Crisi Covid, le conseguenze asimmetriche



Cos’è dunque che può minacciare e cosa invece preserva quel capitale sociale di buona volontà con cui è partito il nuovo governo? Perché noi italiani possiamo pensare ciò che vogliamo di Draghi oggi. Ma se nella ripresa economica del 2021 il Paese restasse di nuovo indietro sull’Europa e sul resto del mondo – come accadde dieci o cinque anni fa – allora presto inizieremmo a dare anche a lui le colpe che non ha, rendendogli il cammino prima accidentato e poi impraticabile.

Paradossalmente questo è più vero se i vaccini riusciranno a vincere la corsa contro il tempo sulle varianti del virus, che nel caso contrario. Nello scenario di un ritorno in emergenza – un lockdown internazionale – allora magari all’inizio i governatori regionali potranno anche protestare. Ma presto la Banca centrale europea allargherebbe ancora il suo sostegno e tutti i governi spenderebbero persino più di oggi per aiutare le popolazioni. I conti si farebbero dopo. Ma se invece i vaccini vincono – come speriamo tutti – allora all’Italia potrebbe non bastare la campagna di somministrazione rapida di cui Draghi ha già capito l’importanza. Perché Covid è una crisi simmetrica che colpisce tutti i Paesi, ma dagli effetti asimmetrici. Per le loro caratteristiche, alcuni Paesi ne sono danneggiati di più e più a lungo. L’Italia purtroppo è fra questi e neanche un’ottima campagna vaccinale può rimuovere del tutto il problema.

Anche con quella il virus è destinato a restare fra noi in forma endemica, più o meno pericolosa ma sostenuta dalle varianti, trasformando per sempre settori che valgono oltre il 15% del reddito degli italiani: turismo, viaggi, ristorazione, eventi culturali, sportivi, fiere, spettacoli, educazione. In quelle aree, per dirla con Draghi, non si torna al mondo di prima semplicemente «riaccendendo la luce». Tutto va ripensato, riprogettato.

Sembra inevitabile che il sistema produttivo nel 2021 finisca dunque per espellere quasi mezzo milione di lavoratori oggi imprigionati nel limbo della cassa integrazione. E se il Paese restasse indietro come in altre crisi, mentre il resto d’Europa e gli Stati Uniti ripartono, allora gli italiani non capirebbero. Sarebbe ingiusto, ma non perdonerebbero. Hanno bisogno di vedere che la forbice con il resto del mondo inizia a richiudersi. Per questo il governo parte con una grande urgenza di agire, e agire in fretta.

Sul Recovery, senza troppi annunci, ha già iniziato a muoversi. A tutti i ministeri coinvolti è stato chiesto di formare una task force di dieci o quindici persone responsabili anche del confronto di merito con Bruxelles sui progetti che le riguardano. Di molti andranno precisati tempi, tappe, indicatori di performance e coerenza con gli obiettivi generali, ma il lavoro fatto fin qui non finirà nel cestino. Per ora resta anche l’orientamento a varare investimenti netti supplementari per circa 120 miliardi, mentre altri novanta vanno a finanziare piani preesistenti in modo da non generare troppo debito pubblico in più. Sono soprattutto il metodo e l’organizzazione del Recovery che diventano più razionali. «Stiamo facendo quel che dovevamo fare a luglio», osserva un funzionario.

Ma in queste condizioni rischia di non bastare, va accelerata la messa a terra degli investimenti fin dall’inizio dell’estate. La Spagna mostra già la via anticipando con fondi nazionali il dispiegamento immediato di parte dei piani, senza aspettare i bonifici da Bruxelles. L’Italia potrebbe farlo per esempio offrendo incentivi alle agenzie private se queste formano, orientano e ricollocano i tantissimi giovani, donne e ex autonomi o dipendenti di piccole imprese che devono tornare a lavorare con dignità.

Si può pensare anche a procedure semplificate per chi in questa fase vuole lanciare una nuova impresa. Un sondaggio europeo mostra come in Italia il fattore che frena di più gli investimenti privati sia «l’incertezza sul futuro»: il problema numero uno citato dal 96% di coloro che decidono di non investire, il livello più alto d’Europa. Se non vogliamo trovarci fra dieci anni a pagare di nuovo il prezzo politico del rancore (malriposto) verso un altro governo tecnico, il momento di aiutare Draghi ad aiutarci è ora. Per tutti.

CORRIERE.IT

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