Archive for Settembre, 2021

Dal voto in Germania segnali di buona politica

martedì, Settembre 28th, 2021
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di   Aldo Cazzullo

E così l’Spd è tornata il primo partito tedesco non su una linea di sinistra radicale, alla Jeremy Corbyn o alla Jean-Luc Mélenchon — per tacere dei massimalisti di casa nostra —, ma su una linea centrista, rivendicando l’eredità di Angela Merkel; che in questi anni non ha guidato una Grande Coalizione (in Germania ormai i due grandi partiti valgono appena metà dell’elettorato) ma un centro-sinistra, saldamente ancorato al centro.

Non era scontato. Anzi, pareva impossibile. I socialdemocratici sembravano destinati a seguire la sorte del Pasok greco, scalzato dai populisti di Syriza (destinati comunque a venire a più miti consigli: via Varoufakis, sì al rigore imposto da Berlino), o quella del Ps francese, messo fuori gioco da un altro centrista: Emmanuel Macron. Invece un partito che nonostante la sua storia gloriosa pareva morto si riaffaccia ora sulla soglia della Cancelleria; grazie anche al grande «richiamo all’ordine» segnato dalla crisi post-Covid, con il ritorno del ruolo dello Stato e la ripresa di credibilità delle istituzioni europee.

Dopo la prima guerra mondiale, le avanguardie artistiche — dal cubismo all’astrattismo — avvertirono un «rappel à l’ordre»: gli artisti ripresero a dipingere figure, recuperarono le forme classiche, persino Kandinsky avvertì il fascino della razionalità geometrica. In modo analogo, la pandemia ha segnato un richiamo alla ragione per un mondo che pareva incantato dalle sirene del populismo e del sovranismo.

Prima la vittoria della Brexit. Poi quella ancora più a sorpresa di Trump. L’incredibile meteora Bolsonaro. L’ascesa di Podemos e di Vox in Spagna. Il governo giallo-verde in Italia. Pareva che la rivolta contro il sistema avesse prevalso e fosse destinata a governare un mondo senza monete comuni, frontiere aperte, istituzioni multilaterali. Poi la pandemia ha sconvolto tutto. Trump, avviato alla rielezione, ha sbagliato a sottovalutarla, e si è giocato la Casa Bianca. Johnson dopo gli errori iniziali si è salvato e ora aumenta le tasse per finanziare il National Health Service, il servizio sanitario nazionale. Il No-Vax Bolsonaro mangia la pizza per strada perché respinto dai ristoranti di Manhattan e rischia di essere sconfitto dal revenant Lula appena uscito di galera. In Spagna Podemos è crollato, Vox si è ridimensionata, e si torna all’alternativa tra socialisti e popolari. In Italia la Lega neonazionalista appoggia adesso il più europeista dei governi. In Francia si sgonfia Marine Le Pen. E in Germania il partito della Merkel cede non a destra (Alternative für Deutschland perde voti e seggi) ma al centro, dove si rafforzano da una parte i liberali e dall’altra i Verdi e appunto i socialdemocratici.

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La sbandata di Giorgetti. Intervista surreale del ministro della Lega, sisma sulle elezioni

martedì, Settembre 28th, 2021

Franco Bechis

La sua previsione sulle elezioni di Roma? Un ballottaggio fra Carlo Calenda e Roberto Gualtieri, con vittoria certa del primo. Su quelle di Milano? “Vince Beppe Sala al primo turno”. Silvio Berlusconi presidente della Repubblica? “Poche possibilità”. Pierferdinando Casini ne avrebbe di più: “è amico di tutti, no?”. Il governo di Mario Draghi? Arriva al 31 dicembre di quest’anno: “da gennaio la musica sarà diversa. I partiti smetteranno di coprirlo e si concentreranno sugli elettori”. Quindi, meglio che Draghi vada al Quirinale, sciolga le Camere e governerà chi sarà votato. Poi che vinca il centro destra o che vinca il centrosinistra succederà la stessa cosa: avranno in mano i soldi del Pnnr e “li butteranno via. Oppure non li sapranno spendere”. Mi fermo qui, anche se Giancarlo Giorgetti, il riservatissimo ministro dello Sviluppo economico, ne ha dette ben di più nell’intervista pubblicata ieri da La Stampa. Il testo non è stato smentito, anche se poi Giorgetti ha sostenuto dopo la reazione furiosa di tutti i leader del centrodestra che “qualunque cosa dica ormai vengo sempre strumentalizzato”.

Non so se nei commenti e nelle reazioni accese qualcuno abbia distorto il suo pensiero, posso dire che scorsa l’intervista come è stata pubblicata e appreso che il colloquio con il giornalista era avvenuto a pranzo in un elegante albergo nel centro di Torino, sarei stato curioso di vedere il numero di bottiglie di Nebbiolo, Barbaresco o Barolo ormai vuote su quella tavolata. Perché raramente in vita mia ho assistito a una serie di hara-kiri impressionanti come quelli qui elencati. Fossero stati solo quelli sul centrodestra, penserei che come capita a tanti politici, Giorgetti dopo tanti anni abbia scelto di cambiare maglia. Ma in contemporanea ha detto di Draghi (e di Sergio Mattarella) tutto quello che per protocollo non è opportuno dire semplicemente appartenendo a una maggioranza di governo, figuriamoci poi se sei pure ministro e capo-delegazione nell’esecutivo di una forza politica importante. Propendo decisamente per l’altra ipotesi: sono nato in Piemonte e conosco lo straordinario profumo del vitigno Nebbiolo e la gradevolezza dei vini che ne nascono in purezza, ma so pure quanto possano essere traditrici alla fine, che è un po’ quel che deve essere capitato a Giorgetti, altrimenti davvero incomprensibile.

A cinque giorni dal voto amministrativo per eleggere il sindaco di Roma come quello di Milano e di altre città è inevitabile che quella intervista sia apparsa come un attentato kamikaze. E così è stata vissuta nel partito stesso di Giorgetti – la Lega – e assai di più in Forza Italia e in Fratelli di Italia. Vogliamo pensarla come una nutrita catena di gaffe, ma anche considerandole dal sen sfuggite, le previsioni di Giorgetti sono per fortuna assai poco credibili.

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La guida Ue resterà franco-tedesca, malgrado Draghi

martedì, Settembre 28th, 2021

L’incertezza politica in cui è piombata la Germania dopo il voto di ieri ha acceso un tormentone tutto italiano: Mario Draghi alla guida dell’Europa insieme a Emmanuel Macron al posto di Angela Merkel, almeno nei prossimi mesi di interregno tra l’era della cancelliera e quello che verrà. L’idea gira tra i pollici nostrani, è anche evocata pubblicamente da taluni, è accattivante, di quelle che da italiani è d’uopo sostenere, più o meno come fare il tipo per la nazionale, ma lì si ferma. Il limite di Mario Draghi, personalità conosciuta e stimata a livello internazionale, è che è italiano, alla guida di un paese che al massimo può guidare la battaglia per la revisione delle regole fiscali del Patto di stabilità. Il che è tanta roba d’accordo e l’Italia ha guadagnato in standing internazionale da quando l’ex governatore della Bce guida il governo, ma è cosa ben diversa dall’avere un peso specifico nelle scelte strategiche. L’Italia non è ‘pesante’ nella geopolitica del continente e globale.

Di certo, Draghi lo sa, visto che non ha mai dato adito alle voci che corrono su di lui, da quelle che lo vogliono al Quirinale o ancora al governo, fino a quelle che lo indicano come il successore di Merkel, come il più adatto a raccogliere il testimone della cancelliera. Di adatto lo sarebbe, ci mancherebbe. Il suo limite – espressione che usiamo noi, lui è ovviamente orgoglioso di essere italiano come ha detto più volte – è che rappresenta un paese con un’economia appesantita da un debito pubblico che già prima della pandemia era oltre il 100 per cento del pil, un sistema da riformare da tempo come chiede Bruxelles inascoltata dai precedenti governi se non per alcune eccezioni comunque problematiche (Fornero), un impianto economico che non ha investito in Cina quanto hanno investito la Germania e la Francia, per fare un esempio.

Insomma l’Italia viaggia lenta. La velleità di poter guidare l’Europa resta tale nelle condizioni date, persino con un ‘asso’ come Draghi. Magari potrà succedere in futuro, se davvero, da qui al 2026, il paese farà tesoro dei 191,5 miliardi di euro del Next Generation Eu (più i fondi nazionali, oltre 200 miliardi di euro) e ne uscirà con un sistema totalmente trasformato, competitivo e con disuguaglianze ridotte. Ma per ora il tormentone è destinato a restare chiacchiera italiana, per questioni economiche, storiche e anche per una condizione geografica di periferia rispetto al centro d’Europa.

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Amazon aumenta dell’8% stipendi d’ingresso dei dipendenti della logistica

martedì, Settembre 28th, 2021

Amazon aumenta dell′8% la retribuzione di ingresso dei dipendenti della rete logistica. Dal primo ottobre, grazie all’incremento retributivo che rientra nella revisione periodica degli stipendi realizzata da Amazon, la retribuzione d’ingresso – si legge in una nota – passerà da 1.550 euro lordi al mese a 1.680 euro lordi. La nuova retribuzione d’ingresso è, quindi, più alta dell′8% rispetto agli standard previsti dal Contratto nazionale del trasporto e della logistica. “Lavoriamo da sempre per essere l’azienda più orientata al cliente del mondo, ma non solo. Vogliamo anche essere il miglior datore di lavoro e il posto più sicuro in cui lavorare”, sottolinea Stefano Perego, VP Amazon EU
Operations.

Dal suo arrivo in Italia, nel 2010, Amazon ha investito oltre 6 miliardi di euro creando più di 12.500 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato, in oltre 50 siti sparsi in tutto il Paese. Nel 2021 sono già entrati in attività i centri di distribuzione di Novara e di Cividate al Piano (Bergamo), a cui si aggiungerà presto anche il centro di smistamento di Spilamberto (Modena). Amazon ha poi annunciato l’apertura nel 2022 del suo primo centro di distribuzione in Abruzzo in cui saranno creati 1.000 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato entro tre anni dall’apertura. Negli ultimi anni ha inoltre aperto vari centri e depositi in tutta la penisola. Per servire i clienti Amazon Prime Now e Fresh, l’azienda dispone di due centri di distribuzione urbani a Milano e Roma.

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Draghi stringe l’intesa con i sindacati sul decreto infortuni, ma il Patto si ferma qui

martedì, Settembre 28th, 2021

“Oggi parliamo di sicurezza e salute”. Bastano sei parole a Mario Draghi per fare capire ai leader di Cgil, Cisl e Uil che quella che sta per iniziare a palazzo Chigi non è la discussione sul perimetro del Patto sociale per l’Italia che ha lanciato giovedì scorso dal palco dell’assemblea di Confindustria. E infatti per un’ora si parla del decreto che il Governo sta preparando per rafforzare la sicurezza nei luoghi di lavoro. La discussione vira subito sui contenuti e così la dimensione del fare del premier si incastra con quella delle risposte concrete che ha accompagnato l’ingresso alla riunione dei tre sindacalisti. Tutti d’accordo, c’è l’intesa. Poi al tavolo dove siedono anche il sottosegretario Roberto Garofoli e i ministri Andrea Orlando e Renato Brunetta si parla per altri quindici minuti. Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri chiedono informazioni e incontri sui temi divisivi, dalle delocalizzazioni alle pensioni. Dall’altra parte del tavolo si comprime tutto in un “ci rivedremo presto”. 

Quando il leader della Cgil parla fuori da palazzo Chigi è evidente che le aspettative non sono andate deluse del tutto. Incassa “le prime risposte importanti” sul tema della sicurezza e anche “l’impegno nei prossimi giorni ad
ulteriori convocazioni per entrare nel merito delle altre questioni”. Il rischio era quello di un incontro di routine, senza aggiornamenti, tra l’altro non facile essendo il primo faccia a faccia con il premier dopo l’accoglienza più che tiepida dell’idea del Patto. Ma il decreto sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, condito da un clima di condivisione, non inaugura quella svolta di Governo, nel merito oltre che nel metodo, auspicata da tutto il fronte sindacale. La delega fiscale è in fase di rifinitura al Tesoro e Draghi, scortato dal fedelissimo Garofoli, spiega che sarà ad ampio respiro, facendo capire che non ci metterà mano nessuno. La Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, il primo atto della lunga stagione del bilancio, sarà approvata dal Consiglio dei ministri mercoledì, con la concessione di un passaggio formale in cabina di regia. Le norme sulle delocalizzazioni sono finite in mano al consulente Francesco Giavazzi e lì sono state più che annacquate. La manovra non sarà la cuccagna di partiti e sindacati perché i soldi sono pochi. 

Le porte di palazzo Chigi resteranno aperte, ci sarà un passaggio con i sindacati anche sulla legge di bilancio, ma non c’è un calendario come auspicava Landini. Soprattutto non c’è la volontà del premier di affogare la tabella di marcia nelle secche di una concertazione che rischia di tramutarsi in discussioni e veti.  Insomma mettersi d’accordo su un tema come è quello della sicurezza sul lavoro era più che agevole, non scontato perché i contenuti fanno la differenza, ma sicuramente in discesa. Se poi i contenuti, come è stato, guardano alle rivendicazioni di Cgil, Cisl e Uil, tirare su un clima cordiale si è rivelato ancora più facile. Come non essere sulla stessa lunghezza d’onda quando in ballo c’è un decreto che istituirà una banca dati sugli infortuni per agevolare i controlli e che prevederà anche l’accelerazione per assumere duemila ispettori, oltre a una linea dura in caso di violazioni delle norme di sicurezza, con la sospensione dell’attività fino a quando l’imprenditore non si metterà in regola?

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Cacciari, diritto alle libere idee

martedì, Settembre 28th, 2021

LUIGI MANCONI

La premessa doverosa è che, certo, Massimo Cacciari non ha alcun bisogno di essere difeso. Lo sa fare benissimo da sé (e, poi, chi sono io…?). Tuttavia, nel clima infuocato e sudaticcio di alcune polemiche politico-mediatiche quando tutto risulta forzatamente omologato a due schieramenti ferocemente contrapposti, la sola idea che il filosofo veneziano possa essere, non dico assimilato, ma anche solo accostato ai no-vax, mi fa rabbrividire. Cacciari, va da sé, non è ostile al vaccino contro il covid e solleva nei confronti del green pass contestazioni, in genere da me non condivise, ma serie. Mi trovo, di conseguenza, su posizioni lontane dalle sue proprio a proposito del lasciapassare sanitario, ma ritengo necessario entrare nel merito delle sue obiezioni. Non soltanto perché in una democrazia matura il dibattito pubblico su questione di tale rilevanza è sempre legittimo (ci mancherebbe altro), ma proprio perché alcuni contributi che sollevano dubbi e perplessità possono aiutare a rendere più razionali e intelligenti le politiche adottate contro la pandemia. E, d’altra parte, mi lasciano un po’ preoccupato le decisioni e le argomentazioni troppo sbrigative e semplicistiche, che poggiano su due assunti: a. c’è un pericolo grave per la salute collettiva (affermazione incontestabile); b. le decisioni del governo, in una situazione di emergenza vanno tutte accettate ed eseguite (affermazione contestabile). Ne consegue che, a mio parere, tempi e modalità dell’applicazione del greenpass possano e debbano essere discussi: e proprio perché ciò potrebbe consentire una più efficace attuazione del provvedimento. E una migliore tutela di quelle libertà individuali che fatalmente, ne verranno in qualche misura intaccate. Questo costituisce un rischio che non può essere escluso incondizionatamente e una volta per tutte, ma che va trattato con la massima delicatezza, in base ai criteri di proporzionalità e temporaneità che – in un regime democratico – devono definire e circoscrivere le condizioni dell’emergenza.

Mi sembra che proprio questa sia la principale preoccupazione di Cacciari e io non posso che condividerla, in quanto penso – come lui – che “oggi sia sempre più diffusa l’indifferenza verso le libertà individuali” (la Stampa del 3 settembre scorso). Lanciare l’allarme, quindi, non è superfluo: tanto più che Cacciari lo fa a partire da una netta distinzione (che altri colpevolmente trascurano) tra stato d’emergenza e stato d’eccezione (che comporterebbe “la sospensione dei principi costituzionali”), del quale ultimo, non sembra temere l’avvento.

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Conte: “Con questa Lega il governo Draghi non arriva fino al 2023”

martedì, Settembre 28th, 2021

Niccolò Carratelli

Si presenta senza cravatta, Giuseppe Conte. «Vengo dalle piazze, ma avrei dovuto portarmela per entrare nel palazzo dell’establishment», scherza il presidente del Movimento 5 stelle, ospite nella redazione de La Stampa. Il direttore, Massimo Giannini, all’inizio dell’intervista per la trasmissione “30 minuti al Massimo” (versione integrale su lastampa.it), gli offre un “Maalox preventivo”, di grillina memoria, per digerire meglio il risultato delle prossime elezioni amministrative, in cui il M5s non è esattamente favorito. «Vedo che ha una palla di vetro negativa – replica l’ex premier – ma avrà una sorpresa, noi abbiamo grande energia in vista di questo voto».

Stando agli ultimi sondaggi, non avete grandi possibilità, o sbaglio?
«Se si riferisce al fatto che il Movimento tradizionalmente non ha avuto risultati brillanti sul territorio, le dico che il nuovo corso assicurerà un dialogo costante, con gruppi e forum territoriali. Comunque, abbiamo proposte politiche forti a Napoli, a Bologna con il Pd, in Calabria e anche a Roma…». A Roma con la Raggi? Nonostante i cinghiali?
«Guardi, i cinghiali ci sono dappertutto e non sono un metro di giudizio. La sua valutazione negativa non tiene conto della complicata realtà della gestione amministrativa a Roma. Raggi è partita con un’eredità difficile, ma gli ultimi sondaggi la danno in forte risalita». Dalle alleanze torinesi al fine del Movimento del “vaffa”, il direttore Massimo Giannini intervista l’ex premier Conte

Ha ragione, i cinghiali sono anche a Torino. Qui c’è la possibilità di un accordo col Pd?
«C’è sempre la possibilità di lavorare, ma il Pd locale ha imboccato una strada poco comprensibile, dando un giudizio negativo sull’amministrazione uscente. Corriamo da soli e al ballottaggio non spostiamo voti come pacchi postali. Il Pd ha fatto la sua scelta, se ne assuma la responsabilità. E le anticipo una cosa: il problema di cosa fare al ballottaggio se lo dovrà porre il Pd torinese, decidendo se appoggiarci o meno».

Anche il centrodestra è in difficoltà, tanto che Giorgetti dice che a Roma il candidato migliore è Calenda, non Michetti.
«Si è consultato con Salvini, che sta facendo campagna per Michetti? Mi sembra chiaro che la proposta del centrodestra non sia molto competitiva. La Lega, poi, è in confusione totale, ha una conflittualità interna che mi preoccupa molto».
Ora è alle prese con il caso Morisi, il guru social di Salvini indagato per una vicenda di droga. Che idea si è fatto?
«La vicenda personale non posso giudicarla, lasciamo che l’inchiesta faccia il suo corso. Certo Morisi è stato interprete del salvinismo più aggressivo, che andava a citofonare in giro e rincorreva l’immigrato di turno, alimentando le paure nel Paese. Sorprende come il leader della Lega applichi un metro di valutazione indulgente nei confronti degli amici, rispetto a quanto fatto con gli avversari in passato. Questo non è accettabile da parte di chi ha una responsabilità politica, serve uniformità di giudizio. Comunque, è un ulteriore elemento che si aggiunge al caos leghista e queste fibrillazioni possono far male al governo».

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Capienza cinema all’80% e stadi al 75%: le decisioni del Cts, cosa cambia

martedì, Settembre 28th, 2021

di Michelangelo Borrillo e Adriana Logroscino

Le graduali riaperture delle manifestazioni sportive e culturali fanno un nuovo passo verso la normalità. Il Cts (Comitato tecnico scientifico) ritiene possibile — per quanto riguarda stadi e palazzetti dello sport — prevedere un aumento della capienza massima delle strutture all’aperto al 75% e per quelle al chiuso al 50% in zona bianca, ovviamente a persone munite di green pass. Con una raccomandazione: la capienza negli impianti dovrà essere rispettata utilizzando tutti i settori e non solo una parte al fine di evitare il verificarsi di assembramenti in alcune zone. Insomma, le distanze vanno mantenute. Inoltre dovranno essere rispettate le indicazioni all’uso delle mascherine chirurgiche durante tutte le fasi degli eventi, raccomandando che ci sia vigilanza sul rispetto delle indicazioni.
Quanto alle manifestazioni culturali, il Cts ritiene si possa procedere con graduali riaperture degli accessi di persone munite di green pass per cinema, teatri, sale da concerto, ritenendo possibile prevedere un aumento della capienza massima delle strutture al 100% all’aperto e all’80% al chiuso in zona bianca. E tale indicazione potrà essere rivista nell’arco del prossimo mese. Anche in questo caso il Cts raccomanda che siano rispettate le indicazioni all’uso delle mascherine chirurgiche durante tutte le fasi degli eventi; che sia posta massima attenzione alla qualità degli impianti di aereazione; che ci sia la vigilanza sul rispetto delle indicazioni. Per i musei nessuna limitazione agli accessi, con un’unica raccomandazione: che sia garantita l’organizzazione dei flussi per favorire il distanziamento interpersonale in ogni fase con l’eccezione dei nuclei conviventi. Per le discoteche, invece, ancora nulla da fare: per ora restano chiuse.
Quello del Cts è un parere non vincolante: la decisione toccherà al governo. Che, però, di solito si adegua al parere. Del resto il Cts nella riunione ha esaminato le tematiche e i quesiti posti dal ministro dei Beni e delle Attività culturali e dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega allo Sport. E il parere è stato dato sulla base dell’attuale evoluzione positiva del quadro epidemiologico e dell’andamento della campagna vaccinale.

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Perché il voto in Germania è una doppia rivoluzione

martedì, Settembre 28th, 2021

di Paolo Valentino

La Germania, con le elezioni del 26 settembre 2021, si è messa alle spalle l’età di Angela Merkel con il più straordinario e problematico risultato elettorale della sua storia democratica: la vittoria (di misura) della sinistra della Spd di Scholz, e il crollo della Cdu di Laschet

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Più che un’elezione è stata una rivoluzione.

La Germania ha votato e si è messa alle spalle l’età di Angela Merkel, con il più inedito, straordinario e problematico risultato elettorale della sua storia democratica.

Quello che emerge dalle urne è un paesaggio politico dominato dalla frammentazione e nel quale la nascita di una maggioranza di governo si annuncia lunga e complicata.

Eppure, comunque vada a finire, le elezioni politiche tedesche hanno un vincitore e uno sconfitto: il primo è Olaf Scholz, il secondo è Armin Laschet.

Il candidato socialdemocratico ha resuscitato la Spd, portandola al primo posto dopo un purgatorio durato venti anni e vincendo la scommessa di combinare un messaggio di continuità con Merkel con un programma elettorale decisamente votato al cambiamento.

Sul fronte conservatore, Laschet si rivela la pietra al collo della Cdu-Csu, che sprofonda al suo peggior risultato di sempre. Non è solo colpa sua, essendo in parte anche vittima di fuoco amico, ma gli errori e le gaffe della sua campagna resteranno a lungo negli incubi del partito che fu di Adenauer e Kohl e che ha governato la Germania per 50 degli ultimi 70 anni.

Sono delusi i Verdi, per quello che poteva essere e non è stato. Hanno perduto un’occasione storica, loro che in aprile erano in testa alle intenzioni di voto e avevano avuto il coraggio di scendere in campo guidati da una donna. Ma possono vantare un risultato brillante a due cifre e sono indispensabili per qualsiasi alleanza di governo.

Sorridono i liberali della Fpd, anche loro a doppia cifra e già corteggiati da tutti, vincitori e vinti. Saranno il vero ago della bilancia del lungo negoziato di governo che sta per partire.

La rivoluzione è doppia.

Finisce la prima Repubblica Federale, quella fondata sulla certezza di due grandi Volkspartei (i partiti popolari) e su alcune forze minori che di volta in volta si alternavano come alleate in una coalizione di governo. E finisce anche il surrogato di emergenza, che vedeva la Grosse Koalition tra Cdu e Spd scattare non appena le condizioni politiche non offrivano alternative, ma che nel lungo regno di Angela Merkel era diventata quasi normalità. Non più.

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Morisi: l’addio alla Lega, i 2 grammi di cocaina e il racconto dei due giovani. Così il guru della Bestia è finito nei guai

martedì, Settembre 28th, 2021

di Angiola Petronio e Fiorenza Sarzanini

È trascorso un mese e mezzo da quando i carabinieri sono entrati nella cascina di Luca Morisi e hanno trovato 2 grammi di cocaina. Ma soltanto una settimana fa il responsabile della comunicazione social del leader della Lega Matteo Salvini ha reso nota la scelta di abbandonare l’incarico.

Che cosa è accaduto in queste settimane? Chi sapeva che cosa era accaduto? E soprattutto, perché dirlo soltanto adesso? Per rispondere a queste domande bisogna riprendere il filo dell’inchiesta avviata dalla Procura di Verona, individuare i tasselli che ancora mancano per ricostruire e soprattutto mettere in fila le date. Emergono infatti numerosi punti oscuri nella ricostruzione della vicenda. E novità che potrebbero emergere dall’esame dei contatti tra l’indagato e i ragazzi rumeni che hanno raccontato di aver ricevuto da lui droga liquida.

La perquisizione

È il 14 agosto quando i carabinieri entrano a palazzo Moneta nell’appartamento al primo piano della barchessa di una villa veneta, a Belfiore, paese nell’Est Veronese. È quello di Luca Morisi. Uno dei pochi a non aver affaccio sul verde. Nessun balcone, solo la vista sul parco della villa da un lato e sui filari di meli dall’altro. I vicini parlano di «una retata». In realtà quel pomeriggio di piena estate i militari effettuano un controllo nell’abitazione e poi vanno via con tre uomini: 2 giovani e un adulto di circa 50 anni. Nel verbale di sequestro annotano di aver trovato cocaina. Per Morisi scatta la segnalazione al prefetto per uso personale, ma poi sono le dichiarazioni dei due giovani ad aggravare la sua posizione facendo ipotizzare la cessione di stupefacenti.

Il controllo

I due giovani erano stati fermati in auto poco dopo aver lasciato la casa di Morisi. La versione ufficiale parla di un controllo casuale, ma in realtà l’incrocio delle testimonianze sembra avvalorare l’ipotesi che fossero arrivati due giorni prima e questo alimenta il sospetto che in realtà il controllo fosse mirato. E che i militari li abbiano fermati perché convinti che nell’auto avrebbero trovato droga, come poi effettivamente accade. Si tratta di una quantità non elevata, loro comunque raccontano subito che è stato Morisi a cederla. Ecco perché si decide di effettuare la perquisizione. Quando arrivano nell’abitazione i carabinieri trovano il cinquantenne e anche lui finisce nell’elenco delle posizioni da verificare.

Le dimissioni

Il primo settembre Morisi, che intanto ha deciso di nominare come difensore l’avvocato Fabio Pinelli, comunica a Salvini che lascerà l’incarico di responsabile della comunicazione social. Ufficialmente parla di «questioni personali», in realtà sembra che abbia confidato subito o appena qualche giono più tardi che cosa era davvero accaduto. Appare comunque opportuno far morire la «Bestia» o quantomeno far prendere al suo ideatore un lungo periodo di pausa. Nel verbale di sequestro non risulta che siano finiti sotto sequestro i telefoni e i computer di Morisi, ma quando viene contestata la cessione di stupefacenti vengono disposti controlli sui tabulati per verificare se il giro dei clienti possa essere più ampio. E già questo appare sufficiente per separare i destini dello stratega della comunicazione social e il Carroccio.

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