Taglio dei parlamentari, cambio epocale

Dicevamo, un passaggio storico: la rottura populista che, dal piano politico e di governo, adesso entra dritta nel terreno delle istituzioni. Non il populismo che va al potere attraverso la democrazia parlamentare, ma che “scardina” la rappresentanza in una deriva oligarchica, almeno finché non saranno varate, chissà quando, tutte le garanzie costituzionali ed elettorali.

VIDEO – E i 5 Stelle festeggiano in piazza con Di Maio in prima linea

Si capisce perché la Lega e Fratelli d’Italia, che pure avevano pensato a una manovra tattica di uscita dall’Aula, alla fine votino a favore, perché quella colla populista in definitiva è più forte di ogni distinguo. E in fondo c’è la coerenza di chi questa rabbia anti-istituzionale l’aveva già espressa nei voti precedenti. C’è poco da fare: per chi, come Pd e renziani, si era sempre opposto è una resa in nome dell’alleanza di governo. Il che certifica che il primo atto di questa nuova fase non è la “civilizzazione dei barbari” o la “costituzionalizzazione dell’antipolitica”, come si sarebbe detto una volta, ma una grillizzazione del “partito della Costituzione”. Bastava fare un giro in Parlamento per toccare con mano in che clima desolante è avvenuto il voto di quelli del Pd. Più o meno dicevano tutti così: “È una schifezza, ma altro non si può fare perché altrimenti salta il governo”. Dunque i Cinque stelle ottengono il loro cammello senza pagare moneta, perché la legge elettorale, il vero ri-equilibrio del sistema, è solo una nobile intenzione, non un percorso definito e nemmeno avviato. Non c’è una bozza, non c’è un calendario, c’è solo una promessa che la discussione inizierà. Affidata alla parola delle parti. Chi ha dimestichezza con la materia potrebbe scrivere un articolo di indefinita lunghezza su quante volte la discussione è stata avviata e si è rivelata inconcludente. O su quante volte ha preso sentieri non previsti.

Il certo e l’incerto, insomma. Il certo è che la riforma è approvata. Ed entrerà in vigore o tra tre mesi, se nessuno chiederà il referendum oppure come probabile – qualcuno ha già annunciato la raccolta delle firme – dopo il referendum che si svolgerà la prossima primavera, altro potente rivitalizzante per i Cinque stelle. Che hanno tutto l’interesse affinché si celebri il grande plebiscito anti-Casta, col Pd costretto, a questo punto, a sostenerlo stabilizzando l’altrui egemonia. L’incerto è il riequilibro attraverso una legge elettorale che dovrebbe garantire la rappresentanza, argomento che già divide la maggioranza tra sostenitori del maggioritario e del proporzionale.

È qui, come in ogni dettaglio, che alberga il diavolo. La vulgata è che questa legge stabilizzi la legislatura, proprio perché taglia il numero dei parlamentari, rendendo difficile, per parecchi, tornare in questo Parlamento e rendendo difficile, per parecchi, confermare gli attuali numeri. Per intenderci: il numero dei parlamentari che ha la Lega col 17 per cento, col nuovo equivale al 25 per cento. Significa che per i Cinque stelle sarebbe un bagno di sangue. E l’altro pezzo della vulgata è che non conviene approvare subito una nuova legge elettorale perché nessun Parlamento sopravvive all’approvazione. Se c’è, a quel punto, si vota. Proprio questo limbo, apparentemente rassicurante, però, rappresenta un fattore di non banale incertezza. Perché comunque si innesca una dinamica politica, prodotta dal taglio assieme alla legge vigente, il famoso Rosatellum. Alla destra, ad esempio, questo quadro conviene, perché crea una grande torsione maggioritaria. E può piacere a quella parte della sinistra che, ostile al proporzionale, vorrebbe “costringere” i Cinque stelle a una alleanza organica.  

C’è cioè il rischio che ciò che oggi viene presentato come provvisorio possa diventare definitivo, magari solo con qualche ritocco. Sia chiaro: è complicato che, in caso di crisi, si possa andare al voto prima che sia celebrato l’eventuale referendum perché il capo dello Stato avrebbe un forte e razionale argomento di dissuasione: non puoi andare a votare con il vecchio sistema prima che i cittadini si pronuncino sul nuovo. E proprio questa impossibilità momentanea può anche consentire, ai due partner della maggioranza, di aumentare i propri distinguo, per mobilitare i propri elettorati. Tanto, si dirà, “non si può votare”. Ma immaginate la scena, quando il taglio sarà in vigore con Salvini che brandirà la bandiera di un Parlamento di poltronari delegittimato anche dal popolo che ha chiesto di pagare meno stipendi ai politici, in una escalation proprio sul terreno anti-politico. E immaginate questo, quando si sarà concluso di qui alla prossima primavera, il ciclo elettorale in parecchie regioni: Umbria, Calabria, Emilia-Romagna entro gennaio, poi Campania, Puglia, Veneto, Liguria, Toscana.

Ecco, è complicato che, nel Palazzo, non arrivi la scossa delle urne, condizionando la discussione sulla legge elettorale. La logica dice che un pezzo dei Cinque stelle potrebbe avere convenienza a staccarsi per andare al voto con Salvini, sempre a legge vigente. In fondo, gli basta garantire quindici poltrone che, da oggi, valgono il 30 per cento in più. Il punto fermo è che di certo c’è lo stravolgimento della Costituzione. Il resto è nell’incerto, compreso il destino della legislatura e dei suoi mille parlamentari, trecento dei quali, da oggi, sono diventati “abusivi”. O costi superflui.  

L’HUFFPOST

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