Offerta all’Ue: manovra bis dopo le Europee

carlo bertini, ilario lombardo
roma

Sfila via dall’aula poco prima di Giuseppe Conte, il ministro Giovanni Tria, e lascia cadere una battuta enigmatica – «le novità ci saranno quando ci sarà la trattativa» – che si iscrive nella foto della mano tesa che il governo vuole consegnare a Bruxelles per aprire un tavolo di confronto.

Una di queste novità sarebbe quella di manifestare la disponibilità a procedere in estate con una manovra correttiva se le circostanze lo rendessero necessario: ma solo dopo le Europee e chiedendo a Bruxelles di dilatare da tre a sei mesi – e calcolandoli da gennaio – i tempi di verifica della situazione previsti dal complicato processo della procedura di infrazione verso un paese che non rispetta i patti. Tanto che Conte intende negoziare la procedura di infrazione con «tempi di attuazione molto distesi», come chiarisce alla Camera. «Questo tempo ci servirà per consentire alla manovra economica di produrre i suoi effetti sulla crescita e grazie a questo di ridurre il debito pubblico». Poi si vedrà.

 

Il governo vuole provare a usare il primo semestre come laboratorio, puntando sul volano degli investimenti sbloccati in questi giorni. Palazzo Chigi sta per adottare in via definitiva il decreto della presidenza del Consiglio che ripartisce risorse, pari a circa 36 miliardi, del Fondo per gli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale. Ma per placare le ire di Bruxelles, al Tesoro pare stiano studiando varie formule, come lo slittamento ad aprile di reddito di cittadinanza e pensioni: che farebbe ridurre di per sé il deficit al 2,1% lasciando immutata la cifra del 2,4 sulla carta per mantenere il punto almeno formalmente.

Il premier andrà a perorare la «causa Italia» sabato in una cena con Jean-Claude Juncker su cui Palazzo Chigi punta molto, confidando evidentemente che sia possibile aprire una crepa nel muro della commissione Ue. Conte lo fa capire in mattinata, quando garantisce «nessuna ribellione all’Ue, siamo responsabili», e attenzione che «la riduzione del debito è un obiettivo comune con l’Europa, ci stiamo lavorando». Il premier è convinto, così come tutti nel governo, che «con un clima rasserenato lo spread scenderà», quindi non mostra i timori che pure scorrono copiosi nelle stanze del potere.

 

 

Insomma, proprio mentre il commissario Ue Pierre Moscovici di fronte al parlamento francese si dichiara convinto che l’Italia non manterrà la linea dura. «Ci sono tanti italiani molto attaccati al nostro percorso comune, Tria non è l’unico ministro che lavora per questo, c’è anche il presidente del Consiglio che sabato sera sarà a Bruxelles e avremo un incontro di lavoro». Il termine dialogo ricorre perfino nel lessico fino a qui più bellicoso di Di Maio, che pure insiste a non voler toccare i saldi e il famoso 2,4%. «Credo ci siano margini di dialogo, ma non ci sarà macelleria sociale». Nell’ormai quotidiano scambio di ruoli, tocca invece a Matteo Salvini fare il duro di giornata: «Gliela mandiamo noi la letterina all’Europa, dicendo che ci ha rotto le scatole » attacca dalla Sardegna, dove ha avviato la campagna elettorale con tre mesi di anticipo. Non proprio un tono in linea con le richieste di Conte.

 

L’assenza del leghista si fa notare alla Camera. In aula, affiancato da Luigi Di Maio, Tria e Savona, assaltato dalle opposizioni («Non usi un linguaggio da azzeccagarbugli, cambi la manovra!», gli intima Brunetta), il premier fa capire che in Parlamento si potranno apportare modifiche: con «un’accelerazione degli investimenti e una rimodulazione di alcuni interventi se possono accrescere gli effetti positivi sulla crescita». All’Ue verrà ribadito che il governo «intende favorire una rapida discesa del debito, attraverso la dismissione di asset non strategici già nel 2019, per un valore pari a circa l’1% del Pil». Ma per adesso tutto questo resta quello che è: una speranza.

LA STAMPA

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