Quei 75 milioni di voti che hanno salvato Trump dell’impeachment

paolo mastrolilli

Ma se Trump è stato «praticamente e moralmente responsabile per aver provocato» l’assalto al Congresso del 6 gennaio, come ha detto ieri sera Mitch McConnell, e «le sue azioni precedenti alla rivolta sono state una vergognosa omissione dei propri doveri», perché mai il leader dei repubblicani al Senato ha votato per assolvere l’ex presidente dall’impeachment? Semplice: perché il 3 novembre scorso Donald ha ricevuto 75 milioni di voti, e quindi ha ancora il partito in pugno. E la vera battaglia politica decisiva che si combatterà in America nei prossimi quattro anni, oltre naturalmente a quella di Biden per avere successo come presidente, sarà proprio quella già in atto nell’opposizione: riuscirà il Gop a liberarsi di Trump e rifondarsi, dopo aver rinunciato a farlo fuori approvando l’impeachment, oppure resterà ostaggio del suo estremismo populista e sovranista?

Nel discorso tenuto dopo l’assoluzione di ieri al Senato, McConnell non ha lasciato dubbi su cosa pensa di Donald: il peggio possibile. Lo ritiene colpevole di aver incitato l’insurrezione, come recitava l’atto d’accusa presentato dai democratici, ma ha votato contro la condanna aggrappandosi alla scusa che l’impeachment di un ex presidente non è costituzionale. In realtà questo argomento non regge, per almeno tre motivi. Primo, in passato era già stata approvata l’incriminazione e la condanna di alti funzionari pubblici non più in carica, perché la legge lo consente. Secondo, il Senato si era formalmente posto il quesito della costituzionalità del procedimento, aveva votato in favore, e quindi la questione doveva essere considerata risolta. Terzo, l’impeachment di Trump era stato approvato dalla Camera quando era ancora in carica, ma il processo non era stato tenuto subito al Senato proprio perché McConnell, allora leader della maggioranza, lo aveva impedito.

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