Matteo Salvini vede già la palude

Appunto il format: il paladino del popolo, delle piazze, della sovranità inespressa contro il paladino dell’antisovranismo, che vive il proprio ruolo in modo così messianico da permettersi il lusso di non nominare, neanche una volta, i partiti che lo sostengono. Proprio così, neanche una volta. In questo dettaglio c’è un tema politico. Non è un caso che Salvini non attacca mai Luigi Di Maio, anzi ne sottolinea l’assenza in Aula durante il suo discorso, come ieri ne aveva sottolineato il volto da sfinge. Così come il premier è impegnato a scavare un solco, un punto di non ritorno irreversibile tra il Movimento e la Lega, Salvini è impegnato a gettare benzina sul fuoco delle inquietudini dei Cinque stelle e del ministro degli Esteri che questa operazione l’ha subita. Diciamola così: spera che, lì dentro, prima o poi scoppino e accada qualcosa.

Calcolo o disperazione, il dibattito è aperto. Si capisce però quale sia il rovello che lo turba, la preoccupazione rivelata da un volto più stanco e più cupo. E da un discorso che non ha la tracotante arroganza di un comizio, e questa è una notizia. Perché, dicevamo, il bersaglio c’è, ed è facile. Ma è lo sbocco che non si intravede. L’uomo che ha avuto in mano l’Italia sognando la spallata plebiscitaria già vede la palude, ovvero un cambio delle regole che lo consegni all’impotenza.

Chiamiamo le cose col proprio nome: la legge elettorale proporzionale, su cui la discussione è già avviata. Salvini freme, invoca il popolo, annuncia una raccolta firme contro la legge elettorale che “legittima l’inciucio” e il ritorno al “pentapartito”. Il suo discorso trasuda frustrazione, propria di chi ha tanti voti ma non sa dove portarli, un po’ come chi ha tanti soldi ma non sa come spenderli, un po’ come la Le Pen che più volte è arrivata prima, ma non ha mai vinto.

Parliamoci chiaro: la proporzionale è il vero grimaldello che sterilizza Salvini, cambiando radicalmente schema. Addio coalizione, addio indicazione del premier, le maggioranze si fanno dopo il voto, in Parlamento. Tradotto, bene che gli vada, quando sarà, tornerà nella casella che ha lasciato un mese fa, perché il premier è frutto di un negoziato post voto tra partiti. Comunque non è scontato. Se va male, e questo è il disegno, la legge serve a rendere stabile questo assetto e allargarlo: una sorta di nuova conventio ad excludendum, sia pur senza guerra fredda, nell’era del pericolo sovranista. Ecco perché Salvini non attacca Di Maio e i Cinque stelle nel loro insieme ma solo Conte. Sa che la destra da sola non basta. Col proporzionale le maggioranze si fanno in Parlamento.

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