Manovra: ok Camera a fiducia con 330 sì. Ma sul 2% resta alta tensione. Il testo sarà stravolto al Senato

di ALBERTO CUSTODERO

Arriva il primo via libera alla legge di bilancio. Alla Camera votano sì alla fiducia 330 deputati di M5s e Lega. Questo passaggio, superato tra le proteste delle opposizioni, è una pura formalità in quanto il testo approvato da Montecitorio sarà quasi interamente riscritto dal governo con un maxiemendamento: è già atteso al Senato per la settimana prossima e dovrà contenere i correttivi chiesti dalla Ue all’esecutivo gialloverde. Ora che è passata la fiducia, la Camera dovrà approvare la manovra. In sostanza, è passata la mozione di fiducia del governo per blindare il provvedimento. Ma il testo vero e proprio deve ancora essere approvato.

I lavori infatti sono ripresi nella notte. Ma dopo oltre tre ore, il dibattito si è arenato all’articolo 3. È andato in scena un ostruzionismo tecnico dell’opposizione che, visto il termine della seduta a mezzanotte, ha puntato a uno slittamento del voto a domenica.

Da lunedì il percorso riprenderà dunque nella commissione Bilancio del Senato. Il timing tuttavia non lascia respiro ai lavori parlamentari visto che dopo l’approvazione di Palazzo Madama la manovra dovrà tornare alla  Camera per la seconda e definitiva lettura prima della pausa natalizia. Una corsa contro il tempo per l’esecutivo per mettere a punto quei correttivi in queste ore oggetto di una serrata trattativa fra Bruxelles e Palazzo Chigi

Nella notte i lavori sono ripresi in Aula. Dopo oltre tre ore di dibattito, all’articolo 3, ancora niente di fatto. E’ andato in scena un ostruzionismo tecnico dell’opposizione che, visto il termine della seduta a mezzanotte, ha puntato a uno slittamento del voto a domenica.

Ma il rischio che l’intero calendario del mese di dicembre potesse subire notevoli slittamenti proprio a ridosso dell’ultima lettura della manovra a causa dell’ostruzionismo delle opposizioni, ha indotto la maggioranza a non innalzare un muro di fronte alla richiesta delle opposizioni di avere più tempo per l’esame del ddl costituzionale sulla riforma del referendum e delle leggi di iniziativa popolare.

Una capigruppo, convocata alle 11,30 di oggi, stabilirà quindi il rinvio dell’esame da metà dicembre a gennaio. Il che farà sì che il voto finale sulla manovra si svolga oggi, entro le 16. L’aula della Camera riprenderà alle 9 e procederà con le votazioni sugli articoli dal 2 al 19 e gli emendamenti fino alle 11,30. Sospensione per la capigruppo e nel frattempo potrà riunirsi anche il Cdm per l’ok alla Nota di variazione. Le dichiarazioni di voto finale inizieranno alle 14,30 in diretta tv.

Ipotesi scambio riforme/bilancio, ma M5S dice no

Ci sarà probabilmente anche la richiesta di far slittare l’esame del ddl di riforme, al centro della capigruppo della Camera in programma alle 11.30 sulle votazioni della legge di bilancio. Lo dicono fonti di opposizione, spiegando che una rassicurazione sullo slittamento a gennaio delle riforme sarebbe al centro della decisione di consentire il voto finale della manovra alle 16 di domani, mettendo fine all’ostruzionismo di questa notte. Ma fonti di governo M5S smentiscono ogni ipotesi di slittamento: il ddl sulle riforme – affermano – sarà in Aula il 20 dicembre, come programmato.

Rapporti testi all’interno della maggioranza

Ma il clima è teso. È assente, dopo aver smentito le voci insistenti di sue dimissioni, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che è a Milano alla prima della Scala. Ed è ancora assente una soluzione al grande rebus della trattativa con l’Europa per evitare le sanzioni
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Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno finora respinto le ipotesi messe sul tavolo da Tria e dal premier Giuseppe Conte per tagliare il deficit fino al 2%. Dal rinvio a giugno di “quota 100” e reddito di cittadinanza, fino alla idea “estrema” di aumenti selettivi dell’Iva, che Tria aveva già prospettato a settembre, in fase di gestazione della manovra, e avrebbe rispolverato in questi giorni. Negli spazi stretti concessi dai due vicepremier, armi per chiudere l’intesa con Bruxelles non ne restano molte.

E, nonostante il susseguirsi dei colloqui a Palazzo Chigi, dove Conte riceve Salvini e Giancarlo Giorgetti, una sintesi non c’è. Il tempo corre: se entro la prossima settimana non si raggiunge un’intesa con l’Ue, avvertono i “pontieri”, si rischia non solo la procedura d’infrazione ma anche di piombare nell’esercizio provvisorio di bilancio.

A dare l’idea del clima teso, c’è il riapparire dell’ombra delle dimissioni (o della “liquidazione” da parte del M5s) del ministro dell’Economia. Smentiscono, nell’ordine, Di Maio (“Tria sta facendo un grande lavoro e squadra che vince non si cambia”), Palazzo Chigi (“Piena sintonia, il governo è compatto”). E lo stesso Tria (“L’ipotesi non esiste”). I rumors però non si placano. E, nonostante un’accorata difesa della manovra nell’Aula della Camera, neanche i malumori nelle truppe parlamentari di M5s e Lega.

Tra i pentastellati scoppia il caso di Matteo Dall’Osso, che lascia il gruppo per passare a FI dopo la bocciatura di un suo emendamento per l’assistenza ai disabili. Tra i leghisti, agitati per le votazioni in programma domani in contemporanea con la loro manifestazione nazionale, c’è agitazione per il malcontento dei ceti produttivi del Nord.

Le opposizioni mettono il dito nella piaga denunciando, a una voce, che la legge di bilancio è “finta”. E Silvio Berlusconi prova la zampata: torna a invocare un governo di centrodestra e boccia una legge di bilancio “senza contenuti”. “Superiamo la legge Fornero, votata anche da FI, e tanto altro: Berlusconi lo sa?”, replica la Lega con i capigruppo Molinari e Romeo.

Salvini è proiettato su piazza del Popolo da cui vuole rilanciare le ambizioni nazionali del suo partito. E Di Maio è alle prese coi grattacapi che gli dà la piazza no-Tav sostenuta anche da Beppe Grillo. Ecco perché, spiegano diverse fonti di governo, diversamente arriveranno risposte questo weekend. La prossima settimana, però, “si deve chiudere”. A Jean Claude Juncker, che potrebbe vedere a cena mercoledì, Conte deve portare una soluzione.

E anche documenti: un nuovo Documento programmatico di bilancio, approvato dal Consiglio dei ministri e votato dal Parlamento, che certifichi il calo del deficit e un piano triennale di riduzione della curva del debito. I leader di M5s e Lega tengono ancora l’asticella ferma al 2,2% di calo del deficit e si dicono pronti a scendere al massimo al 2,1%. Ma poiché l’Europa chiede l’1,9% (un taglio di circa 9 miliardi) è a un’intesa sul 2% che puntano Conte e Tria.

Che ci riescano, non viene dato per scontato da nessuno. I tecnici tengono pronte diverse soluzioni per “rimodulare” quota 100 e reddito di cittadinanza, per tagliare i fondi di circa 4 miliardi complessivi. Idee come una “clausola di salvaguardia” per le pensioni, con finestre variabili a seconda dello stato dei conti e delle adesioni, è sul tavolo dei leghisti.

Che si dicono anche pronti a ridurre la portata del “saldo e stralcio” annunciato sulle cartelle esattoriali da Salvini. Di sicuro, spiegano dalla Lega, bisogna fare presto. Perché mancano tre settimane alla fine dell’anno: se non si vota la manovra in tempo – tutti però lo escludono – scatta l’esercizio provvisorio di bilancio.

REP.IT

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