La legge di bilancio e i rischi non visti

La notizia della scorsa settimana non è la bocciatura da parte della Commissione europea della legge di Bilancio, un evento ampiamente atteso e già scontato dai mercati. La vera notizia è che le nubi all’orizzonte della nostra economia si fanno sempre più minacciose.

Sia gli Stati Uniti che l’eurozona stanno rallentando, un punto in meno di crescita fra il 2017 e il 2019-20 in entrambe le aree, secondo le previsioni più recenti dell’Ocse. La frenata negli Usa, che molti pensano potrebbe divenire anche più brusca, è probabilmente dovuta all’esaurirsi degli effetti della riduzione di imposte varata un anno fa da Trump e all’aumento dei tassi della Fed. Nell’eurozona l’attività economica sta tornando a ritmi vicini al 2 per cento, quasi un punto in meno dell’anno scorso. L’Italia nel terzo trimestre dell’anno si è fermata. Ma anziché proporre una legge di Bilancio che ci eviti il rischio di entrare in recessione, il governo ha reso una recessione più probabile.

Secondo la gran parte degli osservatori, anche gli economisti più keynesiani, la manovra del governo avrà effetti recessivi. Il motivo è che le misure proposte non fanno nulla per le imprese (tranne un piccolo taglio di tasse riservato a un gruppetto di aziende minuscole) e soprattutto perché le dichiarazioni con cui il governo ha accompagnato la manovra hanno preoccupato i mercati provocando un aumento del costo del denaro per famiglie e aziende. Il risultato è che le previsioni di crescita per il prossimo anno oscillano tra lo 0,9 dell’Ocse e lo 0,4 della banca d’affari Goldman Sachs e continuano ad essere riviste al ribasso. Insomma, un’economia quasi ferma, che quindi non crea lavoro e che perciò richiederà sempre più spese per finanziare i sussidi di disoccupazione, quindi più tasse oppure ancora più debito.

In un Paese normale, cioè con debito relativamente basso e che attraversasse una temporanea fase di rallentamento, più deficit e più spesa non sarebbe una ricetta sbagliata (meno tasse sarebbe ancor meglio). Ma l’Italia ha un rapporto debito-Pil che è il terzo più alto al mondo dopo il Giappone (in cui però buona parte del debito è detenuto da enti statali, e quindi è una sorta di partita di giro) e la Grecia, un Paese le cui sorti non vogliamo certo ripetere. È per il livello del nostro debito che l’annuncio di questa Legge ha fatto salire i tassi di interesse trasformando una manovra che in un Paese normale potrebbe essere lievemente espansiva, in una recessiva. Politiche di bilancio perfettamente ragionevoli per un paese con basso debito non lo sono per noi.

Invece il ministro Tria continua a ripetere un’affermazione in cui solo lui crede (o forse è costretto a far finta di credere): che la manovra sarà espansiva e la crescita l’anno prossimo raggiungerà l’1,5 per cento, cioè quasi un punto in più della media delle altre previsioni. Come fa il ministro Tria a sostenere questa favola? Non solo ignora gli effetti dell’aumento dei tassi di interesse, che riducendo il valore dei Btp avranno effetti negativi sui consumi delle famiglie che li possiedono, oltre che rendere il credito più costoso per le imprese. Sembra non tener neppur conto dell’inversione di tendenza dell’economia mondiale rimanendo ancorato a previsioni formulate lo scorso mese di aprile e ormai superate dagli eventi. Il risultato è che la sua manovra, accompagnata da crescita zero se non addirittura negativa, produrrà deficit ben più alti di quelli che lui prevede e farà riprendere la crescita del debito. Sarebbe opportuno che il ministro Tria parlasse più chiaramente agli italiani. E lo stesso dovrebbe fare il presidente del Consiglio Conte. Lo devono al Paese.

Questa è la realtà. Ma sappiamo bene che la realtà dei numeri ha ben poco ha a che vedere con le motivazioni politiche di questa manovra. La Lega vuole consolidare i suoi voti fra gli anziani del Nord e al tempo stesso espandersi al Sud.Il M5S ha il solo obiettivo di consolidare il suo consenso elettorale al Sud erogando sussidi che, anziché creare posti di lavoro regolari, contribuiranno con il loro costo fiscale a distruggerne. In più il reddito di cittadinanza indurrà i lavoratori regolari a spostarsi nel sommerso per cumulare sussidio e salario in nero.

Lega e M5S dicono di essere rappresentanti del «popolo». Per loro il popolo sono gli anziani del Nord e i senza lavoro (in «bianco» non necessariamente in «nero») del Sud. Che questo non sia «tutto» il popolo degli italiani non sembra sfiorare minimamente la loro strategia politica. Ma è una scelta miope. Quando, per soddisfare il loro «popolo», avranno scontentato l’altra parte dell’Italia, quella che lavora e produce sia al Nord che al Sud, rendendola più povera e attingendo ai suoi risparmi, allora ne pagheranno le conseguenze politiche. Soprattutto se nel frattempo i partiti di opposizione saranno usciti dall’autolesionismo che li attanaglia.

CORRIERE.IT

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