La tempra di un leader

MATTIA FELTRI

Ho guardato due volte il video in cui Beppe Grillo sferra pugni al tavolo per reclamare l’innocenza del figlio Ciro, accusato di stupro e da due anni sospeso nel terrore dell’arresto e del processo. La prima volta ho intuito la disperazione di un padre offuscato, ma alla seconda la disperazione m’è sembrata farsi di lato per lasciare il primo piano a tutto lo sbagliato del mondo. Non c’era niente di perdonabile in quel video. Non c’era nessuna desolazione, nessuna parola dolente per una ragazzina, stuprata o no lo stabilirà un giudice, ma nel migliore dei casi finita al collo della bottiglia e fra le mani di quattro sciagurati. Non c’era il bagliore di un pensiero, soltanto lo sbocco greve di un uomo che passa la vita cercando di consegnare forza con urla e vaffanculo ai suoi dozzinali pregiudizi.

Non c’era lo stupore davanti all’inganno e all’autoinganno di essersi iscritti fra i buoni contro i cattivi per poi ritrovarsi di colpo dall’altra parte. Non c’era l’emersione di un minimo banale dubbio che quello che capita a suo figlio capita a cento altri ogni giorno, e che la lentezza, l’incertezza e cioè l’arbitrio della giustizia sono il disastro italiano, non quelle scemenze della casta e dei colletti bianchi per i quali il suo movimento ha ottenuto la fine della prescrizione, e sarà la millesima ingiustizia con cui si apparecchierà soprattutto la tavola dei diseredati, come da sempre è.

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