Ricerca medica, la burocrazia mette in fuga altri 500 cervelli

Come sono trattati i ricercatori

Dentro i 21 istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, i cosiddetti Irccs, lavorano 5.800 ricercatori (altri mille li supportano a livello amministrativo). Sono medici, fisici, chimici, biologi, biotecnologi, ingegneri, statistici ed epidemiologi che con i loro studi forniscono le cure più innovative contro il cancro, le malattie rare e le degenerazioni neurologiche. Quasi uno su due – ossia 2.500, più 500 amministrativi – è precario da tre, cinque, quindici, vent’anni, e il contratto più diffuso è quello co.co.co. Lo stipendio, legato al reperimento di contributi ministeriali, fondi derivanti da bandi di ricerca pubblici e privati (come Telethon e Airc), e proventi del 5 per mille, si aggira sui 1.200 euro netti al mese, difficilmente supera i 1.600. Nessun paese europeo riserva un trattamento così mortificante a una categoria che pubblica oltre 6 mila studi scientifici l’anno sulle più prestigiose riviste internazionali (New EnglandJournal of Medicine, Lancet Oncology, CancerResearch, Clinical Cancer Research, Annals of Oncology).

Il costo dei ritardi

La riforma in corso è frutto di una mobilitazione senza precedenti, anche da parte dei vertici dei 21 istituti scientifici. Il problema è che il Jobs act di Matteo Renzi aveva cancellato i contratti co.co.co. per la pubblica amministrazione, ma senza un provvedimento i 2.500 ricercatori sarebbero rimasti a piedi. Ora il simbolo della nuova legge è una piramide che prevede vari step: 5 anni di contratto a tempo determinato, valutazione dei risultati, altri 5 anni, e poi l’ingresso nel servizio sanitario. La prima tappa però non è ancora attuabile poiché il contratto siglato il 27 dicembre scorso deve prima passare dal ministero della Funzione pubblica, dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla Corte dei conti.

Se non si fa in fretta gli ospedali d’eccellenza sono destinati a svuotarsi di altro capitale umano e fondi. Infatti i 482 milioni stanziati ogni anno a favore delle attività di ricerca dal ministero della Salute, sono legati alla qualità e produttività dei ricercatori. In sostanza: meno studi qualificati, meno fondi da rimettere in circolo. La riforma prevede che, per pagare i ricercatori, gli Irccs potranno utilizzare il 30% delle risorse attinte proprio dai 482 milioni. Inoltre, per le retribuzioni sono stati stanziati fondi ad hoc dalla legge di Bilancio 2018, ma 19 milioni sono andati in fumo proprio a causa della lentezza delle decisioni e della burocrazia. In sostanza più si ritarda l’avvio della riforma, più vengono messi a rischio anche i finanziamenti dei prossimi anni: 50 milioni per il 2019, 70 milioni per il 2020 e 90 milioni a decorrere dal 2021.

Chi entra e chi sta fuori

In base alle prime stime realizzate da Dataroom con il ministero della Salute, riusciranno a entrare nella Piramide quei 1.600 ricercatori che al 31 dicembre 2017 avevano maturato 3 anni di anzianità negli ultimi cinque negli istituti pubblici. Per valorizzare la storia professionale dei ricercatori il contratto prevede fasce retributive differenti, ma al momento il ministero della Salute non ha ancora scritto quali sono i criteri di accesso.

Ripescati con la legge di Bilancio 2019 sono invece i ricercatori che da anni lavorano con borse di studio (spesso utilizzate in sostituzione dei co.co.co.), ma altri mille sono destinati a restare fuori perché, per esempio, pur lavorando nell’ospedale pubblico, sono pagati dall’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro o da Telethon. I ricercatori che oggi non rientrano nella «piramide» potranno accedere in futuro attraverso concorsi pubblici. Anche qui però manca un pezzo: le caratteristiche, la procedura e i tempi del concorso dovranno entrare in un decreto e passare dall’approvazione del governo. Ad oggi nulla è ancora stato definito.

CORRIERE.IT

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