Flat tax, Alitalia, Iva: i conti che non tornano e le promesse del governo

Di una moneta immaginaria aveva scritto anche Luigi Einaudi riprendendo il pensiero dell’abate Ferdinando Galiani («Teoria della moneta immaginaria nel tempo da Carlo Magno alla Rivoluzione francese»). Ma quella felice intuizione doveva equilibrare, come unità di conto, i corsi delle valute espressi in diversi metalli, regolare i pagamenti di competenza. E soprattutto sottrarre la moneta all’arbitrio del sovrano d’altri tempi. Oggi, molto più modestamente, assistiamo a miliardi di euro immaginari sventolati davanti agli occhi degli italiani. Peccato che non ci siano nemmeno nelle pieghe più recondite del bilancio pubblico. Neppure se l’Unione europea fosse più flessibile nell’imporre le sue regole.

Tasse, bonus e sgravi

Nei giorni scorsi Matteo Salvini ha parlato della possibilità di estendere la flat tax, ovvero la tassa piatta, all’Irpef, all’imposta sulle persone fisiche. C’è nel contratto di governo, dunque si deve fare. Ecco, la moneta immaginaria era già scritta lì. La cosiddetta fase uno, con una imposta al 15 per cento fino ai 50 mila euro lordi di reddito — tenendo conto che sotto i 26 mila l’aliquota media sarebbe inferiore e dunque non converrebbe — costerebbe più di 40 miliardi. La fase due, cioè il 15 per cento fino a 80 mila euro, peserebbe per altri 10 miliardi. E altrettanti ce ne vorrebbero per realizzare la flat tax al 20 per cento al di sopra di tale soglia. Insomma, circa 60 miliardi. Una stima non ufficiale. Un costo enorme forse riducibile con l’eliminazione di detrazioni e deduzioni. Con il rischio però di abbassare, e non di poco, i benefici per alcune fasce di contribuenti.
Certo, si potrebbero revocare gli 80 euro come ha ipotizzato Armando Siri, sottosegretario alle Infrastutture per il quale il costo complessivo dell’operazione flat tax sarebbe di 12 miliardi. Il bonus del governo Renzi, il cui costo annuale è intorno ai 10 miliardi, non è mai stato classificato tecnicamente come riduzione fiscale. Ma apparirebbe, una volta soppresso, come una tassa in più. Peraltro ingiusta perché colpirebbe i redditi più bassi. Se oggi si chiedesse ai diciottenni di restituire il discutibile bonus di 500 euro (concesso anche ai giovani di famiglie ricche), la misura risulterebbe come la più odiosa delle tasse. Per giunta sulla gioventù. Tornare indietro è quasi impossibile.

Le clausole di salvaguardia

La teoria, chiamiamola così, della moneta immaginaria, in salsa legastellata, sorprende per un altro non trascurabile effetto. Non solo fa balenare soldi che, salvo acrobazie inesistenti sul controllo della spesa, non ci sono. Ma rende immaginari e futuribili anche quelli che ci dovrebbero essere. Entro il 10 aprile, il governo dovrebbe scrivere il Def, il Documento di economia e finanza e, in linea di principio, indicare come disinnescare 23,1 miliardi (nel 2020) e 28,8 miliardi (nel 2021) di clausole di salvaguardia. A meno che non si aumenti l’Iva, il che sarebbe assolutamente contraddittorio rispetto alle promesse dei paradisi fiscali della flat tax. L’Iva è poi un’imposta regressiva, cioè colpisce tutti allo stesso modo. La si può graduare ma cambia poco. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, nell’ultimo question time al Senato, ha elegantemente aggirato la questione. «È in sede di predisposizione della legge di Bilancio — ha detto Tria rispondendo alle interrogazioni dei senatori — che potranno essere esplicitate diverse ipotesi di riforma addizionale. Al momento non è stata formulata alcuna stima ufficiale circa l’impatto di una possibile estensione della flat tax». Ma il momento delle scelte si avvicina. Soltanto sui conti del prossimo anno pesa già un‘incognita di circa 30 miliardi, di cui 23,1 di clausole Iva. Senza parlare del costo delle misure pro crescita cui tiene, e giustamente, il ministero dell’Economia. Ma ci sono anche i rischi, del tutto sottovalutati, dell’interventismo statale in economia con il quale si fa abbondante uso di moneta immaginaria.

L’illusione che l’arrivo di Ferrovie in Alitalia possa, di punto in bianco, cambiarne i destini dopo che il contribuente ha già sopportato 7 miliardi di perdita e ogni viaggiatore paga un extracosto di 3 euro per biglietto, appartiene anch’essa a questo approccio miracolistico all’economia. I soldi dello Stato sembrano infiniti. E potrebbe certamente spenderli meglio se solo si ricordasse di fare un po’ di spending review. Ma anche quella sembra passata di moda, ammesso che la si sia fatta seppur per poco seriamente. Secondo i calcoli dell’Osservatorio sui Conti pubblici dell’Università Cattolica, diretta da Carlo Cottarelli, la spesa pubblica nel 2019 crescerà del 3 per cento. L’incremento più alto dal 2009. Soldi veri, non immaginari.

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