Governo e maggioranza: la strada smarrita

di Roberto Gressi

Il virus è ancora vivo, per quanto contrastato dai primi vagiti del vaccino, e la possibilità della ripresa, sulle ali del Recovery fund, è ancora colpevolmente immersa nella nebbia. È in questo quadro che si apre la crisi di governo, con tutti che si affidano alla saggezza del presidente della Repubblica dopo aver fatto solo finta di ascoltarne gli avvertimenti. La apre Matteo Renzi, forte di poco più del due per cento nel Paese ma poggiando la sua spregiudicatezza su ragioni di crisi più profonde, su un governo ormai quasi immobile, bloccato dai veti e convinto che si potesse andare avanti con la sola suspense dei Dpcm. Renzi si tiene le mani libere: vorrebbe cambiare il premier ma non chiude a un Conte ter e esclude solo le elezioni con la più disarmante delle motivazioni: vincerebbe il centrodestra. Anche Giuseppe Conte si tiene le mani libere: soprattutto percorre la strada perlomeno non più sotterranea dei «responsabili» per sostituire Italia viva al Senato, pur conoscendo le perplessità di Sergio Mattarella su maggioranze raccogliticce. Arma comunque a doppio taglio: pure il centrodestra potrebbe cercare dei responsabili per ribaltare gli equilibri.

Il Pd di Nicola Zingaretti è il partito più esasperato da questa situazione. Ha chiesto un patto di legislatura fin dagli esordi e lo ha rilanciato a novembre, trovando proprio in Conte solo un sì di pura facciata. Zingaretti è l’unico leader della maggioranza a considerare il voto come uno strumento per fare chiarezza, al di là dei tatticismi di cui anche i suoi parlamentari sono pieni, ma ora che la crisi c’è manca una proposta che non può fermarsi alla sola ricerca di nuovi voti al Senato da parte del partito più strutturato dell’alleanza. Il Movimento Cinque Stelle ha cercato di annegare le sue difficoltà in una interminabile fase congressuale e ora si arrocca su Conte, dopo aver frenato Beppe Grillo che evocava a sorpresa un governo di tutti.

La richiesta del voto anticipato è una coperta che copre a malapena le divisioni del centrodestra. Matteo Salvini non è mai riuscito finora a trasformare i suoi voti in una leadership riconosciuta. Giorgia Meloni lo tallona e Silvio Berlusconi, che in queste ore combatte con le bizze della sua salute, vede una tenuta e anche una crescita di Forza Italia garantita dal rifiuto del populismo e dal non aver seguito Trump nelle sue derive più estremiste.

In questo clima di crisi spaventa il caos ma ancora di più preoccupano soluzioni raffazzonate, dove a gestire l’occasione unica di ripresa che ha l’Italia sia una maggioranza pasticciata e messa insieme solo per la paura delle elezioni, magari simile all’attuale, corrosa da odi personali sedimentati. O più probabilmente, come appare in queste ore, con Renzi sostituito dalla truppa dei responsabili, tornati all’improvviso presentabili dopo essere passati per la lavatrice dello stato di necessità. Nascerebbe così una maggioranza che rischierebbe di dividersi di nuovo a luglio, quando il semestre bianco impedirà il voto e sarà più facile sfidarsi nel gioco degli agguati e dei ricatti, peraltro avvicinandosi alla scelta del nuovo presidente della Repubblica in una situazione dove a regnare sarebbero le fazioni e i franchi tiratori e in vista di una nuova legislatura segnata dal taglio dei parlamentari confermato dal referendum.

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