La formula magica per far fuori i grillini

All’indomani della foto di gruppo in Abruzzo dei leader del centrodestra con tanto di nota a margine di Matteo Salvini («è un’alleanza non traslabile»), continua il duello interno, fatto di sorrisi ma anche di colpi bassi, tra i partiti della coalizione: c’è chi vuole rilanciare l’alleanza di centrodestra, vedi Berlusconi; chi, tenendo in piedi il governo «alieno» gialloverde, pensa di ridisegnare il centrodestra a sua immagine e somiglianza, vedi Salvini; e chi pensa di aggiudicarsi il ruolo di seconda gamba di un’alleanza di segno sovranista, vedi la Meloni.

Disegni diversi, ma la risultante sarà determinata al solito dal consenso, o meglio, da una combinazione di risultati da qui alle elezioni per il Parlamento di Strasburgo. Nel frattempo il teatro è caratterizzato da passaggi di consiglieri regionali, sindaci e altro (cioè i cosiddetti «portatori di voti») da un partito all’altro. I parlamentari, per una questione di galateo di coalizione, non fanno parte del gioco. Così Silvia Sardone, già consigliere alla regione lombarda per Forza Italia, andrà in lizza per le europee con la Lega. Massimo Giorgetti, che siede nel consiglio veneto, lascia il Cav per Fratelli d’Italia. Di contro due consiglieri regionali veneti, Marino Zorzato e Maurizio Conte, entrano nel gruppo di Forza Italia.

Un andirivieni, un posizionamento continuo. Quelli che non sembrano mutare sono i piani dei leader. Salvini continua a giurare in pubblico fedeltà al Patto con Di Maio. La motivazione? «Io sono uomo di parola». Paradosso vuole che sia la stessa motivazione che accampavano i sostenitori dentro Forza Italia del Patto Nazareno la scorsa legislatura: la frase che faceva rizzare i capelli in testa proprio ai leghisti. E la «parola data» finisce per coprire i mille guai che il governo gialloverde si sta portando dietro: addirittura per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, la Francia ha ritirato il suo ambasciatore a Roma per la liaison tra Di Maio e il leader dell’ala dura dei gilet verdi. E visto che nel terzo millennio le guerre si combattono con la «finanza» e «l’economia» la storia è appena cominciata.

Ne sa qualcosa Berlusconi che nel 2011 nello scontro con la Germania sulla politica dell’austerity fu messo all’angolo dalla decisione improvvisa della Deutsche Bank di mettere in vendita un mare di titoli di Stato italiani, che provocò un innalzamento vertiginoso dello spread. Ora, magari Salvini e Di Maio non lo sanno, il maggior detentore all’estero di titoli italiani è proprio la Francia. Tant’è che lo spread in concomitanza con il duello è risalito. Poi ci sono gli affari: Air France si è ritirata dal consorzio che dovrebbe salvare Alitalia. Si litiga con i cugini transalpini ma anche con gli Usa di Trump, per via del Venezuela.

E se ciò non bastasse Bruxelles nelle previsioni del 2019 ci mette all’ultimo posto tra i paesi europei nella classifica per il Pil: un più 0,2%, ma c’è già chi pensa che al posto del più ci sarà un meno, cioè finiremmo in piena recessione. Tutti elementi che non scalfiscono la fede leghista verso questo equilibrio politico. «C’è chi non capisce spiega Massimo Bitonci, sottosegretario all’Economia che la crisi economica compatterà, come sempre avviene, il governo. Troveremo l’intesa pure sulla tav».

Un atto di fede, quello leghista, che può essere scalfito solo dai numeri: nel Paese e in Parlamento. Per Forza Italia il numero vincente è stare alle prossime elezioni europee sopra il 10%: in questo modo manterrebbe il ruolo di gamba moderata della coalizione di centrodestra; terrebbe uniti i gruppi parlamentari; e, di fronte ad un probabile crollo elettorale grillino (tutti i sondaggi lo prevedono), si innescherebbe un processo che potrebbe portare alla «crisi» del governo gialloverde. Per farlo, però, c’è chi pensa che Forza Italia debba assumere una posizione chiara e non permettere alla Lega una campagna di governo e di opposizione: cioè, stare al governo, ma nel contempo, interpretare la speranza di chi vuole emarginare i 5 Stelle. «È la campagna che serve a Salvini – spiega Gaetano Quagliarello per farsi il suo centrodestra leghista. Si illude la Meloni se immagina che la voglia come seconda gamba della coalizione. Una Forza Italia sopra il 10% farebbe fallire questi piani. Solo che per raggiungere l’obiettivo il partito dovrebbe essere inclusivo. Non basta l’allargamento a Cesa, Rotondi, o a me. Dovrebbe correre alle europee pure Toti. Tutte le energie in campo. Il Cav è stato formidabile in Abruzzo, ma, se posso permettermi, nelle sue uscite sui giornali dovrebbe usare un linguaggio diretto. Del resto è stato lui a cambiare il lessico della politica in passato».

Insomma, tutto serve se è in gioco la sopravvivenza. Dalla decisione del Cav di presentarsi in tutte le circoscrizioni alle Europee, ad un maggior spirito di abnegazione di sacrificio di un gruppo dirigente che deve convincersi non avrà altri lidi. «Salvini sentenzia Roberto Occhiuto, vicecapogruppo alla Camera non prenderà nessuno di noi. Se riusciamo a centrare l’obiettivo del 10%, magari si convincerà che per lui Berlusconi è il partner ideale. Anche perché se non ci sarà il Cav, quello spazio sarà sicuramente occupato da altri che potrebbero creargli sicuramente più problemi».

IL GIORNALE

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