Addio a «Pablito» Rossi, è stato l’immagine di un Paese intero

di Daniele Dallera

Addio a «Pablito» Rossi, è stato l'immagine di un Paese intero

Il suo sorriso ci ha fatto compagnia, ad ogni suo gol braccia al cielo si festeggiava. Ed è stata grande la festa in Spagna, 1982, grazie a Paolo Rossi, Pablito per tutti. Campioni del mondo grazie ai suoi gol, spesso furtivi, nati sempre da un guizzo, costruiti con intelligenza e talento. Se ne va troppo presto, a 64 anni, tradito dal solito male. Ha combattuto, ma non ce l’ha fatta, nascondendo il suo dolore e le sue sofferenze.
stato l’immagine di un Paese intero, di una Nazionale che sapeva soffrire e vincere: quella di Enzo Bearzot. Ragazzi eccezionali, Cabrini, Tardelli, Graziani, Beppe Bergomi, tutti vestiti d’azzurro, ma lui era più eccezionale degli altri. Una faccia pulita, anche se sporcata dal calcio scommesse, da una lunga squalifica, dalla sofferenza per quel ginocchio che per un niente saltava, ma la sua faccia piaceva a tutti. Era diventato il giocatore più popolare del mondo, sicuramente per le sue vittorie e per le corse liberatorie dopo ogni gol, ma anche per un carattere donato alla compagnia. Enzo Bearzot lo aveva aspettato, aveva atteso la sua rinascita, contro e contro tutti: ha avuto ragione l’uomo con la pipa sempre accesa, dopo un inizio timido in quella Spagna mondiale, Paolo Rossi si è rivelato l’arma in più di quell’Italia capace di fare gruppo, di lottare contro il gossip, di chiudersi in silenzio, rispettarlo fino all’ultimo, perché era lì, in quelle poche parole dette tra loro, e solo a loro, in quei messaggi filtrati dal portierone Dino Zoff, il loro ambasciatore, l’unico che aveva diritto di parola, proprio lui che le aveva sempre centellinate, che è nata l’impresa Mondiale.

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