700 anni dalla morte del poeta Mattarella: «Dante, una lezione di coerenza (per tutti, politici inclusi)»

di MARZIO BREDA

Mattarella: «Dante, una lezione di coerenza (per tutti, politici inclusi)»

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella davanti a un ritratto di Dante

Alberto Cavallari, chiosando una famosa riflessione di Elias Canetti, sosteneva che «ci si rifugia nel calendario per rivivere il presente attraverso i suoi anniversari e per cercare una garanzia verso ciò che avverrà. Date e ricorrenze di determinati giorni sono di capitale importanza nella paranoia generale e servono anche ad assorbire la paura».

Chissà se coloro che oggi celebrano il settimo centenario della morte di Dante Alighieri(anniversario se non altro per questi motivi da onorare) sono pienamente consapevoli del valore che ancora riveste la sua opera. Tutti siamo debitori di quel che il suo genio ci ha trasmesso, e lo provano le iniziative in corso ovunque nel mondo. Noi italiani in particolare, dato che è stato l’artefice della nostra lingua e che ci ha trasmesso un’idea di Nazione, quando la nostra una Nazione ancora non era.

Tra chi Dante l’ha amato fin dai banchi del liceo, c’è Sergio Mattarella. Il quale, per formazione intellettuale, è un umanista. Si è accostato alla Divina Commedia già dall’adolescenza, e non ha mai smesso di coltivarne la lettura. Fatale dunque proporgli il tema di un’opera che, come fu detto del lavoro dello storico francese Fernand Braudel, è «paragonabile al famoso buco magico di Borges… Infatti, attraverso di esso vediamo il più piccolo granello di sabbia insieme a tutti i deserti, il passato insieme all’avvenire, la primavera insieme all’inverno».

Signor Presidente, un anno fa, annunciando questo anniversario, lei disse che «figure come quella di Dante vanno esaminate sotto la luce dell’universalità più che dell’attualità». Ma anche oggi parrebbe inevitabile citare l’invettiva che scaturisce dopo l’incontro con Sordello: «Ahi serva Italia, di dolore ostello…». È l’apice delle descrizioni che il poeta fa di un Paese scosso da lotte intestine e particolarismi, schiacciato da intermittenti decadenze. Guardando al presente, alla nostra cronica carenza di autostima e alla retorica del declino che ci ossessiona, poco sembra cambiato rispetto al 1300.
«Devo dirle che non mi ha mai convinto il tentativo di attualizzare personaggi ed epoche storiche diverse. Eviterei, quindi, analogie tra l’Italia di Dante, uomo del Medioevo, e l’Italia di oggi. Ci separano settecento anni, un tempo incommensurabile. Peraltro, alcune delle difficoltà e dei punti critici, che lei individua nel nostro carattere di italiani, affondano le radici in tempi a noi molto più vicini: in un’Unità nazionale che si è formata in ritardo rispetto ad altri Stati europei e che ha proceduto — inevitabilmente — per strappi e accelerazioni progressive e che ha visto la coscienza popolare assimilare l’esperienza unitaria con più lentezza e fatica rispetto al progetto che animava i protagonisti del movimento unitario».

Dobbiamo insomma ricordare che, al di là delle suggestioni e degli infiniti livelli di lettura, l’autore della «Commedia» parla a ogni epoca e chiunque può trovare chiavi per rispecchiarsi nel suo poema.
«È così. Anche per questo motivo, nel discorso dello scorso ottobre, ho parlato dell’universalità di Dante. Cioè della sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire indicazioni, messaggi e insegnamenti validi per sempre. Dante è stato punto di riferimento e di ispirazione per generazioni di italiani a prescindere dalle specifiche situazioni di secoli ed epoche differenti. Pensiamo, per esempio, alla riscoperta da parte dei romantici, al vero e proprio “culto” civile di cui fu oggetto durante Risorgimento o all’esaltazione retorica che ne fece il fascismo. Proprio la sua fortuna lungo l’arco del tempo dovrebbe indurci a riflettere di più sul lascito — artistico, culturale, morale, quindi unificante — del sommo poeta».

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