Carta di credito e memorie: il kit della fuga di Battisti

Matteo Carnieletto

Cesare Battisti aveva riposto le ultime speranze nella Bolivia. Qui, ancora una volta, sperava di farla franca, grazie all’amicizia con il vicepresidente Álvaro García Linera. Sperava di ottenere asilo, ma così non è stato e La Paz gli ha voltato le spalle, molto probabilmente per convenienza politica. Nessuno ormai vuole il terrorista dei Pac. Né il Brasile di Jair Bolsonaro né la Bolivia di Evo Morales. Ormai Battisti è un peso e la sua storia, iniziata 37 anni, deve finire per sempre.

Battisti, come è noto, non è stato arrestato in Brasile, ma in Bolivia è quella che doveva essere la sua ancora di salvezza si è poi dimostrata un boomerang, come ha spiegato Raffaele Piccirillo, che fino a giugno 2008 ha ricoperto l’incarico di capo del dipartimento Affari di Giustizia del ministero e ha seguito il caso: “L’espulsione diretta dalla Bolivia verso l’Italia di Cesare Battisti fa sì che l’accordo di estradizione con il Brasile che l’Italia accettò nell’ottobre del 2017 e che prevedeva un tetto sanzionatorio di 30 anni non valga più”. E ancora: “Noi accettammo quelle condizioni – ha affermato Piccirillo all’Agi – perché anche il nostro sistema giudiziario prevede una serie di benefici per gli ergastolani. A questo punto, però,  Battisti ci viene restituito dalla Bolivia, attraverso un’espulsione di tipo amministrativo e nel momento in cui arriva in Italia quella condizione non opera più. È come se Battisti fosse stato catturato in una via di Milano”.

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