I Cinquestelle, il capo e il potere

di Antonio Polito

Sono quindici mesi, dal giorno delle dimissioni di Luigi Di Maio, che i Cinquestelle non hanno un capo politico. Sono due mesi che Conte non è più premier. Carlo Marx scrisse il Manifesto del partito comunista in poco meno di tre mesi. Quello del nuovo MoVimento è ancora in cottura. D’altra parte non è facile. Di solito i movimenti politici nascono dall’opposizione con lo scopo di conquistare il potere. Qui si tratta invece di fondarne uno, o rifondarlo, per conservare il potere. È un’operazione che è riuscita solo a pochi. Peròn, per esempio, un altro che voleva abolire la povertà: prima diventò presidente dell’Argentina e poi si fece un partito, detto per l’appunto peronista. O de Gaulle, quando la crisi algerina lo richiamò al potere in Francia nel 1958. O anche Mustafà Kemal Ataturk, il padre della Turchia moderna, che una volta vinta la guerra di liberazione nazionale non solo fondò un partito (di cui pure lui diceva che non era né di destra, né di sinistra, né di centro), ma nel 1930 se ne inventò anche uno di opposizione, per non farsi mancare niente.

Movimenti carismatici, insomma, più legati alla personalità di un salvatore della patria che ad un programma politico vero e proprio. È possibile che per una fetta dell’opinione pubblica Conte possa vantare un’analoga legittimazione al potere. Ma in ogni caso l’avvocato pugliese ha il difetto di averlo già perso, il potere (anche se, per Goffredo Bettini, non perché sia «caduto» ma perché «è stato fatto cadere»). Ciò rende inevitabilmente revanchista il contenuto politico del suo progetto: tornare a Palazzo Chigi. E toglie quindi novità al disegno che si vorrebbe invece nuovo. Lui lo chiama Neo-Movimento, e già così l’espressione fa pensare al neo-classico, al neo-barocco, alla ripresa di uno stile passato di moda, a un déjà vu.

Finora Conte si è occupato solo della «macchina» di questo nuovo partito, movimento o ciò che sarà. Di software, nel senso della proposta politica, del radicamento sociale, del sistema di alleanze, ha parlato molto poco. Da un lato questo avviene per la semplice ragione che l’ex premier sta facendo melina: sta cioè aspettando che si risolvano le questioni di soldi e di potere (debiti, restituzioni, tripli mandati, la roba che davvero conta). «Sono l’ultimo arrivato», ha detto il futuro capo dei Cinquestelle, per non mettere il dito tra Casaleggio e il partito. Ma, dall’altro lato, appare davvero complicato dare un programma politico a un movimento che non ne ha mai avuto nessuno, con l’eccezione di quello che i francesi chiamano «degagismo»: un sonoro «vaffa» rivolto a tutta la classe dirigente del passato.

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