Giovanni Agnelli *1921-2021* – L’avvocato

Marcello Sorgi

Si celebra il centenario del più grande industriale italiano, il più conosciuto all’estero, il capo riconosciuto di una delle maggiori famiglie imprenditoriali italiane, tra le poche ad aver attraversato due secoli di storia. Agnelli è stato anche il modello invidiato e irraggiungibile di una certa Italia elegante, colta e ormai quasi scomparsa; un grande editore, un grande collezionista e amante dell’arte, oltre che un grandissimo sportivo.
 

Gianni Agnelli – di cui oggi ricorre il centenario della nascita – è stato il più grande industriale italiano, il più conosciuto all’estero, il capo riconosciuto di una delle maggiori famiglie imprenditoriali italiane, tra le poche ad aver attraversato due secoli di storia senza uscire di scena, ed anzi conquistando, sotto la guida del nipote John Elkann, una dimensione mondiale. Agnelli è stato anche il modello invidiato e irraggiungibile di una certa Italia elegante, colta e ormai quasi scomparsa; un grande editore, un grande collezionista e amante dell’arte, un grandissimo sportivo. E’ stato un soldato, ha combattuto durante la Seconda guerra mondiale in Africa e in Russia, e al fianco della Quinta Armata americana ha preso parte alla Liberazione. Nel 1991, dodici anni prima di morire, era stato nominato senatore a vita per i meriti di una vita di lavoro, e forse anche per il distacco con cui aveva trattato per anni i politici italiani, molti dei quali non lo amavano. Qui però – i lettori lo perdoneranno – questo articolo cesserà di essere scritto al passato prossimo o remoto – perché, pensando all’Avvocato, vengono in mente per prime la sua straordinaria vitalità, la passione per la velocità, l’impazienza, la curiosità per il futuro, l’ironia, l’estrema capacità di sintesi, racchiusa nelle sue battute memorabili. Tal che qualsiasi malinconia, qualsiasi tono commemorativo o di circostanza, di quelli che in Italia tendono sempre a costringere tutti i grandi personaggi in un busto di marmo, fatto della stessa pietra, con lo stesso pallore, lo stesso sguardo fisso, la stessa immobilità, proprio non gli si addicono. Così si può cominciare dalle sue intuizioni, due in particolare: aver compreso anzitempo, con venti o trenta anni di anticipo, il valore dell’immagine, in una società che in ritardo e a suo modo ne avrebbe colto l’importanza, stravolgendola e trasformando la vita pubblica in un infinito ed estenuante talk show (Draghi a parte, che l’Avvocato conosceva bene e di cui avrebbe salutato con soddisfazione l’approdo a Palazzo Chigi). E poi aver capito molto prima di tanti altri le implicazioni, non solo economiche, della globalizzazione, nel Paese che già suo nonno Giovanni considerava piccolo e che da sempre stenta a rapportarsi ai cambiamenti del mondo. «Per un uomo come mio nonno, liberale europeista – ha ricordato Agnelli in occasione del centenario della Fiat, nel 1999 – le angustie del regime, l’autarchia, la tutela protezionistica, rappresentavano un ostacolo alle sue aspirazioni internazionali di imprenditore».

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