Cronaca di una metamorfosi annunciata

La vittoria del partito dell’affidabilità è certo un successo della Lega. E sopratutto di Giancarlo Giorgetti, il vero punto di riferimento del “partito del Pil”, concreto e produttivista, capace di mediare e di risolvere la crisi, dopo il cortocircuito interno ai Cinque Stelle che porta a sfilare Torino, garante della credibilità e delle ragioni del Nord che vedrà arrivare una bella iniezione di denaro e investimenti (altro che cultura del sussidio di cittadinanza). In questa fotografia di giornata, c’è però tutta l’essenza della fase che si è aperta nel dopo europee, segnata dall’ossessione della ragion di governo “a qualunque” costo. La metamorfosi pentastellata nel partito del “20 luglio”: il primum vivere con l’obiettivo di chiudere la finestra elettorale per il voto a settembre.

La capitolazione identitaria ormai non fa più neanche notizia, rispetto ai tempi (pare un’era geologica fa) in cui la Raggi, dopo aver tenuto una posizione ambigua sulle Olimpiadi in campagna elettorale annunciando consultazioni popolari, in una conferenza stampa proprio dal sito di Beppe Grillo scandì il suo “no”, giustificato dall’opposizione al partito degli affari e delle colate di cemento.

Non fa più notizia neanche rispetto alla catastrofica gestione della vicenda di Torino, col sindaco – favorevole – che si trovò di fronte a una spaccatura del consiglio comunale e al rischio di una crisi di giunta e, alla fine, si ricorse al consueto escamotage di una “analisi costi-benefici” per coprire il cedimento del sindaco e di Di Maio, di fronte alle pressioni della base dura e pura ideologicamente al progetto. O rispetto a quando sempre il vicepremier, a proposito delle Olimpiadi del 2026, disse: “Chi vuole farle, o se le paga da solo, o non si fanno. Il governo metterà nero su bianco che non è disposto a metterci un euro”. Ha ragione Salvini che, con la calma del vincitore che non ha bisogno di stravincere, ricorda: “Al governo c’era qualcuno che ci credeva di più e qualcuno che ci credeva di meno. L’importante è il risultato”. Sono le parole di chi è consapevole che il suo partner di governo ha tutto l’interesse a sminare tutti i dossier critici e a consegnargli successi simbolici e reali perché questo stabilizza il governo e allontana il rischio del voto.

Ecco, dicevamo, non fa più notizia proprio perché è la cronaca di un cambiamento complessivo e radicale, già avvenuto nel momento in cui è stato consapevolmente spostato il baricentro dell’iniziativa politica, in nome del primum vivere, a palazzo Chigi, nelle mani di Conte, il premier “affidabile” e “responsabile”, che tratta con l’Europa per scongiurare la procedura di infrazione, che mette sul tavolo le sue dimissioni in caso di sforamento dei parametri, che prova a contenere l’urto salviniano sul terreno istituzionale, proponendosi come terminale di una sorta di “rete alta di protezione” in sintonia con il Quirinale. Quasi come una figura “tecnica”, operazione di cui fa parte anche l’abile operazione mediatica attorno al garbato avvocato, costruita con attenzione al dettaglio, nelle uscite sui tg o nella foto più informali con i leader dell’Europa che conta, in atteggiamento quasi confidenziale con Angela Merkel.

Della cronaca fa parte anche la nuova linea sulla Tav nei giorni scorsi, altra clamorosa rottura di un tabù, anche in questo caso proprio sul terreno di quello che una volta veniva chiamato “partito degli affari”, affidata all’intervista di Laura Castelli a Repubblica: “Si può discutere. Stando al governo ho capito che non è tutto bianco o nero”. Tav, Tap (già metabolizzata), Olimpiadi, autonomia, altro tema caro al Nord, che sarà oggetto di un vertice di domani, su cui si registra assai poco pathos rispetto alle settimane pre-voto in cui il dossier era stato congelato, perché tema assai sensibile dentro la Lega, cruciale per la prosecuzione dell’esperienza di governo. Senza pathos perché il perenne allarme di Salvini, in fondo, aiuta anche il leader dei Cinque stelle a contenere il non irrilevante malessere che c’è nel Movimento perché se l’alternativa è un drammatico ritorno al voto è chiaro che Parigi val bene più di una messa. Parliamoci chiaro: siamo di fronte a un destino segnato, in cui anche il leader della Lega, consapevole della pressione sui mondo, si è collocato pienamente dentro l’idea di una Italia produttiva e concreta che non vuole l’azzardo anti-europeista. Non è un caso che da giorni, al netto di un po’ di abile propaganda sulla manovra di autunno, evita di mettere la faccia su una nota di assestamento che, nei fatti, tanto assomiglia a una manovra correttiva. E che Conte porterà porterà al consiglio dei ministri di mercoledì per arrivare vicino alle richieste di Bruxelles. È un nuovo equilibrio, molto più stabile di come viene rappresentato dagli stessi protagonisti che colloca entrambi, l’uno nel ruolo di chi alza la posta e incassa, l’altro costretto a farsi concavo e convesso, comunque nell’ambito dell’assetto esistente. 

L’HUFFPOST

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