Tajani indecente su Mussolini. Se questo è un moderato

In fondo, perché stupirsi, lo ha fatto anche Berlusconi per un Ventennio, il vero padre del populismo odierno e della grande rottamazione valoriale dell’edificio repubblicano, delle sue prassi politiche e della sua impalcatura di valori. Che cosa erano la nipote di Mubarak e la battuta su “Mussolini che mandava la gente in vacanza al confino”, le leggi ad personam e la violenza della gaffe sui Fratelli Cervi, se non una chiamata alla rivolta contro le regole, e un grande inno a rendere lecito ciò di cui ci si dovrebbe vergognare? È stato sdoganato tutto, i fascisti quando erano ancora tali fino all’arbitrio verso i principi culturali, morali, nutrendo il paese di ignoranza, antipolitica. Diseducandolo secondo il principio che per trovare un lavoro si fa prima con il bunga bunga che piegandosi la schiena sui libri, in primis su quelli di storia, materia inutile per i fatturati facili.

Altro che moderati. Si arriva così alle parole di Tajani, ignoranti e sconcertanti allo stesso tempo. Perché Mussolini – il solo ricordare queste ovvietà è un segno dei tempi – non solo non era un “campione della democrazia”, ma teorizzò e praticò l’abbattimento della democrazia parlamentare, considerata sin dalle origini, un regime decadente, parassitario e imbelle, l’ordine dei mediocri e di un gregge da addestrare. Sin dalla fase movimentista e sansepolcrina, il fascismo non nasce per “correggerla”, ma per abbatterla. O forse è un dettaglio, presidente Tajani, la presa del potere con violenza squadristica, la chiusura del Parlamento in un clima di terrore nel paese, l’arresto di Antonio Gramsci da deputato in carica, le bastonate a morte a Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli, e così via? O forse, presidente, ha dimenticato l’imposizione del partito unico, la chiusura dei sindacati, la negazione del pluralismo sociale con le corporazioni, la trasformazione delle libere elezioni in plebisciti, il tutto ben prima del 1938 ma già nel 1924?

Questo dato storico e politico è esplicitamente rivendicato, con fierezza, dal Duce stesso nella voce Totalitarismo della Treccani che scrive di suo pugno. E di cui si consiglia vivamente la lettura. Dettaglio che il revisionismo d’accatto tende spesso a rimuovere, perché il primo a non voler essere definito “democratico” era proprio Mussolini che si considerava, con un certo orgoglio, “campione” della “rivoluzione fascista”, che avrebbe sancito in maniera irreversibile il superamento dei sistema politico borghese e dei suoi valori. Anche la storiografia revisionista non ha mai messo in discussione questo elemento, concentrandosi su altro. Gli storici hanno infatti discusso in che misura il fascismo italiano sia stato “totalitario”, in relazione al ruolo che, durante il regime, hanno avuto l’esercito, la monarchia, la Chiesa, se cioè, la presenza di questi attori ne abbia in qualche modo mitigato il carattere. Ma di questo hanno parlato gli storici, non di una messa in discussione della fondamenta anti-democratiche del regime. Non a caso, Renzo De Felice, il padre della storiografia revisionista, intitola il suo volume “Mussolini il Duce. Lo Stato totalitario 1936-1940”. Perché il problema, con buona pace di Tajani, non nasce nel ’38, al netto di quell’incidente di percorso del delitto Matteotti, ma riguarda la natura stessa del fascismo.

Ed è su questo la grande, insopportabile, indecente ambiguità. Parliamoci chiaro: le parole del presidente del Parlamento europeo, rappresentante di una istituzione che incarna i valori proprio di quella democrazia che nasce dall’antifascismo, rivelano un humus culturale di fondo che con poche eccezioni ha sempre caratterizzato la destra italiana. Destra che, con una certa indulgenza verso se stessa in questi vent’anni si è definita come moderata, senza incarnare quell’intransigenza sui valori propria dei moderati europei. È il cuore del problema italiano, che spiega l’egemonia sovranista di oggi. I gollisti francesi sono eredi di quel grande partito di De Gaulle che animò l’antifascismo e la resistenza europea. E questo spiega quella disciplina repubblicana francese che ha sempre spinto quel partito a non allearsi mai con l’estrema destra lepenista. Lo stesso i conservatori inglesi e i grandi partiti moderati e liberali europei. Berlusconi non è mai stato moderato e ha sempre giocato col sentimento qualunquista dell’Italia reazionaria e fascistoide, anti-politica e insofferente alle regole. È stato, semplicemente, moderato o estremista a seconda della convenienza del momento: convenienze politiche, economiche, aziendali, processuali. Non di principi non negoziabili. Non proprio un “campione della democrazia”.

L’HUFFPOST

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