Il nuovo orologio politico

Gli italiani, detto in modo brutale, chiedono a Salvini “comanda” tu, però il leader della Lega ha ancora bisogno di tempo. È la classica situazione del “vorrei ma non posso”. Parliamoci chiaro, se ci fossero le condizioni, il Capitano si sbarazzerebbe volentieri di questo assetto di governo, destinato a diventare sempre più paludoso, nell’ambito di una campagna permanente che risucchia ogni azione. Ma, al tempo stesso, se c’è un punto fermo in questa storia è che un ritorno alla coalizione con Berlusconi, nella forma che vince sui territori, non è nella sua testa. Perché nella sua testa c’è la gestione della fine del berlusconismo, aspettando che quest’ultimo capitolo si consumi. E non è un caso che, nel giorno dell’ennesima vittoria, il primo messaggio del leader leghista è di distanza proprio dall’antico alleato, confinato a ruolo di partner locale, quando ripete, per l’ennesima volta, che “non ci sono alternative a questo governo”.

Ma le parole dell’oggi non spiegano interamente il domani, perché la politica non è solo volontarismo, ma oggettività. E tutta la discussione, all’interno dei partiti, ormai è sul “quanto può durare così” e sul “che cosa accadrà dopo le europee”. E se è vero che per Salvini, ad oggi, la rottura non è nel novero delle possibilità in nome, più che della lealtà verso i Cinque Stelle, del realismo che lo porta a preferire Di Maio a Brunetta e Tajani, è altrettanto vero che quel ,”dureremo cinque anni”, è una formula più obbligata che convinta. Un modo per prendere tempo, in attesa di incassare su qualche altro dossier, a partire dall’autonomia, che il leader della Lega vuole portare in Parlamento prima delle Europee altrimenti sarà complicato andare in giro in Veneto.

Ecco, Salvini che spinge sull’autonomia, Di Maio che si dice favorevole alla “cittadinanza a Ramy”, ansioso di recuperare, dopo l’ennesima ecatombe elettorale, di parlare all’opinione di sinistra, o almeno di provarci per non arrivare terzo alle Europee. Voi capite che questo non è più un governo. È un terreno diventato conflittuale, in attesa di capire cosa accadrà quando le lancette segneranno il 26 maggio. E se, fino a qualche tempo fa, dentro la Lega si parlava dello schema del rimpasto dopo il voto in modo da recepire, negli assetti di governo, i nuovi equilibri di forza emersi nel paese, adesso del domani non v’è certezza. Anche il rimpastone è un’incognita, perché il governo è un’incognita e la frase ripetuta più spesso, dentro la Lega, è “vediamo che fanno loro e fino a quando reggono”, perché tutto lascia intendere un aumento della conflittualità nelle prossime settimane determinata dall’ansia di consenso. Comprese le voci su un eventuale ritorno in campo di Alessandro Di Battista per le Europee, per recuperare consensi aumentando la conflittualità nel governo. È una trattativa in corso, dentro i Cinque stelle, nient’affatto banale, perché il leader barricadero, fino a qualche giorno fa, aveva vincolato la sua presenza a due questioni politiche che rappresentano due mine nei rapporti con la Lega: il no alla Tav, senza se e senza ma, e la revoca della concessione ad Autostrade, sul ponte di Genova.

Ecco, il timer non è ancora innescato perché per una crisi ci vogliono tante cose: l’incidente, le condizioni, il coraggio. E più volte questo governo ha mostrato una grande capacità di fare accordi, all’ultimo minuto, dopo aver prospettato scenari catastrofici. Però è un dato di fatto che tutti i principali protagonisti quotano l’eventualità “più alta”. Ne è convinto, ad esempio, Nicola Zingaretti perché, quando la campagna elettorale sarà finita, la realtà presenterà il conto, rendendo non più rinviabili le scelte. E facendo due conti, considerati gli attuali numeri della crescita e del Pil, tra correzione e manovra economica per il prossimo anno, il totale delle risorse da trovare ammonta a una cifra superiore ai 30 miliardi. E se il governo non riesce a decidere su un tunnel o su un memorandum con la Cina, figuriamoci che può succedere di fronte a una manovra di questo tipo che impone scelte drastiche, magari impopolari. È questo un altro capitolo dell’incastro, perché impone di governare, quando non ci saranno più comizi da svolgere. Proprio ciò che il governo non sta più facendo da tempo.

L’HUFFPOST

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