Caso Diciotti, tutti i buchi della memoria di Salvini

Resta da capire se queste due relazioni, in cui premier e vicepremier si dicono corresponsabili, saranno o meno trasmessi al Tribunale dei ministri. Passaggio non irrilevante, perché in linea teorica, come ha spiegato il presidente della Corte Giorgio Lattanzi, “Un reato può essere commesso da una singola persona o da più persone come da un singolo ministro, da più ministri o dall’intero governo”. E se il piano politico spetta al Parlamento, quello giuridico spetta al Tribunale dei ministri.

C’è un elemento che svela tutto su come sono andate le cose, nei due allegati, peraltro molto poco brillanti nella scrittura e nell’argomentazione. Ed è, non a caso, l’assenza della parola “collegiale”. Perché un conto è una scelta collegiale, un conto è una scelta di un ministro, che in materia di immigrazione ha sempre rivendicato di essere l’unico titolare del dossier, scelta che poi viene “coperta” ex post perché “in linea con la politica del governo”. Non c’è la parola perché quella decisione evidentemente non fu collegiale. Cioè: in nessun consiglio dei ministri o in nessuna riunione formale del governo si è deliberato di impedire, per cinque giorni, lo sbarco dei migranti della Diciotti. Non a caso l’avvocato del Popolo, nei panni dell’avvocato del Governo scrive che “le determinazioni assunte in quell’occasione dal ministro dell’Interno sono riconducibili ad una linea di politica sull’immigrazione che ho condiviso, in coerenza con il programma di governo”. Non un atto formale, dunque, ma il richiamo (generico) al contratto, nell’ambito di un argomentazione, tutta politica, in cui viene citato come momento di svolta della politica sui migranti quel consiglio Europeo del 26 giugno che in verità fu una Caporetto politica sul dossier immigrazione. Perché su input del gruppo di Visegrad il governo accettò che le re-location diventassero volontarie e non obbligatorie e, dunque, ogni volta va cercato un gruppo di volenterosi che li accettino. Mentre restano obbligatori i rimpatri dai paesi europei verso i paesi di primo approdo. Una Caporetto che ha allentato il “vincolo di solidarietà europea” perché il paradosso del sovranismo è questo: onugno è sovranista a casa sua.

La questione di merito, dicevamo, è completamente bypassata, in nome di una condotta coerente con l’indirizzo politico del governo, che prevede un negoziato hard sulle re-location. Ma pressoché nulla si dice sull’accusa di sequestro contestata dai magistrati perché Salvini, per cinque giorni, ha “bloccato” la procedura di sbarco dei migranti determinando consapevolmente “l’illegittima privazione della libertà personale dei migranti” costretti a rimanere a bordo. Anzi, il paradosso è che Salvini conferma candidamente le tesi dell’accusa perché ammette che “l’oggettiva necessità di attendere la risoluzione della controversia internazionale ancora in atto ha comportato l’inevitabile dilatarsi del tempo e il prolungamento dello scalo tecnico, fino al 24.08.2018, allorquando si è tenuta la riunione in ambito europeo”.

È esattamente ciò che contesta il Tribunale dei ministri. E cioè che i migranti sono stati tenuti come ostaggi, in attesa di una trattativa politica: “Le ragioni che hanno determinato il trattenimento a bordo dei migranti – si legge nella relazione del Tribunale dei ministri – esulano da valutazioni di tipo tecnico ed investono invece profili di indirizzo prettamente politico connessi al controllo dei flussi migratori attesa la volontà del ministro di investire della problematica dei migranti sbarcati in Italia le istituzioni europee”. Salvini di fatto lo ammette, evitando di spiegare perché in nome di un “auspicio” legato a una trattativa, ha disatteso le convenzioni internazionali ancora vigenti. Perché la trattativa con l’Europa si poteva condurre anche dopo lo sbarco, con i migranti accolti in centro di accoglienza. A Catania tutto era pronto per far scendere gli extracomunitari e applicare le normali procedure, e questo particolare, scrivono i giudici, “manifesta il carattere illegittimo della conseguente condizione di coercizione a bordo patita dai migranti”.

Per coprire la grande rimozione del punto cruciale dell’accusa, la memoria si trasforma in un romanzo della guerra con Malta, una guerra che evidentemente mai è stata dichiarata e circoscritta all’episodio, perché sia precedentemente sia successivamente ci sono stati episodi di collaborazione. Con parole destinate ad aprire un contenzioso internazionale si parla di “violazioni degli obblighi da parte di Malta”, che ha “dirottato” la nave verso l’Italia. Anche in questo caso l’epica della guerra con Malta che ha comportato la necessità di “sottoporre alla sede sovranazionale la soluzione dei problemi nascenti da tali violazioni”, non si capisce in che modo giustifichi il divieto di sbarco, determinando consapevolmente “l’illegittima privazione della libertà personale dei migranti” costretti a rimanere a bordo.

Per tentare di dimostrare il pericolo dello sbarco, il Viminale ha fatto riferimento, nelle scorse settimane, e dunque solo dopo mesi dopo la vicenda, al rischio di infiltrazioni terroristiche, affermando che sono stati “funzionari del Viminale a spiegarlo ai giudici” ma che i giudici “non ne hanno tenuto conto”. Tesi in palese contraddizione con quanto scritto nella relazione inviata dal Parlamento al tribunale dei ministri, dove è scritto che “nessuno dei soggetti ascoltati dal Tribunale ha riferito della presenza di persone pericolose per la sicurezza e per l’ordine pubblico”.

Ebbene, il riferimento al terrorismo, e non è un dettaglio, scompare nella memoria. Se non come minaccia generica ma mai legato allo specifico delle persone a bordo della Diciotti. E si parla di generiche ragioni di ordine pubblico, non di una minaccia potenziale o imminente. Perché evidentemente l’avvocato Bongiorno ha suggerito di togliere il punto più rischioso, in grado di diventare un clamoroso boomerang. Perché è singolare che i terroristi siano stati scoperti diversi mesi dopo, perché è difficile che salgano a bordo di una nave di un corpo militare dello Stato che, sotto questo punto di vista dà più garanzie. E perché l’argomentazione posticcia contraddice ciò che è stato fatto: avremmo cioè chiesto all’Europa di prendersi i terroristi a loro insaputa, visto che il pericolo allora non fu sollevato. Proprio nella memoria di Salvini c’è la candida ammissione che ciò che per giorni ha fatto filtrare il Viminale – il rischio di infiltrazioni terroristiche sulla Diciotti – è una clamorosa invenzione. Si legge, nella memoria, che l’accoglienza dei migranti della nave non si è realizzata “attesa la fuga – una volta effettuato lo sbarco e prima dell’identificazione – di una parte dei migranti dall’hotspot di Messina”. Delle due l’una: se c’erano terroristi, e dunque una situazione di pericolo imminente, il governo non si è curato della custodia, consentendo la fuga; se non c’erano, come si capisce nella relazione, le comunicazioni del Viminale dei giorni scorsi sono state smentite di fatto nel nuovo approccio difensivo, più prudente. E generico: “L’azione attuativa dell’indirizzo governativo già di per sé stessa costituisce perseguimento di un preminente interesse pubblico, peraltro rappresentato anche dalla salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica che sarebbero messe a repentaglio da un indiscriminato accesso nel territorio dello Stato”. Affermazione che, anche, in questo caso si rimanda a un criterio generico e politico, non allo specifico dei 177 della Diciotti. Impossibile per i Cinque Stelle votare no, contro questa relazione una e trina, in cui accettano la chiamata in correità, in nome della ragion di governo.

L’HUFFPOST

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