Archive for Novembre, 2021

La stretta del Viminale sul Super Pass, in campo anche i controllori nei bus

martedì, Novembre 30th, 2021

di Giuliano Foschini

Non meno di tre milioni di controlli nel corso del mese. La collaborazione delle polizie locali e probabilmente dell’Esercito, accanto a carabinieri, poliziotti e finanzieri. E l’utilizzo dei controllori locali, sui trasporti soprattutto, anche quelli gestiti dai comuni. Il Viminale prepara il grande piano dei controlli per il Super Green Pass che partirà dal 6 dicembre. Oggi ci sarà un primo incontro con i prefetti, incontro che diventerà un appuntamento fisso: ogni settimana, in ogni città capoluogo, si terrà il Comitato per l’ordine e la sicurezza nel quale le istituzioni dovranno fare un punto sul numero dei controlli e sulle misure da prendere. La linea del governo è chiara: i contatti sono destinati a salire ma, in tutti i modi, vanno evitare le chiusure. Perché questo possa essere possibile – se da un lato si stringeranno fortemente le corde nei confronti dei non vaccinati – dall’altro bisognerà prendere tutte le misure di sicurezza possibili. Controlli a tappeto, quindi, compatibilmente con le donne e gli uomini a disposizione. E misure anche sanitarie: ieri Repubblica ha anticipato come Speranza abbia lanciato un incoraggiamento ai sindaci per seguire la strada di Roma e Milano e obbligare le mascherine all’aperto. In queste ore all’interno dell’Anci se n’è parlato molto e la strada è tracciata: lo faranno quasi tutti, «anche perché – ragionano dall’Associazione dei Comuni – al momento già esiste l’obbligo in caso di assembramenti, come nel caso dello shopping natalizio». Ma sono pronti a scommettere che prima di Natale arriverà un obbligo nazionale.


Dunque, mascherine anche all’aperto per tutti. E controlli, nonostante la coperta corta. A disposizione ci sono poco più di 300mila uomini (94.000 poliziotti, 104 mila carabinieri, 57 mila finanzieri e 64 mila vigili urbani), per l’intera pubblica sicurezza. Troppo pochi. Per questo le strade sono due: l’utilizzo dell’Esercito. E sfruttare la collaborazione dei controllori del trasporto, che dipendono sia da Comuni sia da quello che resta delle Province. Il dialogo è già aperto e nei giorni prossimi arriverà il via libera. Saranno loro sui mezzi a chiedere il Green Pass. E loro a poter chiedere anche il documento per incrociare i dati. Non è una questione marginale. La grande paura è quella dell’invasione dei Green Pass falsi, come hanno documentato le indagini delle ultime settimane: si tratta di certificati veri ma appartenenti ad altre persone che vengono recuperate dai pirati o sulla Rete (da chi incautamente pubblica il proprio codice a barre) o attraverso altri sotterfugi. È stata per esempio scoperta una copisteria che plastificava Green Pass e che, prima di riconsegnarli al cliente, ne faceva una copia da mettere su Telegram.

Rating 3.00 out of 5

Scuola, è dietrofront: “Se c’è un positivo quarantena per tutti”

martedì, Novembre 30th, 2021

di Michele Bocci

Stop al protocollo sulla scuola che prevede di non mettere in quarantena l’intera classe quando c’è un solo caso e quindi ritorno alla Dad. L’aumento dei contagi, cresciuti del 25% nell’ultima settimana, e i timori legati alla variante Omicron suggeriscono cautela nelle classi e così ministero alla Salute e Regioni decidono di bloccare una novità introdotta appena poche settimane fa. Ieri sera una circolare ha bloccato le indicazioni sulla gestione dei casi a scuola. Ieri si è svolto un incontro tra ministero alla Salute e Regioni per discutere delle strategie di testing e di tracciamento da adottare per intercettare subito i casi provocati dalla variante Omicron. Si vuole così almeno rallentare il suo arrivo, che comunque prima o poi, ritengono gli esperti, ci sarà. La chiave sta nella capacità di fare i sequenziamenti dei tamponi positivi per veridicare se è presente la variante nata in Sud Africa.

l’incontro tra Regioni e ministero

Ma nel corso dell’incontro si è anche parlato della scuola. Le amministrazioni locali hanno segnalato il problema dello screening con i test salivari, che vengono fatti in un campione di scuole ormai da settembre. Si tratta di una attività che serve ad intercettare casi asintomatici ma impegna personale che in questo momento potrebbero essere utile nel lavoro su tamponi e quarantene, che sta crescendo insieme alla curva dei contagi. Alcune Regioni hanno anche fatto notare come adesso, con tanti positivi tra i giovani, possa essere pericoloso non mettere in quarantena le classi quando capita un caso, come prevede il protocollo di Istituto superiore di sanità, ministero e delle stesse amministrazioni locali diffuso poche settimane fa. Tanto più che si teme l’arrivo e la diffusione della Omicron, la cui pericolosità non è ancora chiara. E visto che i più giovani rappresentano la parte prevalente dei contagiati, si ritiene che sia meglio tornare alla Dad già dal primo caso, mandando quindi subito a casa anche gli alunni vaccinati. Dal ministero, dove non a tutti piaceva, hanno detto di essere d’accordo a sospendere il protocollo sulla scuola.

La circolare che ferma gli screening e segna il ritorno alla Dad

Così in serata il direttore della Prevenzione del ministero, Gianni Rezza, ha diffuso una circolare con alcuni aggiornamenti. Si parte dal presupposto appunto che “ultimamente si sta assistendo a un aumento rapido e generalizzato del numero di nuovi casi di infezione, anche in età scolare, con incidenza settimanale ancora in crescita e parti a 125 per 100mila abitanti, valore ben lontano da quello ottimale di 50 per 100mila, utile per il tracciamento dei casi”. Rezza ricorda che le indicazioni sulla quarantena facevano riferimento alla situazione epidemiologica esistente a suo tempo, da rivalutare in caso di peggioramento.

Rating 3.00 out of 5

I morti sul lavoro nel 2021 segnano un nuovo picco: sono mille. Ecco i volti della strage

martedì, Novembre 30th, 2021

di Marco Patucchi

Mille. Anzi, oltre mille. Il bollettino del “crimine di pace” dei caduti del lavoro segna un altro tassello che dovrebbe pesare sulla coscienza dell’intera società italiana. Politica, istituzioni, imprese, sindacati. Mimetizzato da quasi due anni di emergenza Covid, il metronomo degli incidenti ha continuato con il suo ritmo inesorabile: tra gennaio e ottobre le denunce all’Inail di decessi sul lavoro hanno superato appunto la soglia dei mille casi. Il dato ufficiale ancora non è stato diffuso e considerando che per il bilancio annuale mancano ancora i numeri di novembre e quelli (futuri) di dicembre, il 2021 naviga ad una velocità di rotta ben al di sopra del 2020 quando i morti sono stati 1280, con la compensazione tra minori casi per lo stop delle attività nel lockdown e aumento di quelli nella sanità. Insomma, una impietosa andatura di oltre 3 decessi al giorno, uno ogni 8 ore.

E se si considerano gli infortuni non mortali, il ritmo è altrettanto impressionante: uno ogni 50 secondi. I dati, però, trasformano vite spezzate in statistica, cercando di misurare l’incommensurabile. Per questo la Spoon River dei morti sul lavoro (che Repubblica racconta quotidianamente sul sito) è un monito, un memento a chi deve intervenire per porre fine ad un’emergenza insopportabile. Il governo, a onor del vero, lo ha fatto: con il decreto che rafforza poteri e dotazioni dell’Ispettorato nazionale del lavoro e inasprisce le sanzioni alle imprese; con la obbligatorietà della Durc, cioè la valutazione di congruità per le aziende edili.

Ma ovviamente non può bastare, perché restano da vincere le resistenze burocratiche che rendono inapplicabili le norme, così come le “gelosie” tra poteri in campo (Ispettorato, Regioni con le Asl, Inail, Inps) che, per dire, non rendono possibile la creazione di una banca dati unica sulla sicurezza del lavoro.

Rating 3.00 out of 5

L’Economist: “Giorgia Meloni può diventare la prima premier donna”

martedì, Novembre 30th, 2021

Giorgia Meloni “può diventare la prima premier donna”. A scriverlo è il periodico britannico Economist nello speciale “The World Ahead 2022”, in cui, ogni anno, viene stilata una lista di chi avràò peso nel nuovo anno sia in Europa e che nel mondo. Personalità da tenere d’occhio.

La presidente di Fratelli d’Italia, leader dell’opposizione e dei Conservatori Europei, nel 2022 “sarà corteggiata dal segretario della Lega Matteo Salvini, ma è ben posizionata per arrivare a surclassarlo, con l’inizio delle manovre in vista delle elezioni previste per giugno 2023″, si legge nello speciale della rivista fondata e diretta nel 1843 dall’economista e parlamentare britannico, James Wilson.

“Meloni premier? Non mi fa arrabbiare, quando c’è un centrodestra apprezzato all’estero sono felice”, ha commentato il leader della Lega Salvini. “Ma” ha aggiunto, “il presidente del Consiglio lo decideranno gli italiani, e del 2023 ne parleremo nel 2023”.

Intano però Giorgia Meloni, ricorda l’Economist sondaggi alla mano, negli ultimi quattro anni ha portato FdI a quadruplicare i voti rendendo il suo partito il “più popolare” d’Italia, e nei prossimi mesi “avrà una possibilità più che concreta di diventare la prima presidente del Consiglio donna d’Italia”. Non è la prima volta che Meloni è indicata come prossima possibile premier dalla stampa internazionale. Nel 2020 era accaduto per esempio il Times.

Rating 3.00 out of 5

Covid e vaccini, i partiti non assecondino le paure delle famiglie

martedì, Novembre 30th, 2021

Marcello Sorgi

L’ allarme per la variante Omicron continua a crescere, sebbene per fortuna le prime notizie fornite dagli scienziati di fronte a questa nuova insidia del Covid siano più rassicuranti di quanto poteva sembrare di primo acchito. Il paziente 1 italiano, che dopo essere transitato, perfettamente tracciato, da Milano, ha raggiunto la sua terra natale a Caserta, sta meglio e trascorre la convalescenza a casa sua. I medici che hanno in cura lui e i suoi familiari garantiscono che il virus ha mostrato «una carica virale bassissima». Lo stesso si può dire per i componenti della squadra di rugby delle Zebre, contagiati anche loro in Sudafrica.

Per contro, sono purtroppo piene, o quasi piene, le terapie intensive del Friuli Venezia Giulia, da ieri in zona gialla. Ed è possibile che anche altre regioni del Nord debbano scontare cambiamenti di colore, con le restrizioni già a lungo sofferte in primavera. Il sogno di un Natale sereno, familiare o in vacanza, si sta rapidamente afflosciando. Sarà già un successo se si riuscirà ad evitare un nuovo lockdown, che porterebbe una gelata della ripresa economica appena cominciata. Molto dipenderà dai comportamenti – prestissimo, mascherine anche all’aperto – e dal senso di responsabilità individuali. Ma non solo. E non perché la temutissima variante si stia rivelando meno aggressiva. E neppure perché, a fronte di regioni in cui il quadro e la tendenza siano preoccupanti, ce ne siano altre in cui la situazione resta sotto controllo, e il ritmo delle terze dosi dei vaccini sia ovunque confortante. Tal che si può già sperare che entro gennaio la maggioranza dei cittadini si sarà sottoposto al richiamo, e un numero crescente di non vaccinati si sarà presentato per la prima dose, assottigliando le file dei No-vax, che pur continuano a manifestare. Gli ultimi tre giorni in cui purtroppo il mondo – dicasi il mondo intero – ha reagito alla nuova minaccia della variante Omicron chiudendosi, o preparandosi a chiudersi e a bloccare le frontiere, ci lasciano infatti una lezione sulla quale sarà opportuno riflettere, per il futuro, E cioè: ogni novità, piccola o grande, che riguardi il Covid, entra immediatamente nel meccanismo mediatico-scientifico-politico che ormai ci governa, senza distinzione tra Paesi e porzioni di paesi, Occidente e Oriente, aree ricche e meno ricche. Dappertutto, questo sistema integrato reagisce allo stesso modo, con l’allarme assoluto. E quando poi questa inquietudine si ridimensiona, per ragioni diverse come l’evidenza, i risultati scientifici, gli interessi economici, è sempre troppo tardi per tornare indietro. L’esperienza della variante Delta lo dimostra: presentata come subdola, invasiva, perniciosa, in grado di demolire le poche certezze maturate in un anno e mezzo di pandemia, è apparsa col tempo assolutamente tollerabile. Si è constatato che i vaccini, pur non essendo stati selezionati per questo genere di contagio, erano in grado di fronteggiarla del tutto o in parte, né più né meno come il virus precedente.

Rating 3.00 out of 5

Donne per il Quirinale

martedì, Novembre 30th, 2021

Annalisa Cuzzocrea

Sono almeno 12 le candidabili che restano ai margini a causa di una narrativa solo maschile. I nomi in campo, da Bonino a Rosy Bindi. E c’è l’ipotesi di una staffetta Belloni-Draghi

Come si trattasse di una semplice quota. Come fosse un panda in via di estinzione, o un animale strano, ogni tanto – nei totonomi per il Quirinale – appare la possibilità nuova, inusitata, fantascientifica: «Una donna». Non un nome e un cognome, come per tutti gli uomini chiamati in causa, da Mario Draghi a Paolo Gentiloni, da Pier Ferdinando Casini a Giuliano Amato. Ma una casellina grigia senza volto e un immaginario punto interrogativo sopra. Appunto, una donna. «Ma chi?», sembrano chiedere sperduti commentatori come se l’ipotesi fosse così assurda da appartenere al campo dell’irrealtà. In questo, se possibile, siamo tornati indietro. Nel 1999 un sondaggio Swg aveva fatto agli italiani una domanda secca: chi vorreste come presidente della Repubblica? Il 31 per cento degli intervistati aveva risposto: Emma Bonino. Poco tempo dopo, sondaggio Abacus, la leader radicale aveva il 47% dei consensi contro il 43 di Carlo Azeglio Ciampi. Sappiamo come andò. Fu una fiammata, e oggi non potrebbe succedere. Non perché le donne non ci siano, anche se in politica hanno incontrato – negli ultimi venti anni – molti più ostacoli del previsto. Ma semplicemente perché si è costruita una narrazione ostile per cui un essere umano di sesso femminile adatto alla presidenza della Repubblica o alla guida di Palazzo Chigi, semplicemente, non esiste.

Un caso di miopia collettiva, così lo definisce Emma Bonino. Che più che da candidata sembra oggi parlare da madre di tutte le candidate possibili: «Penso che le dobbiamo proteggere e non bruciare. Non è colpa mia se voi guardate e non vedete. Se ogni volta si passa dai bla bla bla dei convegni del week-end all’invisibilità del vivere quotidiano. Perché se perfino il Financial Time ha trovato una direttrice donna, se lo ha fatto la Reuters, ed è anche un’italiana, pensate possa non essercene una per il Quirinale? Voi sentite e non ascoltate, è così vero ».

La severità della senatrice radicale è, come sempre, rivolta a tutti. Non solo al Parlamento, che in realtà in queste ore su nomi di donne si sta agitando parecchio. Anche se per tenerle, come sempre, come ultima spiaggia. In caso Mario Draghi voglia, ma non ce la faccia. In caso gli altri papabili siano fermati dai veti incrociati. Insomma, in caso ci sia da rimediare a uno stallo. O a un disastro. Sia come sia, i nomi ci sono e se ne possono mettere in fila tanti. Liliana Segre ha declinato. Lo ha fatto nel modo più saggio possibile e cioè invitando a scegliere una persona che abbia lavorato nelle istituzioni, piuttosto che un simbolo: «Non ho la competenza e non l’avrei avuta nemmeno trent’anni fa», ha detto, limpida. Guardiamo oltre allora.

Rating 3.00 out of 5

I leader irritati dal metodo Draghi. Salvini: dica cosa vuole fare sul Colle

martedì, Novembre 30th, 2021

Ilario Lombardo

ROMA. È una fase strana della politica questa. In cui tutti i leader sono in grado di dire una cosa e pensare contemporaneamente a due, tre scenari differenti. Quel che è certo è che nei partiti, ai vertici come nella pancia parlamentare dove si agitano i peones, sta crescendo la voglia di stanare Mario Draghi, di costringerlo a uscire dal silenzio in cui il presidente del Consiglio ha avvolto il suo destino e, di conseguenza, quello del governo, del Quirinale, e della legislatura.
L’esempio più eclatante sono i due segretari che più si avversano tra di loro, Enrico Letta del Pd, e Matteo Salvini della Lega. Il secondo lo ha detto chiaramente ad alcuni leghisti: «Draghi non può giocare con noi, e tenerci sotto ricatto. Deve dire cosa vuole fare, se vuole andare al Quirinale o meno». Entrambi i segretari non hanno preso bene che ieri il premier abbia dato inizio a tre giorni di confronto sulla manovra con i gruppi parlamentari dei partiti di maggioranza. Gli avevano chiesto sì un tavolo, ma dei leader, non dei capigruppo. Era stato Letta, in un’intervista a La Stampa, a proporre un summit sulla legge di Bilancio. Un’idea subito dopo rilanciata da Salvini, eternamente alla ricerca di uno spazio di rappresentanza tra le decisioni del governo. Una proposta che poi avevano in qualche modo sgonfiato prima il presidente del M5S Giuseppe Conte e poi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, suggerendo di aprire ai capigruppo. Il risultato è che, alla fine, la scelta di Draghi è suonata come una sconfessione di Letta e di Salvini.

Il leghista non l’ha presa bene. Proprio ieri, poche ore prima che il premier incontrasse i 5 Stelle, il segretario del Carroccio ha convocato una conferenza per presentare modifiche alla legge di Bilancio che avrebbero bisogno di ben altre risorse rispetto a quello disponibili. Ma Salvini non si è limitato a parlare dei margini stretti della finanziaria. Si è anche unito al coro di chi chiede che Draghi resti dov’è. In mattinata era stato Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, e candidato del centrodestra al Colle, a invitare il premier a continuare a Palazzo Chigi fino al 2023. «Condivido. – ha risposto Salvini – Draghi sta lavorando bene. Mi auguro che continui a lavorare a lungo e a fare il presidente del Consiglio». Se è abbastanza ovvio che il leghista lo abbia fatto per dare una sponda alla candidatura di Berlusconi al Colle, lo è meno il sottinteso tattico che ci sarebbe dietro quella dichiarazione. E che il leader, stufo dell’atteggiamento dell’ex banchiere centrale, ha condiviso con i suoi collaboratori e fedelissimi: «Draghi deve smetterla di tenerci a distanza, per andare al Colle deve fare i conti con noi».

Rating 3.00 out of 5

Italia-Francia: la spinta necessaria per l’Unione europea

martedì, Novembre 30th, 2021

di   Angelo Panebianco

È stato scritto che il trattato italo-francese appena firmato a Roma, oltre ad archiviare i recenti conflitti fra Italia e Francia, potrebbe preludere a un patto fra Germania, Francia, Italia. Sarebbe il primo passo verso quelle «cooperazioni rinforzate» di cui l’Europa ha bisogno per ottenere maggiore integrazione in campo economico-finanziario, della difesa europea, eccetera. Si spera che il divario (inevitabile) fra intenzioni e realtà non risulti troppo ampio. Soprattutto perché la cornice entro la quale si è sviluppata l’integrazione europea dopo la Seconda guerra mondiale, ossia il sistema delle alleanze occidentali, è sempre più in difficoltà.

Si osservi quanto sta accadendo al centro di quel sistema di alleanze: gli Stati Uniti. A pochi mesi dal suo insediamento, l’Amministrazione Biden è già fortemente indebolita. In caduta verticale di credibilità e prestigio tanto sul piano interno quanto su quello internazionale. Sul piano interno le divisioni fra radicali e moderati nel Partito democratico che Joe Biden non riesce a controllare e il risicato margine di vantaggio dei democratici rispetto ai repubblicani in Senato ne compromettono la capacità d’azione. Si prevede che le elezioni di midterm del novembre del prossimo anno registreranno una sconfitta del partito del presidente in carica. Come tante volte in passato. Ma adesso il tasso di polarizzazione politico-ideologica è così alto da rendere probabile la paralisi dell’Amministrazione.

Sul piano internazionale, la ritirata da Kabul di quest’estate ha colpito il prestigio degli Stati Uniti e ne ha minato la credibilità. Quando invaderemo l’isola — si chiedono i cinesi — gli americani saranno disposti a morire per Taiwan?

Si pensi a quella che avrebbe dovuto essere, stando alle dichiarazioni di Biden in campagna elettorale e dopo, l’impresa più qualificante degli Stati Uniti sul piano internazionale: la formazione, in stile wilsoniano (l’interventismo democratico nella tradizione americana), di una «alleanza delle democrazie» per contrastare i regimi autoritari. L’incontro del 9 e 10 dicembre convocato da Biden per dare corpo a quell’idea è già a rischio fallimento. Non solo perché i criteri con cui sono stati scelti i Paesi da coinvolgere hanno subito alimentato recriminazioni (degli esclusi) e perplessità fra gli osservatori (perché l’Ungheria no e la Polonia sì?). Soprattutto perché il progetto parte male: dopo avere lasciato l’Aghanistan in mano ai talebani dichiarando che non è più affare dell’America preoccuparsi di quanto avviene in quel Paese, la «lotta contro gli autoritarismi» ha perso credibilità. L’unica cosa che resta è che gli Stati Uniti chiedono appoggi nella competizione di potenza con la Russia e soprattutto la Cina. Ma questa è solo realpolitik. Non c’è bisogno di scomodare la retorica wilsoniana.

Rating 3.00 out of 5

La Commissione Ue, il Natale e le linee guida sulla comunicazione: «Non tutti celebrano le feste cristiane, siate sensibili»

martedì, Novembre 30th, 2021

di Francesco Battistini

In vista del Natale, la Commissione europea dirama le linee guida sulla comunicazione in un documento interno dal titolo «Union of Equality». Invece di dire «Buon Natale», meglio «Buone feste»

Un piccolo passo per un uomo? Eh, no! Mettesse di nuovo il piedone sulla Luna e pronunciasse la sua celebre frase, oggi il povero Armstrong lo lascerebbero là: chi l’ha detto che è stato solo l’Uomo a sbarcare sulla Luna? Per non dire di Gesù: non di solo pane vive l’uomo, chiaro, ma mica vorremo lasciare solo a lui il companatico. E pure il fuoco, la ruota o la penicillina: perché mai sarebbero da narrare soltanto come le Grandi Invenzioni dell’Uomo? Perfino Eduardo dovrebbe riscrivere la sua commedia più famosa: «Festività in casa Cupiello». La lingua batte dove il gender duole, le parole che non diciamo stanno diventando un vocabolario alto così e anche il Natale diventa politicamente corretto, sì, ma corretto grappa: in attesa di disquisire su Babbo/Mamma Natale e sul sesso delle renne (ci arriveremo, ci arriveremo…), alla Commissione europea hanno anticipato i brindisi e i bigliettini natalizi con un dossierino, «Guidelines for Inclusive Communication», che insegni ai funzionari Ue la neolingua inclusiva e non discriminatoria. 32 pagine di suggerimenti: vietato offendere i non cristiani che non fanno il presepe, le donne che non si chiamano Maria, gli anziani che non si sentono vecchi, gli europei che vivono ai confini dell’Europa

La scelta

Stando alla commissaria maltese per l’Uguaglianza, Helena Dalli, è ora di piantarla: chi va a sciare, d’ora in poi auguri «Buone Feste» e non «Buon Natale»; chi non ci va, eviti di dire che «il periodo natalizio può essere stressante» e se proprio vuole lamentarsi, semplicemente, stia su un più generico «periodo delle vacanze». Insomma: «Evitare di considerare che chiunque sia cristiano», perché serve «essere sensibili al fatto che le persone abbiano differenti tradizioni religiose». Quando lo chiamavano a votare certe leggi, il liberale Giovanni Malagodi svicolava spiegando d’avere «impiegato una vita a non sembrare un cretino». La signora Dalli è ancora giovane e non ha gli stessi scrupoli. Tanto da scatenare irridenti reazioni dalla Polonia, dalla Spagna, dall’Ungheria e anche dalla destra italiana, che parla di «follia» (Salvini) e di «storia e identità» minacciate (Meloni). Com’è uscita la circolare della Commissione di Ursula van der Leyen, che doveva rimanere riservata, Bruxelles ha precisato di volere solo invitare chi lavora nell’Ue a un linguaggio più consapevole: «Dobbiamo sempre offrire una comunicazione inclusiva — dice la commissaria maltese — garantendo così che tutti siano apprezzati e riconosciuti indipendentemente dal sesso, dalla religione o dall’origine etnica”. Nobili parole, seguite da comiche tabelle che entrano nello specifico.

Rating 3.00 out of 5

Vaccino ai bambini, Villani: «È sicuro ed è loro diritto riceverlo»

martedì, Novembre 30th, 2021

di Margherita De Bac

Il pediatra consiglia il vaccino ai bambini di 5-11 anni: «I genitori devono pensare a quello che perderebbero i piccoli in termini di qualità della vita. I casi di sindromi gravi non vanno sottovalutati anche se rari»

desc img

Vaccinarli «significa mettere al di sopra di tutto il loro benessere». Che non equivale soltanto all’assenza di malattie ma anche qualità delle loro giornate. «Mettiamo in condizione i piccoli di fare una vita da…piccoli. Quindi gioco, scuola, sport, distrazioni».

Alberto Villani, direttore dipartimento emergenza, accettazione e pediatria generale del Bambino Gesù, raccoglie in una frase le motivazioni che dovrebbero («e lo spero») convincere un genitore sull’importanza dell’anti Covid nell’età 5-11 anni.

Siamo a poche ore dal via libera dell’agenzia del farmaco Aifa alle dosi prodotte da Pfizer che saranno già disponibili (a detta del coordinatore del comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli) dal 23 dicembre. In previsione della scadenza Villani rivolge un appello.

Da dove cominciamo?

«Dal concetto di benessere. Non possiamo pensare di prendere come parametro i due estremi,la morte e la vita. Per i bimbi è fondamentale la qualità della vita, che è un bene supremo, necessario per crescere in salute. Se non lo possiedono rischiano di perdere serenità in una fase cruciale del loro diventare grandi».

Lei ha denunciato più volte l’aumento di problematiche di tipo psichiatrico e psicologico in questa fascia d’età, legate proprio alle regole restrittive imposte dal Covid.

«Anche al Bambino Gesù abbiamo osservato un aumento di patologie molto serie. Tentato suicidio, autolesionismo, disturbi del comportamento alimentare. La causa in parte è da attribuire alla reclusione in casa vissuta durante il lockdown e alle incertezze del dopo clausura. Mi riferisco all’impossibilità di frequentare la scuola, di ritrovarsi con i compagni, di fare una partita a pallone con gli amici. Per i figli unici l’isolamento è stato molto stressante».

La vaccinazione contro il Covid andrebbe considerata dunque uno strumento di salute sociale?

«Un bambino in salute è un bene sociale. La vaccinazione ha un ruolo determinante. C’è una fortissima indicazione da parte dei pediatri italiani, espressa con un documento appena pubblicato».

Rating 3.00 out of 5
Marquee Powered By Know How Media.