiegato ieri nella sua prima conferenza stampa di fine anno, appena entrata nella famosa “stanza dei bottoni”, s’è resa conto che l’Italia ha problemi più urgenti, dalle conseguenze della guerra in Ucraina sull’economia, alla crisi energetica, al Covid non del tutto domato, alle grandi crisi bancarie e aziendali. Invece no, a domanda precisa sull’argomento la premier ha risposto che il presidenzialismo intende realizzarlo, e anche presto.

Eppure le riforme istituzionali negli ultimi quarant’anni si sono rivelate impossibili, e non hanno portato bene a qualcuno dei suoi predecessori: quand’anche il Parlamento è riuscito ad approvarle, il popolo, nei referendum che sono seguiti (2006, 2016), le ha bocciate, con notevole danno politico per chi (Berlusconi, Renzi) le aveva proposte. Meloni tuttavia vuol provarci lo stesso. Ha rivelato che il lavoro del ministro competente, Casellati, è stato più difficile del previsto già nel confronto interno alla maggioranza, destinato a concludersi entro gennaio. Da febbraio il governo intende dialogare con l’opposizione sul modello francese, che finora ha incontrato più consensi. Insomma, in un modo o nell’altro, il 2023 sarà l’anno della riforma presidenziale, anche se per arrivare ad approvarla con le regole previste dall’articolo 138 della Costituzione, non a caso definito “catenaccio”, un anno non basterà.

Introdurre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, infatti, comporta problemi molto seri, come i tecnici del ministero delle Riforme Istituzionali stanno constatando. Perché si tratta di mettere mano a tutto l’impianto della Carta costituzionale, fondato su pesi e contrappesi che verrebbero radicalmente mutati dall’ingresso in scena di un vertice dello Stato scelto direttamente dagli elettori. E di ridisegnare i contorni dei poteri del Capo dello Stato, fin qui elastici, tanto che Amato, tra i nostri costituzionalisti, li ha definiti “a fisarmonica”, destinati cioè ad allargarsi secondo la gravità delle crisi, ma rigidamente distinti da quelli di “indirizzo politico”, di guida del Paese, riservati al capo del governo.

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La cautela, poi le sfide

venerdì, Dicembre 30th, 2022

di Massimo Franco

Giorgia Meloni difende i propri provvedimenti e rifiuta l’idea di «sopravvivere», prende le distanze dalle radici del fascismo ma senza rinnegare la sua appartenenza a un Msi nato dalle ceneri di quel regime

Dire che «ha funzionato la staffetta» con Mario Draghi a Palazzo Chigi è una frase impegnativa. Evoca un passaggio delle consegne marcato dalla continuità tra la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni e l’ex presidente della Banca Centrale Europea: proprio quello che le opposizioni più oltranziste le imputano come un peccato imperdonabile. Eppure, sebbene la distanza tra l’esecutivo tecnico-ecumenico di Draghi e quello politico di destra dell’attuale premier appaia abissale, la manovra finanziaria approvata in queste ore riflette almeno in un punto una continuità.

Risponde ai criteri indicati dalla Commissione europea e rassicura i mercati finanziari. Almeno per adesso. Per il resto, le misure sono fortemente condizionate dall’emergenza dei costi dell’energia e della guerra russa contro l’Ucraina: problemi oggettivi, che però rischiano sempre di diventare alibi. Non a caso, nella maratona di tre ore con i giornalisti, ieri Meloni ha soprattutto giocato in difesa sui provvedimenti presi dalla sua maggioranza. Ha scelto di attaccare, invece, parlando del futuro della legislatura e proiettando il governo in un orizzonte di cinque anni.

Sa che i risultati andranno valutati su tempi relativamente lunghi. Se l’economia reggerà il ritmo dell’anno che finisce, le prospettive di durata e di successo si consolideranno. In caso contrario, non solo la tenuta della maggioranza ma quella del Paese potrebbero incrinarsi. L’insistenza con la quale la premier rifiuta l’idea di «sopravvivere» soltanto lascia intuire una scommessa senza subordinate: una sorta di «o la va o la spacca» che sembra non prevedere, in teoria, compromessi al ribasso.

In teoria, perché poi riaffiora ad esempio il fantasma di uno scostamento di bilancio: seppure come decisione da prendere con mille cautele. Viene riaffermato il «no» all’utilizzo del Meccanismo europeo di stabilità, il Mes: scelta che appare discontinua, almeno in linea di principio, rispetto al governo Draghi. E rimane l’incognita di alleati per il momento decisi a seguire la strategia di Palazzo Chigi; ma resi inquieti dal ridimensionamento che subiscono a ogni sondaggio. «Mi fido dei miei alleati al governo», assicura Meloni. «I miei tempi coincidono con i loro».

Probabilmente è vero, e continuerà a esserlo fino a quando non emergeranno vere difficoltà. Primo, perché il sistema dei partiti è ancora in piena evoluzione. Secondo, perché le implicazioni di una crisi economica e sociale non si sono ancora manifestate interamente. In più, c’è da chiedersi che cosa succederà se davvero Meloni deciderà di accelerare sulle riforme istituzionali: tema delicato e controverso. Rilanciare il modello presidenzialista come «priorità» prefigura una riscrittura profonda della Costituzione e della repubblica parlamentare.

Cambia gli equilibri tra i poteri. E, gettando un’ombra di scetticismo, peraltro giustificata, sulla creazione di una commissione bicamerale ad hoc, temendo che si perda tempo, la premier chiede una condivisione delle «regole del gioco». Ma viene il sospetto che, se questo non avvenisse, cosa probabile, bisognerebbe ricorrere a un referendum popolare che potrebbe dividere il Paese più di quanto lo sia oggi. Eppure, l’adesione ai valori incarnati dalla Carta fondamentale è ribadita.

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Remuzzi: «Sul Covid la Cina ha fatto un errore inammissibile, giusto testare chi arriva in Italia»

venerdì, Dicembre 30th, 2022

di Laura Cuppini

Il direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: «Bisogna sapere se ci sono varianti diverse da Omicron»

Remuzzi: «Sul Covid la Cina ha fatto un errore inammissibile, giusto testare chi arriva in Italia»

Un’ondata pesantissima di contagi in Cina, il timore di nuove varianti (non Omicron) che «sfuggano» ai vaccini, la preoccupazione per Gryphon (Xbb), la cui diffusione è in rapido aumento negli Stati Uniti. Che cosa sta succedendo?
«Siamo in una fase delicata, ma non allarmiamoci prima del tempo — risponde Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e ordinario per chiara fama di Nefrologia all’Università degli Studi di Milano —. Quello che sta accadendo in Cina, con un milione di nuove infezioni al giorno (che secondo le stime potrebbero aumentare fino a 3-4 milioni tra gennaio e marzo), è dovuto alla sconsiderata strategia “zero Covid”: si è puntato tutto sull’isolamento, la campagna vaccinale ha rallentato in modo significativo e il virus ha circolato poco. Dal “tutto chiuso” si è passati improvvisamente al “tutto aperto”: in questo modo il virus ha terreno libero perché incontra una popolazione poco immunizzata. È un errore inammissibile a quasi tre anni dall’inizio della pandemia».

Qual è la situazione oggi in Italia?
«Il 90% della popolazione over 12 ha completato il ciclo vaccinale e godiamo di un’immunità diffusa. Sappiamo che quella ibrida, data da infezione più vaccino, è l’immunità più efficace. Secondo l’Istituto superiore di sanità il rischio di malattia severa è 80 volte superiore in chi non è vaccinato o non ha avuto una diagnosi recente di Covid. Adesso è estremamente urgente somministrare la quarta dose (e poi la quinta, dopo 120 giorni) agli over 60, poi al resto della popolazione. È importante anche la vaccinazione antinfluenzale. I bambini dai 6 mesi in avanti dovrebbero essere vaccinati sia per Covid sia per l’influenza, secondo le indicazioni delle Società più importanti di pediatria, mentre, come ha scritto il British Medical Journal, negli adolescenti la quarta dose potrebbe essere evitata. Per i richiami va bene qualunque vaccino a mRna, meglio forse il bivalente adattato a Omicron Ba.4 e 5, ma non è una condizione indispensabile».

Cosa potremmo rischiare nel prossimo futuro?
«È corretto testare per Covid i passeggeri provenienti dalla Cina con l’obiettivo di sequenziare le varianti (sono sufficienti alcune centinaia di sequenziamenti), per avere un’idea precisa di cosa sta arrivando dal Paese asiatico. Se le varianti appartengono tutte alla famiglia di Omicron, come sembrerebbe finora, possiamo stare relativamente tranquilli perché i vaccini proteggono all’80% dalla malattia grave e, in percentuale minore, anche dall’infezione. La situazione sarebbe più preoccupante se comparisse una variante diversa da Omicron o cominciasse a diffondersi in modo massiccio Gryphon (Xbb), e in particolare la sua sottovariante Xbb.1.5, che dai primi dati sembra dare un rischio di reinfezione elevato. Al momento però non c’è da preoccuparsi perché Xbb è al 6% a livello globale e all’1,8% in Italia. Fanno eccezione gli Stati Uniti, dove ha toccato il 13%. È interessante l’indicazione dei Centers for disease control and prevention americani, che hanno chiesto alle compagnie aeree di imbarcare solo passeggeri con un tampone negativo effettuato non oltre le 48 ore precedenti: si tratta della strategia più semplice e immediata da mettere in atto».

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Meloni: «Avanti sul presidenzialismo. Il Covid? Il governo si è mosso immediatamente»

venerdì, Dicembre 30th, 2022

di  Monica Guerzoni 

Meloni: tamponi e mascherine, no a privazioni della libertà. Tagliando per la giustizia, bene l’azione sulla prescrizione. Sul Pnrr la staffetta con il governo Draghi ha funzionato. L’Msi ha avuto un ruolo importante nella storia italiana. Se sarò alle celebrazioni del 25 Aprile? La risposta è sì

Meloni: «Mi fido dei miei alleati. Avanti sul presidenzialismo»

La prima conferenza stampa di fine anno di Giorgia Meloni è ancora in corso quando la manovra della destra ottiene il via libera al Senato. L’esercizio provvisorio è scongiurato e la premier si intesta il risultato: «È stata approvata con un giorno di anticipo rispetto ai governi precedenti». E le tensioni, i dietrofront, gli scontri nella maggioranza? «Ricordo dibattiti molto più accesi. Al di là delle divergenze, la nostra volontà è lavorare bene e mantenere gli impegni». Cosa che Meloni ritiene di aver iniziato a fare, convinta che il suo governo non sia «le sette piaghe d’Egitto».  

La maggioranza 

La prima donna italiana a Palazzo Chigi conferma come «prioritaria» la riforma costituzionale per il semipresidenzialismo francese e rivendica tutte le scelte «di destra» dei primi 70 giorni, anche le più controverse: tregua fiscale, stretta su Ong e migranti, flat tax, rateizzazione per le società di calcio, contrasto dei rave party, smantellamento del reddito. Ce la farà, con una maggioranza litigiosa? «Mi fido dei miei alleati al governo — smentisce problemi con Salvini e Berlusconi —. Al di là di un dibattito naturale, c’è una visione comune. Abbiamo approvato la legge di bilancio e non era facile. Il clima è positivo, non posso lamentarmi». Tra le priorità del 2023 c’è la legge sulla giustizia invocata da Berlusconi e qui Meloni apprezza l’ordine del giorno per chiedere il ritorno della prescrizione a com’era prima della riforma Bonafede e rivendica la scelta dell’«ottimo» Guardasigilli, Nordio: «La giustizia ha bisogno di un tagliando. Serve un governo coraggioso e a noi il coraggio non ci difetta». Il coraggio, ad esempio, di difendere il presidente Ignazio La Russa, del quale le opposizioni chiedono le dimissioni per un post che celebrava i 76 anni del Msi. «Un partito che ha avuto un ruolo molto importante nella storia di questa nazione e che è sempre stato chiaro sulla lotta all’antisemitismo — rivendica il legame Meloni —. Perché ora deve diventare impresentabile? Non mi piace questo gioco al rilancio per cui si deve sempre cancellare di più». E lei presidente, sarà alle celebrazioni del 25 Aprile? «La risposta è sì».

Il rapporto con Draghi 

Gli chiedono del predecessore e Meloni non si sottrae. Ride, poi ammette di «sentire chiaramente il peso» del confronto e la cosa la affascina: «A me non è mai piaciuto vincere facile, mi stimolano le persone capaci e autorevoli e Draghi lo è. Non direi mai che si può fare meglio, ma si può fare bene». Ad esempio, spendendosi «in prima persona» per la conquista di Expo 2030: «Ce la mettiamo tutta. È una grande occasione per Roma e per l’Italia e non ci daremo per vinti». E una grande occasione per la destra, sembra dire Meloni, sono le Regionali di febbraio in Lombardia e Lazio: «Elezioni importanti. Sono un test politico e la migliore campagna elettorale è mettercela tutta al governo».

Il Covid 

Dalla Cina il Covid è tornato a terrorizzare il mondo. Meloni boccia lockdown e green-pass, assicura che il governo si è «mosso immediatamente» e rilancia la necessità di una decisione europea sui tamponi in aeroporto: «Il ministro Schillaci ha dato messaggi tranquillizzanti, dal sequenziamento dei primi 15 casi si tratta di varianti Omicron già presenti in Italia». Come proteggerete gli italiani? «Sono utili i controlli, i tamponi e le mascherine» e nascerà un osservatorio sul Covid. «Ma il modello di privazione delle libertà non mi è parso così efficace, la Cina lo dimostra». Dei vaccini non parla finché non le viene chiesto: «Abbiamo fatto una campagna che invita alla vaccinazione anziani e fragili». E per gli altri? «Direi di chiedere al medico e a chi ne sa più di me».

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Covid, prove di retromarcia: scattano i primi interventi sull’obbligo delle mascherine

venerdì, Dicembre 30th, 2022

Paolo Russo

ROMA. Mentre la maggioranza cancella ogni restrizione anti-Covid votando nel decreto rave il congelamento fino al 30 giugno delle multe ai No Vax e l’uscita dalla quarantena senza tampone per i positivi anche se con i sintomi, il ministro della salute, Orazio Schillaci, inizia a ingranare la retromarcia.

Ieri la firma apposta all’ordinanza che proroga fino al 30 aprile l’obbligo di indossare la mascherina in ospedali, Rsa, ambulatori medici e studi dei medici di famiglia. A breve anche la circolare che fornirà alle Regioni le indicazioni in caso di ripresa dei contagi, suggerendo l’uso massiccio delle mascherine.

Covid, a Fiumicino 5 passeggeri positivi su 49, un viaggiatore: “In Cina bisogna scansare i malati”

Ad ore poi il ministro firmerà la circolare che corregge un po’ il tiro rispetto al liberi tutti del decreto rave che entrerà in vigore il 1° gennaio, imponendo l’obbligo di indossare le Ffp2, nei luoghi al chiuso o in caso di assembramenti, ai positivi in uscita dall’isolamento domiciliare senza test. L’obbligo di mascherina varrà peraltro anche per chi sintomi non ne ha. Una precauzione in più rispetto a chi, soprattutto in FdI e Lega, aveva cercato di far credere che il Covid fosse oramai alle spalle una volta per tutte, permettendo anche ai positivi con tosse e mal di gola di andarsene in giro senza aver fatto un tampone di controllo. Una voglia di normalizzazione che oggi deve però fare i conti con «la tempesta perfetta» – così l’ha definita Schillaci nella sua informativa al Senato – che si è scatenata in Cina con la decisione di abbandonare improvvisamente la politica del “Covid zero” perseguita fino a ieri.

Malpensa, tamponi in aeroporto per voli in arrivo dalla Cina

I super esperti del ministero stanno in queste ore analizzando la situazione in stretto contatto con il ministro e l’impressione è che ci si affidi più alla natura non troppo malevola del virus, che non alla capacità di individuare per tempo eventuali nuove e più pericolose varianti. Un’ipotesi che costringerebbe probabilmente il governo a ripristinare parte delle restrizioni, ma che è data per improbabile dagli stessi super esperti. A spiegare perché, a La Stampa, è Gianni Rezza, il direttore del dipartimento di prevenzione del dicastero.

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Pelé è morto, il re del calcio aveva 82 anni

venerdì, Dicembre 30th, 2022

di Carlos Passerini

Pelé è morto, il re del calcio aveva 82 anni

Pelé, uno dei più importanti calciatori della storia, è morto oggi a San Paolo del Brasile. Da tempo Edson Arantes do Nascimento — questo il suo nome all’anagrafe — era malato di tumore al colon; nelle ultime settimane era stato ricoverato e il 21 dicembre i medici avevano parlato di «condizioni in peggioramento» a causa di «una insufficienza renale e cardiaca».


«Sono pronto a giocare novanta minuti e pure i supplementari». Era il settembre del 2021, aveva appena lasciato la terapia intensiva dell’ospedale Albert Einstein di San Paolo dopo l’intervento per la rimozione di un tumore al colon. La situazione risultava però già grave. Lo sapevano tutti, lo sapeva lui. Ma anche quella volta Pelé aveva fatto Pelé, caricandosi la squadra sulle spalle, col suo inimitabile sorriso, autentico e infinito, cercando di rassicurare il mondo intero, in ansia per le sue condizioni di salute.

Aveva concluso il messaggio agli 8 milioni di tifosi su Instagram scrivendo tre semplici parole: «Amore, amore e amore!». Questo era Edson Arantes do Nascimento. E questo sarà sempre.

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APPROFONDIMENTI

Pelé: la storia di O Rei, tre volte campione del mondo, unico nel calcio

O Rei non ce l’ha fatta. L’aveva promesso: la partita sarebbe stata lunga e non si sarebbe arreso neanche al 90’. Così è stato. La sua sfida si è conclusa quindici mesi dopo quel primo intervento. Ha combattuto fino all’ultimo, come ha sempre fatto in vita sua, sul campo di calcio e fuori. Troppo forte però stavolta l’avversario. Eppure non ha smesso un minuto di lottare, di crederci, di giocare la sua partita, assicura chi gli sta vicino.

Negli scorsi mesi era stato sottoposto all’ennesimo ciclo di chemioterapia e fin da subito le indiscrezioni filtrate dall’ospedale avevano lasciato poche speranze. Secondo diversi media brasiliani, la situazione negli ultimi tempi era peggiorata, col cancro che si era esteso ad altri organi. Si sono poi aggiunte complicazioni renali e cardiache. S’è capito che non c’era più nulla da fare quando nei giorni scorsi i figli lo hanno raggiunto all’ospedale per l’ultimo saluto, quando hanno capito che il padre non sarebbe più tornato a casa.

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«Tutto ciò che siamo è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace», il ricordo dei figli

Pelé non si è mai arreso. Debilitato ormai da anni, anche per via di un serio problema all’anca che ne condizionava i movimenti e che lo costringeva a usare il bastone per muoversi. Ha affrontato il suo calvario con la stessa forza e la stessa tenacia che aveva sul campo e che gli hanno permesso di vincere tre Mondiali, 1958, 1962 e 1970, unico calciatore della storia a riuscirci. Di segnare oltre 1281 gol in 1363 partite fra Santos, New York Cosmos e Brasile. Di diventare calciatore del Secolo per la Fifa, per il Comitato Olimpico Internazionale e per l’International Federation of Football History & Statistics, nonché Pallone d’oro del secolo, unico giocatore al mondo.

Ma soprattutto di diventare il Re, un Re buono, partito dall’inferno giocando con un pallone di stracci e arrivato in cielo.

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Brasile, le lacrime di un popolo l’ultimo saluto a Pelè nello stadio del Santos

venerdì, Dicembre 30th, 2022

Emiliano Guanella

RIO DE JANEIRO. Era una notizia che il Brasile aspettava da giorni, è arrivata nel mezzo delle feste, proprio a ridosso del Capodanno e a due giorni dall’insediamento del nuovo governo del redivivo Lula da Silva. O Rei se ne va dopo un’agonia durata un mese presso il reparto oncologico dell’ospedale Albert Einstein, dove è entrato il 29 novembre, ufficialmente per dei controlli di routine a seguito del trattamento contro il tumore al colon che gli avevano tolto due anni fa. Pochi giorni dopo si è capito che la situazione era seria, dalla clinica è filtrata la notizia che oramai c’era spazio solo per cure palliative, le metastasi stavano avanzando. Sembrava uno scherzo del destino, Pelé che lotta per la vita proprio nel mezzo dei Mondiali in Qatar e da allora si è formato un capannello di giornalisti in pianta stabile fuori dall’ospedale. La notizia è arrivata con il Brasile sospeso tra Natale e Reveilon, con la stampa attenta alle mosse di Lula, con le incertezze di un Paese che sta cambiando anno e guida politica, lasciandosi alle spalle l’esperienza assai controversa di Jair Bolsonaro. Ma si tratta di Pelè, non di un campione qualsiasi e quindi logicamente tutto si è fermato.

I canali televisivi hanno interrotto la programmazione, molti conduttori in studio non hanno trattenuto le lacrime e sono partite le dirette fiume infarcite dai tanti “coccodrilli” già pronti da un tempo. Innumerevoli le testimonianze di calciatori, artisti, commentatori. Un lungo omaggio e ricordo che è viaggiato nei vari luoghi simboli della vita del Re, ad iniziare da Santos, la sua città e il suo club di sempre. Allo stadio di Vila Belmiro hanno preparato da una settimana due grandi tende bianche, non è un segreto per nessuno che il suo desiderio fosse essere salutato proprio lì, a pochi passi dall’Oceano atlantico e dalla sua casa di Guaruja, il rifugio di tutta una vita. La logistica è tutta da disegnare e preoccupa non poco, perché Santos è come Rimini, qui siamo in estate e quindi tutto è pieno. Decine di migliaia di tifosi si sono riversati davanti allo stadio, vogliono essere lì per riceverlo, per dirgli bentornato a casa. Obrigado, grazie, è la parola che percorre l’animo di 210 milioni di brasiliani, i nonni hanno raccontato di lui ai genitori che oggi fanno lo stesso con i figli. Nella patria del futebol lui è sempre stato considerato oltre, sopra ogni limite ed ogni record e saranno tantissimi i calciatori, allenatori ed addetti al settore a voler rendergli omaggio. Su tutti Neymar, anche lui un menino del Santos, amico di famiglia da anni, che è corso da Parigi per l’ultimo saluto.

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Il calcio in lutto: addio Pelé, la leggenda brasiliana aveva 82 anni

venerdì, Dicembre 30th, 2022

La scomparsa del più grande giocatore di tutti i tempi, insieme a Maradona, ha sconvolto gli appassionati di calcio dell’intero pianeta

© ipp

Dopo Diego se ne va un’altra leggenda: il calcio piange O Rei Pelé, l’unico giocatore ad avere vinto tre campionati del mondo per nazioni. Fosse solo questo il record del numero dieci per eccellenza (almeno fino a quando Maradona non si è affacciato sulla soglia del pallone mondiale)… Per anni si è discusso su chi sia stato il più grande e la risposta non ci sarà mai. Più completo il brasiliano (ambidestro, potente fisicamente, capace di segnare gol di testa impossibili, come quello nella finale del 1970 all’Italia), più decisivo l’argentino (in grado di trascinare squadre non irresistibili verso le vette più alte e pronto a mettersi in gioco nel calcio europeo). 

Allora limitiamoci ai numeri. Detto delle tre coppe del mondo (1958, 1962 e 1970, con il 1966 gettato via per le botte prese da bulgari e portoghesi), ha giocato in sole due squadre di club: Santos e Cosmos New York, nella fase finale della sua carriera. Pelé ha conquistato: 10 campionati dello stato di San Paolo, quattro Tornei Rio-San Paolo, 6 campionati brasiliani, cinque consecutive Taça Brasil, due edizioni della Copa Libertadores, altrettante della Coppa Intercontinentale, la prima edizione (su due disputate) della Supercoppa dei Campioni Intercontinentali e un Campionato NASL con i New York Cosmos negli Usa.

La sua rete realizzata alla Svezia nella finale del 1958 è il più grande gol nella storia delle finali della Coppa del Mondo FIFA. Detiene il record di reti realizzate in carriera, 1281 in 1363 partite, mentre in gare ufficiali ha messo a segno 757 reti in 816 incontri con una media realizzativa pari a 0,93 gol a gara. Fa parte della National Soccer Hall of Fame ed è stato inserito dal settimanale statunitense Time nel “TIME 100 Heroes & Icons” del XX secolo. È stato dichiarato “Tesoro nazionale” e “Patrimonio storico-sportivo dell’umanità“. E’ il Calciatore del Secolo per la FIFA, per il Comitato Olimpico Internazionale e per l’International Federation of Football History & Statistics (IFFHS) e Pallone d’oro FIFA del secolo, ha poi ricevuto il Pallone d’oro FIFA onorario.

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