Mosse urgenti/ Meno favori e più riforme, la via obbligata per la ripresa

ROMANO PRODI

Durante i lunghi mesi del Covid 19, i dibattiti e le decisioni riguardanti gli aspetti economici della pandemia sono stati dedicati prevalentemente al nobile obiettivo di aiutare le categorie più colpite. La corsa al soccorso ha tuttavia provocato il meno nobile risultato di spargere benefici e incentivi in mille direzioni, ben oltre le intenzioni iniziali e lontano dagli obiettivi di sviluppo di lungo periodo: dall’acquisto di monopattini agli occhiali, dai mobili agli apparecchi televisivi e chi più ne ha più ne metta. Il tutto accompagnato dal messaggio subliminale che l’Unione Europea avrebbe poi pagato il conto senza tanti problemi. 


L’ammontare del debito pubblico, che già viaggiava su livelli allarmanti, è quindi cresciuto a dismisura, raggiungendo ormai il 160% del nostro prodotto interno lordo. 


Un aumento del deficit nei periodi di crisi non deve sorprendere perché è un evento consueto, ricorrente e, a volte, doveroso. Sorprende invece il fatto che le spinte corporative e le tensioni interne del governo abbiano relegato in secondo piano i problemi del dopo pandemia, mentre gli altri Paesi europei si sono concentrati su progetti fondamentalmente dedicati alla crescita futura.


Fortunatamente un’opportuna intervista del Commissario Gentiloni, consapevole delle crescenti preoccupazioni dei nostri partner e delle autorità europee ci ha richiamato alla realtà dei fatti, spiegando che i fondi europei sono rigorosamente condizionati al raggiungimento di precisi obiettivi e che tali fondi potranno essere versati all’Italia solo se i prescritti risultati saranno raggiunti.


Si tratta di condizioni illustrate con rigore e pignola chiarezza nelle 62 pagine di istruzioni inviate dalla Commissione ai governi il 17 settembre dello scorso anno. 

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