Pd, ripartire dagli ideali

GIANNI RIOTTA

Il gesto repentino con cui il presidente del Consiglio Mario Draghi ha rescisso gli ordini di esportazione per i lotti di vaccino anti Covid, allineando la presidente dell’Ue Ursula von der Leyen e il presidente francese Macron, si sovrappone alle dimissioni, altrettanto inaspettate, del segretario del Pd Nicola Zingaretti. Ma, mentre il motu proprio del premier elimina i pregiudizi sul suo conto, uomo dell’Europa, delle lobby, del mercato, con una decisione che marchia la differenza tra Stato sovrano e bla bla sovranisti, rafforzando il governo, il passo di Zingaretti butta il suo partito in un amarissimo stallo. Un segretario che lascia dettando a Facebook “Mi vergogno che nel Pd…si parli solo di poltrone…quando in Italia sta esplodendo… Covid” sembra dar ragione agli insulti peggiori contro il partito che fu dei Prodi, Veltroni, D’Alema. E ora, povero Pd, vien da chiedersi a chi ancora, malgrado tutto, tiene a cuore le sorti dell’antica sinistra italiana?

I bene informati di Roma vi spiegano che è astuzia tattica, per stanare i cacicchi delle correnti ed esser riconfermato dall’assemblea che governa ora, con la presidente Valentina Cuppi, il Pd. Chi è vicino al segretario smentisce, parla di scatto da cui non recederà e di cui non avrebbe informato neppure Draghi, solo Giuseppe Conte. Altri sussurrano di ennesima “reggenza”, come fossimo in una saga medievale e non in una crisi mortale: oltre a sei segretari, il Pd ha già consumato infatti anche due “reggenti”. Qualcuno scommette sull’esperta ex ministro della Difesa Pinotti, si invoca il presidente emiliano Bonaccini per rinnovare finalmente il partito, i più sconsolati scuotono le spalle: “Tanto che cambia?”.

Da tempo, al Partito democratico, che pure, salvo l’effimero Conte I, è al governo dalla staffetta remota Berlusconi-Monti, dieci anni or sono, mancano visione, strategia, ideali. La cultura di Letta, l’energia di Renzi, la saggezza di Gentiloni non hanno pacificato le eterne risse, che ora sacrificano anche il cauto Zingaretti, reduce da due scommesse non vinte, “Elezioni subito!” prima del Conte II, e “Conte III o elezioni!” prima di Draghi. È probabile che, anche stavolta, i capi corrente raschino un qualche accordo per prolungare l’agonia fino al congresso, le elezioni, il Quirinale, boccheggiando tra Draghi e Beppe Grillo. Ma il sogno del Pd, la fusione delle migliori tradizioni progressiste del Paese, da Moro alla sinistra democratica, muore.

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