Il nostro delirio suicida, processare il passato



Questa mancanza di conoscenza e quindi di senso storico si è rivelata assolutamente decisiva nella costruzione del paradigma della «vittima», a sua volta basilare sia per la nascita che per la legittimazione pubblica del «politicamente corretto». Questo infatti è sentito quale il giusto riconoscimento risarcitorio per i torti subiti in passato da chiunque appartenga oggi a un gruppo sessuale, sociale, etnico o nazionale (donne, omosessuali, neri, discendenti dei popoli abitanti delle ex colonie) oggetto di un simile torto. Non solo però è evidente che nella storia così come non esistono ragioni non esistono neppure torti, specie se ascrivibili a qualcosa di cosi generico come le culture o le civiltà — ché altrimenti saremmo obbligati a fare la somma algebrica degli uni e degli altri e con il risultato compilare una grottesca classifica finale — ma è davvero bizzarro che il «politicamente corretto» chissà perché appaia sempre riguardare esclusivamente i torti, le sopraffazioni e le discriminazioni che hanno costellato il passato europeo e mai quello altrui.

Si dovrebbe tener fermo, insomma, che nella storia non possono trovare posto i nostri criteri morali attuali. Criteri morali attuali che noi tendiamo viceversa a proiettare anche nel passato: non solo perché del passato sappiamo e capiamo sempre meno ma anche perché, paradossalmente, mentre ne teniamo gran conto per riconoscere legittimità a chi chiede risarcimento per i presunti torti subiti allora, per un altro verso, invece, siamo sempre più indotti a fare come se esso non ci fosse mai stato, non avesse avuto conseguenze che non possono essere cancellate dall’oggi al domani.

Oltre l’ ideologia del progresso tutta orientata al futuro altre spinte egualmente fortissime vanno oggi in tale direzione. Prima di ogni altra, mi sembra, la travolgente giuridicizzazione di sempre più numerosi ambiti della nostra vita quotidiana, con il proliferare di sempre nuove norme che anche psicologicamente e culturalmente non fanno che ridurre di continuo non solo lo spazio della consuetudine e della tradizione, ma in generale il peso di qualsiasi «prima», di qualunque anche recentissimo passato. Non solo, ma l’attuale pervadente giuridicizzazione, fondata ovviamente sul principio di eguaglianza e con la sua produzione a getto continuo di diritti, vale a radicare l’idea assolutamente centrale nella costruzione del «politicamente corretto» – che qualsiasi azione o comportamento, desiderio o modo di vita di ogni individuo debba necessariamente tendere a rivestire la forma di un «diritto», e naturalmente ad essere tutelato giuridicamente in quanto tale. In particolare per ciò che riguarda la sfera dei rapporti interpersonali e sessuali. Obbligo del risarcimento storico e dimensione del diritto si saldano così in un dispositivo ideologico che ha dalla sua l’invincibile forza che spira dall’aria dei tempi.

CORRIERE.IT

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