Pubblica amministrazione, nel 2019 bloccate le assunzioni: l’Università si ribella

engono mantenuti aperti i concorsi straordinari della scuola, quello per dirigenti scolastici e fin qui non è stato fermato il bando ordinario per docenti previsto proprio per il prossimo anno. Non viene toccato, ancora, il piano di stabilizzazioni della Legge Madia che – tra molti ostacoli – deve stabilizzare 1.200 ricercatori al Consiglio nazionale delle ricerche. Non vengono toccate le risorse stanziate per il rinnovo dei contratti pubblici né la norma che ripristina, a partire dal prossimo anno, il turnover al cento per cento nella pubblica amministrazione (la piena sostituzione dei lavoratori che lasciano il servizio per la pensione). Ma qui finiscono le buone notizie.

L’Inps: “Non riusciamo a prendere 1.039 funzionari”

Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, spiega: “L’allarme per il nostro istituto c’è. Per il 2019 avevamo previsto l’assunzione di 2.698 giovani funzionari, li avremmo reclutati dal prossimo aprile scorrendo le graduatorie del concorso in via di svolgimento. Stupisce che il ministro della Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno, non sappia che i 248 vincitori del primo bando sono già stati assunti. Non perdiamo un solo giorno perché abbiamo disperato bisogno di risorse. Per effetto di questo nuovo maxi-emendamento dovremo rinunciare, fino a novembre 2019, a 1.039 assunzioni”.

I sindacati confederali attaccano: “Dopo aver fatto molta propaganda sulle assunzioni nella Pubblica amministrazione ora, a dispetto di un decreto che hanno voluto chiamare concretezza, il governo fa un passo indietro”. Serena Sorrentino, Cgil Funzione pubblica, dice: “La verità è che hanno sbagliato manovra e ora fanno pagare il prezzo degli errori ai cittadini”. Giovanni Paglia di Liberi e Uguali: “Migliaia di statali in pensione anticipata e blocco assunzioni nella Pubblica amministrazione, un’impresa geniale del governo”.

I rettori: “Ricercatori pronti al reddito di cittadinanza”

Il rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Michele Bugliesi, sulla questione ha scritto un tweet in tempo reale: “Il Decreto dignità doveva contrastare la precarietà. Non per i ricercatori e il personale universitario, evidentemente. Loro possono aspettare e sperare. Nella pensione quota 100 o nel reddito di cittadinanza?”. Il rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, dice invece: “Gli sforzi fatti per il risanamento di un ateneo come il nostro sono stati enormi, in undici anni siamo passati da 2.200 docenti a 1.450 e solo nel 2018 siamo riusciti a fermare il calo. Adesso bloccano di nuovo tutto per un anno”. Il professor Giuseppe Travaglini, presidente della scuola di Economia dell’Università di Urbino, dettaglia un aspetto non marginale delle novità portate dal maxi-emendamento: “I ricercatori a tempo determinato, quelli di Tipo B, che vanno in scadenza, nel corso del 2019 non potranno prendere servizio. Un altro buco e una nuova ansia per una categoria massacrata”.

La beffa all’università risuona alta. Ieri il capo Dipartimento Giuseppe Valditara aveva accompagnato in Parlamento un emendamento del governo che, dopo conflitto con il ministero delle Finanze, prevedeva l’assunzione di 440 docenti “in punto organico” oltre quelli da sostiture per il pensionamento. Quattrocentoquaranta punti organico significano 440 professori ordinari assunti o 628 docenti associati. Una boccata di ossigeno dopo quindici anni di caduta. Le novità dell’emendamento post-Ue dicono adesso che tutto questo dovrà essere spostato in avanti di undici mesi e mezzo. I responsabili tecnici del ministero dell’Istruzione e dell’Università assicurano che per i concorsi realizzati nel 2018 le assunzioni saranno possibili anche nel 2019 e che i “posti organico” assegnanti alle singole università in questo scorcio di 2018 potranno essere trasformati in assunzioni, se i singoli atenei avranno le risorse sufficienti, dal 15 novembre 2019. Con nuovi concorsi.

Il Sud penalizzato dai nuovi “punti organico”

In aggiunta al grande blocco, c’è il decreto dello scorso 6 dicembre con il quale il Miur ha tolto la clausola di salvaguardia per gli atenei sui cosiddetti “punti organico”. La clausola, ovviamente, garantiva le università con parametri peggiori (costo del personale rispetto al Fondo ordinario, per esempio). Posizionati al Sud e nelle zone dei terremoti. L’Università della Calabria è passata da 31 a 25 punti organico. E il rettore Gino Crisci ha scritto al viceministro Lorenzo Fioramonti: “Siamo un ateneo vìrtuoso con costi al 72 per cento, un indebitamento allo zero e una compatibilità finanziaria superiore all’uno, numero spartiacque. Poiché il territorio è povero, noi applichiamo tasse agli studenti inferiori alla media e questo, nei calcoli ministeriali, ci danneggia”. Ora si aggiunge il blocco delle assunzioni. “E’ un fatto disastroso”, ancora Crisci: “Veniamo da anni di immobilismo e se questo provvedimento sarà approvato il colpo sarà durissimo”.

Anche l’Università di Catania ha avuto un calo di quattro punti organico (da 41,52 a 37,8), 2018 su 2017, frutto della stessa liberalizzazione delle assegnazioni. Vi sono atenei al Nord che, d’altro canto, hanno visto triplicare le assegnazioni. “Questa diminuzione”, dice il rettore Francesco Basile, “rende estremamente difficoltoso per il nostro ateneo consolidare i risultati positivi già raggiunti e soprattutto continuare una politica di rilancio della qualità dell’offerta formativa e dei risultati della ricerca”.

Altri atenei del Sud hanno fatto registrare buone performance amministrative e sono stati premiati con nuove “assunzioni in potenza” (appunto, i punti organico). “I vincoli della spesa restano però così stretti che non possiamo assumere comunque”, spiega il rettore del Politecnico di Bari, Eugenio Di Sciascio.

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