Gli errori (a sinistra) sul conflitto in Libia

di   Paolo Mieli |

Troppo facile ironizzare sulle prestazioni di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio alle prese con la crisi libica. Entrambi la settimana scorsa sono (separatamente) impiccati a due quasi identici proclami per così dire prematuri: avrebbero fatto incontrare, questo il senso dei loro annunci, Fayez al Sarraj con Khalifa Haftar i quali, sotto la loro egida, avrebbero trovato un accordo. Quantomeno un compromesso di massima. Magari piccolo, una tregua, peraltro imposta da Putin ed Erdogan. Ma Conte e Di Maio avrebbero potuto rivendicarne il merito. Quantomeno parziale. Chi li abbia indotti a sbilanciarsi (ognuno — ricordiamolo — per conto proprio, probabilmente in competizione uno con l’altro) con quelle ottimistiche comunicazioni, è un mistero. Forse soltanto la sprovvedutezza, essendo entrambi poco avvezzi a cimentarsi con intricate questioni internazionali. Le loro vite precedenti li avevano abilitati a pronunciare, in situazioni come quella che oppone la Cirenaica alla Tripolitania, generici appelli al dialogo e alla rinuncia delle armi. Niente di più. Provare a presentarsi come statisti in grado di sanare, sia pur provvisoriamente, un conflitto che va avanti da otto, nove anni è stata un’ingenuità. E le pezze successive — l’incontro di Conte con Haftar e, dopo tre giorni, con Sarraj; il tour diplomatico di Di Maio — non sono servite a nascondere il buco.

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