Archive for Ottobre, 2021

Ilda Boccassini, ritorno in tv 23 anni dopo da Enrico Mentana: tam-tam a La7, fango e siluri contro Silvio Berlusconi

domenica, Ottobre 31st, 2021

Ventitré anni dopo, Ilda Boccassini torna in televisione. A suo modo, un appuntamento storico: l’ultima volta in cui “Ilda la Rossa” si era concessa al piccolo schermo risale al 1998, quando l’allora sostituto procuratore di Milano si fece intervistare da Enzo Biagi, su Rai 1.

Questa sera, sabato 30 ottobre, la Boccassini apparirà in prima serata su La7 per un’intervista esclusiva condotta da Enrico Mentana a partire dalle 21.15. Un colloquio su mafia, magistratura e ovviamente su Silvio Berlusconi, bersaglio grosso della Boccassini per gran parte della sua carriera, bersaglio grosso contro il quale, c’è da scommetterci, tornerà a picchiare durissimo (soprattutto ora che il leader di Forza Italia è in corsa per il Quirinale nella successione a Sergio Mattarella),

Lei può essere bastonata. Ma lui.... Scappatella con Falcone, Vittorio Feltri picchia duro: perché sto con la Boccassini

Dunque, si parlerà anche di Giovanni Falcone, dopo che Ilda, nel suo libro, ha recentemente confermato che con il giudice ebbe una tormentata relazione sentimentale: “Me ne innamorai. È molto complicato per me parlarne. Sicuramente non si trattò dei sentimenti classici con cui siamo abituati a fare i conti nel corso della vita. No. Il mio sentimento era altro e più profondo, non prevedeva una condizione di vita quotidiana, il bisogno di vivere l’amore momento per momento”, scrive la Boccassini nel suo libro autobiografico.

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Bruno Vespa, il retroscena: “Renzi fuori? Non scherziamo”, la sconfitta degli “ayatollah del Pd”

domenica, Ottobre 31st, 2021

Non era il ddl Zan il problema ma il Quirinale. Perché, saltata la legge, si è palesato l’accordo, quello “tra Renzi e il centrodestra per eleggere insieme il successore di Mattarella“, osserva Bruno Vespa nel suo editoriale su Il Giorno. Ma facciamo un passo indietro. Intanto il Pd aveva “esercitato fortissime pressioni su Elisabetta Casellati perché non concedesse al Senato” il voto segreto “sapendo di perdere”. Già in estate, rivela vespa. “Letta, che è persona di buonsenso, capiva quanto fosse fragile la teoria del ‘sesso percepito’ (tu mi vedi maschio, ma ti assicuro che sono femmina, con giganteschi problemi nel mondo sportivo e non solo). E che le inquietudini, fortissime in Italia viva e anche in Forza Italia, che pure ha una forte componente laica, si annidavano nel suo stesso partito”.
Avrebbe potuto scegliere una “mediazione sui tre punti controversi (oltre al ‘sesso percepito’, l’educazione dei bambini e la libertà d’opinione)”, invece, sottolinea Vespa, “purtroppo in campi così sensibili, l’ultima parola è degli ayatollah, bravissimi nelle fatwa, meno nei ragionamenti”. Ma questo voto che ha palesato un’alleanza tra il leader di Italia viva e il centrodestra sul Quirinale ha soprattutto un significato politico e delle conseguenze. “Di qui l’aggressione all’ex presidente del Consiglio e l’annuncio solenne che Italia Viva non fa più parte del centrosinistra”, scrive ancora il direttore di Porta a porta.

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Il virus corre, un caso su 4 è tra gli under 20. Boom di contagi in Friuli, Veneto e Bolzano

domenica, Ottobre 31st, 2021

Patricia Tagliaferri

La crescita dei nuovi casi è ancora contenuta, ma costante. Tanto che le proiezioni della prossima settimana danno l’Rt a 1,14. Una soglia che preoccupa, perché quando l’indice di contagio è sopra 1 vuol dire che l’epidemia sta riprendendo forza. Ieri si sono registrati 4.878 nuovi casi e il tasso di positività è sceso al’1,1%. I decessi sono stati 37, terapie intensive in calo, in leggera salita i ricoveri ordinari.

In questa fase sono i giovani e giovanissimi a trainare la ripresa dei contagi. Nell’ultima settimana, come risulta dal report esteso dell’Iss, un caso su quattro riguarda infatti persone sotto i 20 anni. A fronte di un aumento dell’incidenza in tutte le fasce di età, a far segnare l’incremento maggiore è quella sotto i 12 anni, ossia la fascia ancora non vaccinabile. Almeno in Europa, mentre gli Usa hanno recentemente autorizzato la somministrazione di Pfizer anche ai bambini dai 5 agli 11 anni. In particolare, nel report si osserva come nelle ultime 3 settimane nella popolazione 0-19 anni la distribuzione percentuale settimanale dei casi diagnosticati per età risulta stabile: il 47% nella fascia 6-11 anni, il 33% nella fascia 12-19 anni e solo il 13% e il 7% rispettivamente nella fascia 3-5 anni e sotto i 3. In totale, comunque, nell’ultima settimana, il 24% dei casi sono stati diagnosticati nella popolazione di età inferiore a 20 anni. Dal punto di vista geografico la circolazione del virus sta riprendendo ovunque. Tra le 18 regioni o province autonome a rischio moderato, sono 3 quelle con l’incidenza maggiore di casi ogni 100mila abitanti: Bolzano con un valore di 101,7 (contro l’85,6 della settimana prima), il Friuli Venezia Giulia a 96,5, con un valore quasi raddoppiato, e il Veneto a 61,4 (contro il 48,3). In particolare il boom dei contagi registrato in Friuli viene messo in correlazione con le proteste dei No vax dei giorni scorsi. Soltanto 3 regioni sono a rischio basso. L’Iss segnala anche l’aumento dei contagi tra gli operatori sanitari. Nell’ultima settimana se ne sono ammalati 522 contro i 386 di quella precedente.

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Cosa rivela la settimana del Papa

domenica, Ottobre 31st, 2021

Francesco Boezi

É stata una settimana densa d’appuntamenti per Papa Francesco che, dopo il blocco dovuto alla pandemia ed alle sue restrizioni, è tornato a disegnare le prospettive della Chiesa cattolica del domani. Tante le novità e gli eventi da tenere in considerazione per raccontare con esaustività questi ultimi sette giorni nei sacri palazzi del Vaticano: tra questi, l’incontro con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, l’udienza privata riservata giovani di Rifondazione comunista (un appuntamento passato un po’ in sordina ma sul quale conviene soffermarsi) e l’affossamento del ddl Zan che riguarda, seppur in maniera indiretta, gli ambienti dottrinali cattolici. Andiamo con ordine.

In rete circolano le foto del summit tra Jorge Mario Bergoglio ed il massimo vertice esecutivo degli Usa: è difficile, dando un rapido sguardo a quegli scatti, non notare una certa differenza, tra sorrisi ed atteggiamenti, rispetto ai tempi dell’incontro con Donald Trump. Bergoglio è apparso decisamente più disteso ed a suo agio. Joe Biden è un Dem e, oltre ad essere un convinto abortista, è stato al centro di polemiche elettorali dovute alle posizioni espresse in bioetica. Ma tutto questo a Francesco sembra interessare in modo relativo. Le stesse dichiarazioni rilasciate dopo il summit dal presidente degli Stati Uniti sembrano ridimensionare il problema inerente alcune compatibilità, sempre che di problema, con il Papa, ne sia mai esistito uno.

Essendo Biden un abortista, durante la campagna elettorale i cardinali conservatori, con in testa l’americano Raymond Leo Burke, avevano posto la questione della legittimità della concessione del sacramento dell’eucaristia. In punta di dottrina, del resto, qualche dubbio esisterebbe. E pure i vescovi degli Stati Uniti hanno analizzato il caso attraverso la costituzione di una vera e propria commissione ad hoc. Tanto che, in questi mesi, si è parlato di “commissione Bide”. Ma Bergoglio, con l’udienza di questa settimana, ha sigillato la sua versione delle cose. Quella che prevede che Biden possa continuare, in assoluta libertà ed in piena coscienza, a ricevere la comunione. Un’ennesima apertura verso l’emisfero Dem del bipolarismo americano che stenta a poter essere definita una notizia. Poi, come premesso, c’è l’udienza con il giovanile di Rifondazione comunista.

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I soldi alla Sanità: trasformati a tempo indeterminato i contratti per gli “eroi” della pandemia

domenica, Ottobre 31st, 2021

Paolo Russo

Li hanno chiamati eroi quando più di un anno fa risposero in massa alla chiamata alle armi per contrastare la pandemia. Ora vengono premiati dalla manovra appena varata dal governo che trasforma a tempo indeterminato i loro contratti prossimi alla scadenza. Una promessa che il ministro della Salute Roberto Speranza è riuscito a mantenere portandosi a casa questo e molto altro. Come l’aumento di due miliardi l’anno per tre anni del Fondo sanitario nazionale, un altro miliardo e 850 milioni per i vaccini e altri 2 miliardi e 345 milioni da qui al 2027 per aumentare le borse di studio dei medici specializzandi e supplire così una volta per tutte alla carenza di camici bianchi, dopo anni di cattiva programmazione delle specializzazioni universitarie. ***Iscriviti alla Newsletter Speciale coronavirus
Salvati i sanitari volontari La stabilizzazione riguarda secondo le stime della Fiaso, la Federazione di asl e ospedali che l’ha a suo tempo proposta, 53mila tra medici e infermieri assunti con contratti a tempo determinato nell’era terribile della prima ondata pandemica. Per tutti coloro che abbiano lavorato almeno sei mesi dal gennaio 2020 a giugno del 2021 il contratto verrà trasformato a tempo indeterminato, senza passare attraverso le forche caudine dei concorsi. Secondo il sindacato dei medici ospedalieri Anaao all’operazione sarebbero però interessati non più di 4mila camici bianchi dei 20 mila precari, tra i quali 5mila sarebbero specializzandi, altrettanti neo laureati non ancora avviati alla specializzazione e altri assunti con contratti libero-professionali “a chiamata” (altri mille erano i pensionati). I costi sarebbero già coperti dall’aumento di 4 miliardi del fondo sanitario dello scorso anno. L’operazione va comunque a otturare la falla aperta dai 35mila medici e 58 mila infermieri che da qui al 2024 andranno in quiescenza secondo le stime della Fiaso. Quasi 2 miliardi per i vaccini La manovra implementa di un miliardo e 850 milioni il fondo a disposizione del Commissario straordinario Francesco Figliuolo per l’acquisto dei vaccini anti-Covid nel 2022. Con oltre l’80% della popolazione vaccinabile già immunizzata è chiaro che lo stanziamento servirà ad estendere, se non a tutta la popolazione poco ci manca, la terza dose, fino ad oggi riservata a over 60, pazienti fragili, Rsa e personale sanitario. Altri 600 milioni da qui al 2024 sono invece destinati all’acquisto dei farmaci innovativi, tra i quali diversi costosi antitumorali, antibatterici a antivirali di nuova generazione già in rampa di lancio. Più specializzandi «Dopo le circa 30mila borse di specializzazione in medicina finanziate negli ultimi due anni nella manovra di bilancio ne abbiamo reso permanenti altre 12mila, chiudendo per sempre l’era dell’imbuto formativo», annuncia con soddisfazione Speranza. «I nostri medici, apprezzati in tutto il mondo, studiano dai 9 agli 11 anni acquisendo competenze, skill ed esperienza prima di entrare stabilmente nel sistema.

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La Casa Bianca e la politica del possibile

domenica, Ottobre 31st, 2021

Gianni Riotta

«Storico!»: il presidente americano Joe Biden ha faticato un po’ prima di pronunciare l’aggettivo prediletto dai leader ai summit, “storico!”, tra i tormentati negoziati del G20 italiano, ma alla fine ci è riuscito, citando l’accordo internazionale sulla minimum tax. L’intesa, che richiederà lavoro per esser adottata dai circa 140 Paesi firmatari, dovrebbe evitare la fuga delle multinazionali, in testa le piattaforme digitali, verso i Paesi che offrono sconti fiscali, a danno delle economie locali, imponendo un’imposta minima del 15%. Un passo avanti, ma un primo passo. Basta però a Joe Biden per classificare come un successo la missione a Roma, vigilia del vertice di oggi a Glasgow alla Conferenza sul clima Cop26. La realtà, oltre l’enfasi degli spin doctor, è più aspra, il veterano Biden lo sa, e negli incontri bilaterali ha fatto ricorso a tutta la sua esperienza per superare gli attriti ereditati da Donald Trump e la diffidenza internazionale, seguita alla scelta di ritirarsi dall’Afghanistan. Biden ha lasciato la regia al premier italiano Mario Draghi, con l’appello al «multilateralismo come migliore risposta a nostri problemi», non solo per la fiducia che ripone nell’ex presidente Bce, ma anche perché, da sempre, il dialogo leale con gli alleati e il confronto aperto con gli avversari sono la sua sigla, a volte deprecata perfino nel Partito democratico, ma per lui irrinunciabile. Così Biden ha parlato con la cancelliera tedesca Merkel, il presidente francese Macron e il premier britannico Johnson per riaprire la trattativa con l’Iran sui patti, firmati nel 2015, contro l’uso militare dell’energia nucleare a Teheran, strappati da Trump, con gli ayatollah a riprendere subito l’arricchimento dell’uranio e l’Onu stessa, ora, a temere la corsa all’atomica del regime sciita. Ricucito, almeno in parte, lo strappo con Parigi sui sommergibili delle classi Virginia e Columbia offerti all’Australia, Biden ha sorriso, dato pacche sulla schiena, narrato aneddoti e stretto mani, in puro stile yankee, per richiamare all’urgenza di tagli ai gas serra e all’uso del carbone, al centro oggi del Cop26. Con il presidente cinese Xi Jinping e il presidente russo Putin collegati in remoto, nel pomeriggio di sabato i toni non erano ottimistici per una svolta radicale, l’India del premier Modi, ma anche Pechino, hanno bisogno del vecchio carbone per le loro economie. La speranza dei protocolli di Parigi era contenere il riscaldamento dell’atmosfera a 1,5 gradi Celsius, margine che non sarà rispettato, con la deadline del 2050 che slitterà in avanti. Ostinato, Biden ha provato a trovare la quadra su logistica e produzione globale, paralizzate durante la pandemia, con la carenza di prodotti chiave come i semiconduttori, e ha guidato la conversazione, priva stavolta di toni alati e irta di gergo tecnico della manifattura, perché le navi cargo tornino presto, piene, nei porti commerciali. Stamane, alle 9, il presidente, con la moglie Jill, seguirà la Messa in Vaticano, pur senza Papa Francesco a celebrare.

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Il bla bla bla che al mondo non basta più

domenica, Ottobre 31st, 2021

Massimo Giannini

Sperduti, impauriti e impoveriti nel grande mondo post-pandemico, guardiamo con sollievo i Grandi della Terra riuniti a Roma per discutere dei mali del pianeta. Potremmo dirla così: la prima, vera notizia che emerge da questo G-20 è probabilmente il G-20 stesso. Il fatto cioè che dopo quasi due anni di lockdown globale questo format politico-diplomatico torni ad esistere. Il fatto che i Capi di Stato e di governo tornino a incontrarsi “in presenza”, e non più “in Dad”, per parlare delle tre pestilenze epocali che ci opprimono: il Covid, il clima, la crisi. Ci rassicurano le photo-opportunity di rito, arricchite stavolta dalla presenza di medici e infermieri, i veri Grandi di questa tragica guerra contro il virus. Ci confortano i panel e gli incontri bilaterali tra i leader, Biden che parla di nucleare iraniano con Macron e Merkel, Draghi che parla di diritti civili con Erdogan e Modi, la regina d’Olanda che parla di empowerment femminile con tutti. Ci rafforzano le dichiarazioni e le immagini del nostro presidente del Consiglio, che di questo vertice planetario è padrone e di casa e regista, per conto di un’Italia che nell’occasione ha recuperato prestigio e credibilità, ritrovando un peso nell’Unione europea e un ruolo nell’Alleanza Atlantica. Può darsi che abbia ragione Helen Thompson, che sul New York Times sostiene: «Nel dopo Angela l’Europa non ha più una guida», per la semplice ragione che «l’Unione non può essere guidata». Ma che Draghi stia riempiendo un vuoto è una verità oggettiva. Ed è un bene per il Paese. Questa cerimonia schopenaueriana del “mondo come volontà e rappresentazione” ci aiuta a mitigare l’inquietudine della fase: il timore che nell’era del Grande Caos non ci sia nessuna autorità suprema, nessun Leviatano capace di mantenere o ripristinare l’ordine. Almeno dal punto di vista simbolico e iconografico, c’è il tentativo di ridare all’umano una direzione di marcia, un destino comune, un disegno condiviso. Nell’emergenza pandemica sono riemersi i vizi antichi del potere, che inganna il popolo in nome del popolo. Il protezionismo, l’unilateralismo, il nazionalismo: scorciatoie demagogiche, che hanno solo acuito i problemi. Serve altro, di fronte all’entropia e al dolore del mondo. Come ha detto Mario Draghi, il multilateralismo è «l’unica soluzione possibile». Ha ragione. Ma al di là della facciata, questo G-20 riflette davvero la determinazione assoluta dei leader di recuperare un orizzonte multilaterale nelle relazioni internazionali? Purtroppo, se dalla forma si passa alla sostanza, i dubbi sono tanti. Resta la sensazione che sia ancora vera la dottrina di Hobbes: gli Stati-Nazione “nella postura dei gladiatori, con le armi pronte e gli occhi fissi uno sull’altro”. Resta l’impressione che l’uscita dalla crisi, piuttosto che al multilateralismo invocato dal nostro premier, porti a un multipolarismo asimmetrico dagli esiti incerti.

La “diserzione” di Xi Jinping e Putin dallo storico appuntamento nella Capitale è un pessimo viatico e insieme la conferma che il mondo scomposto si va ricomponendo per blocchi e sotto-blocchi contrapposti. Da una parte Usa e Ue, uniti per dimostrare che “l’America è tornata” e che “le democrazie funzionano”, ma poi divisi tra due zone di interesse, una nell’Atlantico e l’altra nel Pacifico (vedi l’Aukus con Australia e Regno Unito, che ha fatto infuriare la Francia). Dall’altra parte Cina e Russia, in comunione per ribadire che il liberalismo occidentale ha fallito, ma in competizione per attrarre nelle rispettive aree di influenza potenze regionali come Iran e Pakistan. Cosa possa nascere di buono da questo assetto è difficile dire. Se si prescinde dall’intesa pur decisiva sull’introduzione di una minimum tax globale del 15 per cento sulle multinazionali, cos’altro sta producendo il G-20 romano? Del dramma dell’Afghanistan non si parla nemmeno: Draghi ci ha provato per un mese, ma purtroppo non è riuscito a convincere i partner a un confronto che invece sarebbe stato necessario per ragioni politiche e doveroso per ragioni etiche, vista la fuga vigliacca degli eserciti Nato da Kabul.

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Le sfide del G20: democrazie alla prova, i vantaggi dei regimi

domenica, Ottobre 31st, 2021
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di   Angelo Panebianco

Troppi e aggrovigliati problemi per un summit solo? Nell’incontro del G20 che si conclude oggi a Roma, tra colloqui ufficiali e riservati, si è discusso di Covid, di clima, di energia, ma anche di Afghanistan, di Mediterraneo, di nucleare iraniano, di Africa.

Al di là delle dichiarazioni e di qualche accordo (global minimum tax) ciò che più conta è avere mostrato all’opinione pubblica mondiale che certi Paesi, le democrazie occidentali in particolare, sono ancora in grado di cooperare fra loro. Anche se le divisioni restano. Molto di più non si poteva pretendere. Basti pensare che il presidente Joe Biden è arrivato a Roma con un piano di investimenti su welfare e transizione ecologica su cui non dispone ancora dell’approvazione del Congresso. O si pensi a come, in tutti i temi, a cominciare da clima e energia, siano in gioco conflitti di interesse anche aspri. E su quanto pesi la competizione fra le grandi potenze.

Il summit è però anche un’occasione per riflettere sul rapporto fra le democrazie e le potenze autoritarie, grandi (Cina, Russia) o medie che siano. Al tempo della Guerra fredda le democrazie occidentali vivevano in un mondo «semplice»: noi di qua, loro di là. Allora gli occidentali, per contrapporsi all’Urss, potevano appoggiare (e lo fecero, eccome) governi autoritari in America Latina, in Asia o in Africa ma quell’appoggio, ai loro occhi, era giustificato, sia pure a malincuore, dalla Realpolitik, ossia dal fatto che occorreva costruire dighe per impedire al comunismo sovietico di dilagare. Oggi il mondo, per gli occidentali, è molto più complicato. Come dimostrano i rapporti difficili e ambigui che tanto gli Stati Uniti quanto gli europei intrattengono con le potenze autoritarie. Con le quali devono cooperare pur cercando di tenerle a bada. Liaisons dangereuses, legami pericolosi.

Le differenze, istituzionali, politiche e sociali, mostrano i punti di forza ma anche di debolezza delle democrazie rispetto alle potenze autocratiche. Le democrazie sono vincolate al rispetto dei diritti dei loro cittadini. Le autocrazie devono soprattutto guardarsi dalle periodiche rivolte popolari. I governi delle democrazie sono condizionati dagli umori e dalla volontà degli elettori. I regimi autocratici hanno i mezzi per manipolare le elezioni (quando e se ci sono). Le democrazie si innestano su società relativamente aperte, ove imprese e associazioni di ogni tipo agiscono, dentro e fuori i confini nazionali , subendo solo un blando controllo governativo. I regimi autocratici esercitano il controllo politico, almeno in linea di principio, su ogni aspetto della vita economica e sociale dei propri Paesi. Queste differenze si riflettono nei rapporti internazionali.

Le democrazie hanno due grandi punti di forza. Quando una democrazia è in pericolo, quando si trova in guerra con potenze autoritarie, e a rischio di invasione, essa mostra una capacità di mobilitare i cittadini per la difesa del Paese superiore a quella che sono in grado di esibire le suddette potenze autoritarie: nelle prove drammatiche i cittadini (della democrazia) sono pronti a sopportare spontaneamente maggiori sacrifici di quelli che sopportano, per pura coercizione, i sudditi, spesso demoralizzati, delle autocrazie. Il secondo punto di forza è che le società aperte (democratiche e occidentali) hanno mostrato una capacità di creare legami transnazionali — la cosiddetta globalizzazione — che le chiuse società autocratiche non avrebbero mai potuto generare (anche se possono, vedi Cina, sfruttarne i vantaggi). Anche il G20 è figlio dell’Occidente e della sua vocazione aperta e includente, rappresenta un’evoluzione dell’originario G7. Forse non è un caso se le due massime potenze autocratiche (Cina e Russia) abbiano partecipato all’incontro di Roma solo in videoconferenza.

Ma ci sono anche i punti di debolezza. Le democrazie, come diceva un osservatore dell’Ottocento, Alexis de Tocqueville, sono meno attrezzate dei regimi autoritari per condurre con efficacia i loro affari esteri. Sono perennemente in bilico fra le esigenze imposte dalla competizione di potenza e i vincoli interni, la necessità di rispondere a elettorati volubili. Gli autocrati, privi di forti vincoli interni, possono pianificare le loro mosse di politica estera anche nel medio termine. I governi democratici si muovono in un orizzonte temporale ristretto, definito dai tempi delle scadenze elettorali (e dagli umori popolari rilevati dai sondaggi). Da qui le tante incertezze e ambiguità. Come mostrato dalla disastrosa ritirata americana da Kabul e dalla più generale incapacità, di americani e europei, di definire chiare linee di azione quando devono fronteggiare l’aggressività dei regimi autoritari. Si pensi alla difficoltà di stabilire come neutralizzare certe mosse del despota turco Erdogan, capo di un Paese membro della Nato ma anche ostile all’Occidente.

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G20, «Fare tutto da soli non è possibile». Draghi apre al multilateralismo

domenica, Ottobre 31st, 2021

di Marco Galluzzo

Il G20 di Roma, i bilaterali del premier. Johnson chiede un aiuto per lanciare la Cop26 L’incontro con Erdogan dopo il gelo: «Costruttivo scambio di vedute»

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È il padrone di casa, alla sua prova più difficile a livello internazionale cerca un accordo sul clima che possa fare del G20 non solo una vetrina ben riuscita. Anche per questo Mario Draghi si presenta di fronte ai venti leader del summit con un messaggio che è un appello accorato: non possiamo più fare da soli, le sfide globali si affrontano insieme, «il multilateralismo è la migliore risposta ai problemi che affrontiamo oggi. Per molti versi, è l’unica soluzione possibile. Ed è splendido vedervi tutti qui dopo questi anni difficili».

È il primo grande vertice in presenza dopo quasi due anni , può essere una tappa verso una ricostruzione delle relazioni internazionali che per il premier italiano non possono non mutare dopo la lezione della pandemia, la crisi economica che ne è seguita, gli effetti globali sulle diseguaglianze che il mondo sta sperimentando. Per questi motivi il leit motiv è incentrato sul concetto di un nuovo multilateralismo: «Dalla pandemia, al cambiamento climatico, a una tassazione giusta ed equa, fare tutto questo da soli, semplicemente, non è un’opzione possibile», rimarca Draghi, che invita i partner a «fare tutto ciò che possiamo per superare le nostre differenze e a riaccendere lo spirito che ci ha portati alla creazione e al rafforzamento di questo consesso».

Ed in effetti qualcosa si muove, i 20 leader sono d’accordo nel sottoscrivere l’accordo globale sulla minimum tax per i colossi dell’economia mondiale. Ma si cerca una strada comune anche nella sfida contro la pandemia, una sfida che per Draghi rafforza l’esigenza di «un nuovo modello economico che stiamo costruendo».

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G20, la spinta dei Grandi a Roma: vaccini al 70% nel mondo

domenica, Ottobre 31st, 2021

di Viviana Mazza

Nei Paesi ricchi quasi 3 persone su 4 hanno ricevuto la prima dose, ma in quelli poveri si crolla al 3%. Sì all’imposta globale per le multinazionali. Per Biden si tratta di un «accordo storico». Si negozia sulle emissioni, ma sul clima c’è tensione

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Un impegno ambizioso per appianare le diseguaglianze sui vaccini, cui dovranno seguire però i fatti. Un accordo sulla tassa minima globale per le più grosse corporation, iniziativa portata avanti dalla Casa Bianca che ha avuto più successo a venderla nel mondo che nel Congresso Usa. Nessun passo avanti per ora sui cambiamenti climatici. Si conclude così la prima giornata del G20 dei leader a Roma . Il summit è iniziato con il benvenuto del presidente del Consiglio Mario Draghi ai capi di stato e di governo , salutati uno per uno, al loro arrivo alla Nuvola dell’Eur — chi con un quasi-abbraccio come Joe Biden o Emmanuel Macron, chi come Jair Bolsonaro con sorrisi a distanza di sicurezza. Poi la «foto di famiglia» con il personale sanitario.

La pandemia

Oltre il 70 per cento della popolazione nei Paesi ricchi ha ricevuto almeno una dose di vaccino mentre nei più poveri questa percentuale crolla al 3 per cento, ha detto Draghi: differenze «moralmente inaccettabili che minano la ripresa globale». I leader si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo, indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità, a vaccinare il 40 per cento della popolazione globale entro il 2021 e il 70 per cento entro la metà del 2022. Ma per farlo davvero saranno necessarie non solo promesse di donare dosi, ma tra le altre cose una effettiva prevedibilità nella loro consegna, investimenti anche nella ricerca, l’abbattimento di barriere commerciali.

La tassa minima globale

I leader del G20 hanno formalmente approvato la tassa minima globale del 15 per cento sugli utili delle grandi multinazionali , un accordo che dovrà essere trasformato in norme vere e proprie nei singoli Paesi. Biden, che sta avendo difficoltà a convincere il suo stesso partito ad aumentare le tasse per finanziare il suo piano per la spesa pubblica, definisce la tassa minima globale una svolta storica «per i lavoratori, i contribuenti e le aziende in America», un’intesa che «ridisegna le regole dell’economia globale» e la prova che la Casa Bianca sta perseguendo una «politica estera per il ceto medio».

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