Paese legale e Paese reale: la scuola parli italiano

D’ora in avanti perciò il «documento di valutazione» in uso nelle scuole elementari (chiamarlo ancora «pagella» equivale più o meno a dichiarare la propria iscrizione al partito nazista) indicherà uno dei seguenti quattro «livelli di apprendimento» raggiunti dall’alunno: avanzato, intermedio, base, e in via di prima acquisizione (si noti la patetica perifrasi buonista pur di non usare aggettivi terribili come «insufficiente», «scarso» o che so io; insomma pur di non chiamare le cose con il loro nome che è la prima regola della lingua che si parla a viale Trastevere).

Della quale forniscono un esempio preclaro le definizioni che il documento ministeriale dà di ognuno dei suddetti livelli. Per non farla troppo lunga mi limito a riportare la definizione del primo livello (alunno più bravo) e quella dell’ultimo (alunno meno bravo). Dunque, livello avanzato: «l’alunno porta a termine compiti in situazione note e non note, mobilitando una varietà di risorse sia fornite dal docente sia reperite altrove, in modo autonomo e con continuità». Chiaro no? Forse non tanto direi: che cosa si deve intendere infatti per «situazioni note e non note»? E che cosa è «la mobilitazione di una varietà di risorse»? Se si voleva dire (come suppongo, ma vattelappesca) che il bambino «mostra di padroneggiare quanto gli è stato insegnato e di saper allargare da solo il campo delle proprie conoscenze», non si poteva dirlo più o meno in questo modo? Che senso ha che domani, alla richiesta di spiegazioni del povero genitore di un alunno che va un po’ così così, un immaginario docente se ne esca magari a dire: «Sa, suo figlio è a un livello di prima acquisizione, porta a termine compiti solo in situazioni note e ha bisogno di risorse fornite appositamente»? E anche se queste definizioni in «pedagogichese» puro fossero ad uso esclusivo di chi nella scuola insegna, perché, mi chiedo, questa eterna maledizione italiana di una burocrazia che gode ad adoperare un linguaggio iniziatico ogniqualvolta redige un documento, a fare il sopracciò nei confronti del senso comune?

Da poche ore alla testa del ministero dell’Istruzione c’è un ministro, il professor Patrizio Bianchi, che ha fama di avere le competenze di un «tecnico». È osare troppo sperare che tra queste competenze vi sia anche quella di ragionare con i piedi per terra e di parlare e scrivere in italiano? E visto che c’è anche di riuscire di convincere il suo ministero a fare altrettanto?

CORRIERE.IT

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