Zuckerberg: “Ho pensato di chiudere Facebook”

“Avete mai pensato di chiudere Facebook?” Silenzio. Dopo qualche secondo Monika Bickert, Global Head of Policy Management, risponde che il social network è utile, e un po’ divaga. Zuckerberg, pure presente alla call con organi di informazione da tutto il mondo tra cui La Stampa, si prende un paio di minuti: “Abbiamo pensato di sospendere Facebook, in diverse occasioni, nel 2010 e di nuovo qualche mese fa, per difendere la privacy delle persone coinvolte nella fuga di dati a opera di hacker”. Non è mai successo, e Zuckerberg poi specifica che ha pensato di farlo, ma magari per un ristretto numero di utenti.

Novanta minuti a rispondere a domande anche impegnative, rivelando però molto poco di quello che succede negli uffici di Menlo Park. E qualche imbarazzo è evidente. Ad esempio quando a Zuckerberg viene chiesto se qualcuno perderà il lavoro dopo l’articolo di ieri del New York Times, che descrive in maniera minuziosa manovre oscure, ritardi, incertezze e insabbiamenti nella gestione di Facebook. “Sono questioni serie, abbiamo fatto le nostre indagini. Facciamo errori e impariamo. Valutiamo costantemente il rendimento di chi lavora a Facebook”. Ma la risposta per ora non c’è, tocca accontentarsi di un generico rimando ai costanti cambiamenti dell’azienda: “L’arrivo di Nick Clegg è molto importante per il nostro team”, spiega Zuckerberg.

 

I russi

E l’influenza russa sulle presidenziali americane che nel 2016 hanno portato Trump a Washington? “Ci sono molte cose che farei diversamente oggi. Il nostro grande errore è stato non capire che si trattava di una campagna coordinata, avremmo dovuto reagire meglio e abbiamo impiegato due anni per costruire un sistema capace di riconoscere interferenze simili”, spiega il Ceo. “Ma anche gli altri affineranno le loro tattiche, dobbiamo essere concentrati sul nostro lavoro e giocare d’anticipo”.

 

La parola d’ordine è trasparenza, e Zuckerberg tiene a sottolineare che la call con è stata organizzata in reazione all’articolo del New York Times. D’altra parte già era già arrivata la smentita ufficiale ad alcuni punti cardine dell’inchiesta: “L’articolo afferma che sapevamo dell’attività russa già nella primavera del 2016, ma siamo stati lenti a indagare su di essa ad ogni livello. Questo non è vero”, e infatti le minacce legate alla Russia sarebbero state identificate solo nel novembre 2016. Il consiglio di amministrazione di Facebook, nell’intento di confermare l’affermazione, introduce però qualche dubbio: “Come Cda abbiamo spinto in effetti Mark e Sheryl ad agire più velocemente, ma asserire che fossero al corrente della attività russe e che avessero cercato di ignorare le indagini o insabbiarle è gravemente ingiusto”, si legge in un’altra nota. Più o meno le stesse parole di Zuckerberg: al telefono “Suggerire che non eravamo interessati alla verità, che volevamo nascondere cosa sapevamo o che volevamo impedire lo svolgimento delle indagini è semplicemente falso”.

 

Soros e la disinformazione

Sempre nel comunicato di Facebook, si smentisce un altro aspetto inquietante sollevato dal NYT: “Non abbiamo mai chiesto articoli per fare disinformazione”. Secondo il quotidiano americano, attraverso una società di Washington fondata da figure riconducibili al panorama repubblicano, il social network avrebbe diffuso contenuti online denigratori nei confronti di altre compagnie come Apple e Google. “Abbiamo chiuso il nostro contratto con Definers Public Affairs ieri”, spiega l’azienda. “Il nostro rapporto con Definers era ben noto ai media, non ultimo perché la società ha inviato per nostro conto, in diverse occasioni, inviti a centinaia di giornalisti per importanti eventi stampa”.

 

Definers Public Affairs avrebbe avuto come incarico anche quello di “screditare gli attivisti critici contro Facebook, in parte collegandoli al finanziere di sinistra George Soros”. Così, al telefono Zuckerberg precisa: “Ho grande rispetto per Soros, anche se abbiamo visioni diverse su internet e sulla società”. Puntuale arriva su twitter la risposta di Christopher Wylie, il whistleblower che ha svelato la strategia di condizionamento a favore di Trump e della Brexit architettata dalla società britannica Cambridge Analytica: “Facebook ha ingaggiato una società di lobby privata per creare notizie false e alimentare voci antisemite contro i suoi detrattori. Io stesso sono stato vittima di questa operazione e – credetemi – sono sporchi”.

 

I numeri

Intanto, negli ultimi sei mesi, il social network ha eliminato un miliardo e mezzo di account falsi. Non tutti: “Quelli ancora esistenti – spiega Guy Rosen, Vice President of Product Management – sono circa il 3-4 per cento degli utenti attivi su base mensile”. Come si legge nel Transparency Report, registrano poi una significativa crescita i contenuti rimossi dal social network in Italia (sia su Facebook sia su Instagram) perché segnalati dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali o perché diffamatori o contrari alle leggi elettorali. Si tratta di 1438 interventi nell’arco di un anno, di cui 582 solo nel periodo tra gennaio e luglio del 2018.

Ma crescono leggermente anche le richieste di accesso ai dati degli utenti, che vengono inoltrate al social network dalle autorità lasciando a quest’ultimo la possibilità di decidere se accoglierle del tutto o in parte, anche in base alla natura del dato richiesto. Nel primo semestre del 2018 sono state 2.401, rispetto alle 2.059 di quello precedente, ma con una tendenza in lieve aumento a partire dalle 1.700 del 2013, primo dato disponibile.

 

Gli strumenti

In realtà la conferenza telefonica serve a presentare i nuovi strumenti standard del social network per contenuti e commenti: “Il miglioramento più importante nell’applicazione delle nostre politiche è l’uso dell’intelligenza artificiale per segnalare in modo proattivo i contenuti potenzialmente problematici al nostro team di revisori e, in alcuni casi, anche per intervenire automaticamente sui contenuti. Questo approccio ci aiuta a identificare e rimuovere una percentuale molto maggiore di contenuti dannosi, e spesso possiamo rimuoverli più velocemente, prima che qualcuno li veda, anziché aspettare che vengano segnalati”, chiarisce Zuckerberg in una lunghissima nota. E se riteniamo che un post o un commento sia stato cancellato ingiustamente, dal prossimo anno potremo fare appello alla decisione di Facebook: “Ci sarà un organismo indipendente, composto da esperti, giuristi, docenti universitari, che analizzerà caso per caso le varie questioni, cercando di raggiungere un difficile equilibrio tra libertà di espressione e attenzione alla sensibilità di tutti gli utenti”.

 

Ancora più difficile perché “quando più i contenuti si avvicinano al confine di ciò che è vietato, tanto più le persone sono portati a condividerli.Il nostro lavoro sta nell’affrontare il problema degli incentivi”, osserva lo stesso Zuckerberg. Ma gli incentivi sono i Like, e Facebook è nato con i Like, quindi come si fa a fidarsi? “Ci impegniamo costantemente per migliorare, i nostri sono problemi difficili da risolvere, vorrei poter dire che ci riusciremo in pochi mesi, ma ci vorrà più tempo. C’è ancora molto lavoro da fare, ma oggi Facebook è un posto più sicuro di due anni fa”.

LA STAMPA

 

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