Covid, gli «spettacolari» dati della Scozia sui vaccini (anche dopo una sola dose)



Più in dettaglio, tra le persone con età superiore a ottant’anni, che costituiscono il gruppo più a rischio, l’effetto dei due vaccini sulla popolazione, sempre calcolato tra i 28 e i 34 giorni dalla prima iniezione, riduce dell’81% il rischio di ospedalizzazione.

In questa fascia così delicata, il cinquanta per cento delle persone prese in considerazione presentava uno o più comorbidità, ovvero aveva altre malattie.

Il vaccino AstraZeneca, la cui efficacia ha tanto fatto discutere negli ultimi tempi, avrebbe risultati pressoché uguali sia sulle persone più giovani che sugli anziani.

Il metodo dello studio

Come si è giunti a questi risultati? Le maggiori università scozzesi e il Dipartimento della Salute Pubblica hanno analizzato un insieme di dati che copre l’intera popolazione scozzese, 5.4 milioni di abitanti, immagazzinando informazioni sull’effetto dei vaccini nel periodo che va dall’8 dicembre al 15 febbraio, durante il quale sono state inoculate 1,14 milioni di prime dosi (650.000 Pfizer, 490.000 AstraZeneca).

I ricercatori hanno analizzato settimane per settimana il numero di vaccinazioni eseguite, le ospedalizzazioni, la mortalità dovuta al Covid come causa o concausa, i risultati dei tamponi, e li ha comparati con quelli dell’ampia fetta di popolazione, beati loro, che aveva già ricevuto la sua prima dose. In coda allo studio, che è in fase di revisione, si afferma che i risultati dello studio sono applicabili ai Paesi che utilizzano anch’essi Pfizer e AstraZeneca, e si precisa che benché simili per entrambi, non devono essere utilizzati per fare confronti sulla qualità del singolo vaccino.

Quanto dura l’immunizzazione dopo la prima dose? Lo studio su Lancet

Quasi in contemporanea con lo studio scozzese, è stato pubblicato su Lancet, la Bibbia degli studi medici, un lavoro fatto per stabilire quanto dura l’immunizzazione del vaccino di AstraZeneca dopo le dodici settimane previste dal governo inglese per il richiamo.

Anche qui, molto bene. Una singola dose assicura una protezione costante del 76 per cento contro il Covid-19 in un periodo compreso tra tre settimane e tre mesi, mentre superando quest’ultimo riferimento si sale addirittura all’82 per cento. E intanto, la trasmissione del virus viene ridotta del 67%.

Certo, sembra uno studio fatto su misura. Mentre all’inizio della campagna anche in Inghilterra era prevista la somministrazione delle due dosi in un arco di tempo compreso tra le due e le tre settimane, a dicembre JVCI, la Commissione per il Vaccino e l’Immunizzazione, equivalente del nostro Comitato tecnico scientifico, ha caldamente raccomandato, per non dire imposto, di ritardare il più possibile le seconde dosi, in modo da poter iniziare l’immunizzazione del maggior numero possibile di persone appartenenti alle fasce deboli e a rischio.

La strategia britannica e quella italiana

I segnali che la strategia vaccinale adottata all’inizio dall’Italia con Pfizer (su indicazione degli stessi produttori, e basata sugli studi attualmente pubblicati) non è l’unica possibile, e forse neppure la migliore, si stanno moltiplicando. Non solo lo studio scozzese, per quanto importante. Non solo quello di Lancet, la cui autorevolezza dovrebbe scacciare la nube di pannicelli caldi lanciati a Boris Johnson e al Regno Unito.

I trial clinici condotti fino al 7 dicembre in Inghilterra, Brasile e Sud Africa, dimostrano come almeno nel caso di AstraZeneca gli effetti siano più positivi se il richiamo viene spostato aventi nel tempo, con effetti ancora più benefici sul paziente e di conseguenza, allargando la base vaccinale, sulla popolazione. La Francia, che adotta i nostri stessi protocolli, ha in sostanza deciso di ritardare il richiamo a 42 giorni.

Anche da noi è in corso un cambio di direzione finora non esplicitato. Proprio per AstraZeneca, l’Aifa, la nostra agenzia del farmaco, definisce come ideale una somministrazione a una distanza di almeno 63 giorni dalla prima dose.

Eppure, quando in Italia è stata formulata questa ipotesi «attendista», subito è stata liquidata da alcuni esperti, ovviamente in televisione, come una tesi da «medicina creativa». Forse, invece di fare ironie, sarebbe il caso di dare un’occhiata a Scozia e dintorni. Che magari l’inverno finisce e arriva finalmente la primavera.

CORRIERE.IT

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