La Russia che piace in Europa

di Angelo Panebianco

Sarebbe una buona cosa se in questo 2019 gli europei si ponessero pubblicamente (entro i Parlamenti nazionali, negli organismi dell’Unione europea, sui mass media) il seguente interrogativo: quanto forte è destinato a diventare nei prossimi anni il «partito russo» in Europa? Sembra accertato che una conseguenza della congiuntura in atto (indebolimento dei legami interatlantici, crisi dell’Unione, insorgenza populista in alcune democrazie occidentali) sarà una maggiore influenza russa sul Vecchio Continente rispetto al passato. È solo apparentemente paradossale il fatto che sia la Russia, economicamente depressa e sottosviluppata (come ha efficacemente documentato Federico Fubini sul Corriere del 6 gennaio), anziché la Cina, una autentica grande potenza economica in ascesa, a poter trarre i maggiori benefici politici da uno stretto rapporto con l’Europa. La Cina ha capitali da investire ovunque, e li investe anche qui, ma è dubbio che i guadagni politici possano essere all’altezza degli investimenti economici. Dal momento che è troppo grande la distanza, sia geopolitica che culturale, che corre fra Cina e Europa. Diverso è il caso della Russia, nano economico ma anche grande potenza militare. La Russia, nel rapporto con l’Europa, dispone di tre vantaggi. Primo vantaggio: una vicinanza geopolitica tale per cui può usare la sua forza militare, se e quando occorre, per intimorire i deboli e divisi europei. Secondo vantaggio: una certa capacità di sfruttare politicamente il proprio ruolo di fornitore di energia. Terzo vantaggio: la possibilità di fare leva su solidarietà più o meno spontanee fra gli europei , forse altrettanto estese di quanto lo sia l’antiamericanismo, un sentimento fino ad oggi non maggioritario in Europa ma comunque , tradizionalmente, molto forte.

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