L’Italia gioca la carta del petrolio: ecco i nuovi equilibri in Libia

 

In vista del vertice di Palermo ampio spazio è stato dato al lato politico del dossier libico. Le vicende che riguardano Haftar, i suoi tira e molla, i rapporti con Al Serraj ed il ruolo sia dell’Italia che degli altri attori internazionali. Poco o nulla invece si è detto di quello che potrebbe essere il vero elemento in gioco non solo della conferenza di Palermo ma, in generale, delle varie mosse diplomatiche svolte in questi giorni: il petrolio.

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La Libia non è soltanto un paese che detiene molti giacimenti e molto greggio nel suo sottosuolo. La vera peculiarità dell’oro nero libico sta nella sua qualità. Poco zolfo, poco denso, il petrolio libico costituisce una vera e propria manna. Grazie a queste qualità la sua raffinazione costa molto poco, garantendo maggiori guadagni quindi per le compagnie (ed i paesi a cui esse appartengono) che riescono a mettere le mani sulle risorse energetiche libiche.

Il ruolo della Noc

Gheddafi tra i suoi primi atti riesce, nel 1970, a nazionalizzare le compagnie petrolifere ed a fondare una società pubblica in grado di gestire le attività della Libia nel settore energetico. Nasce così la Noc, la National Oil Company, che da quel momento si butta a capofitto sul mercato europeo in cerca di partner per piazzare nel vecchio continente il “pregiato” petrolio libico. Ed è qui che entra in gioco l’Italia con l’Eni: il cane a sei zampe è ben radicato in Libia, essendo presente dal 1959. I rapporti privilegiati tra la Libia di Gheddafi e l’Italia permettono a Roma di fare la voce grossa sul greggio proveniente dalla sua ex colonia. La Noc nel frattempo diventa una vera e propria istituzione vitale. La Libia infatti deve alla vendita del petrolio il 95% del proprio budget, dalle attività della Noc di fatto dipende il futuro del paese.

E quello della Noc è un ruolo talmente importante che sopravvive anche alla fine di Gheddafi ed alla frammentazione del paese. Tutto in Libia viene smembrato e diviso, nascono governi e città Stato, eserciti e milizie che si autoproclamano come rappresentanti di tutto il paese, ma la Noc rimane di fatto l’unico ente che rimane in piedi. Il suo presidente Mustafa Sanallah riesce a far rimanere impermeabile la società ai continui stravolgimento dello scenario libico. Ma non solo: la Noc rimane con la sede a Tripoli, ma riesce a lavorare in tutto il paese quasi normalmente. Evidentemente il collante dei proventi del petrolio dell’azienda libica contribuisce ad acquietare tutti i principali protagonisti libici. Tutti vorrebbero una buona fetta dei miliardi incassati dalla vendita del petrolio, tanto da evitare pericolosi scontri diplomatici e politici con i vertici della Noc.

Gli interessi legati al petrolio

L’inviato delle Nazioni Unite per la Libia, Ghassan Salamè, nell’illustrare il piano dell’Onu per il paese africano non manca proprio di fare riferimento alle potenzialità libiche partendo dalla vendita del petrolio: “Ogni giorno – dichiara Salamè – vengono estratti 1.3 miliardi di barili di petrolio al giorno”. Un’enormità se paragonato alle attività di altri paesi, un vero e proprio miracolo se si considera che prima della guerra il numero era di 1.6 miliardi giornalieri. C’è stata sì una diminuzione, ma non così drastica come ci si poteva aspettare da una situazione fatta di caos, bande armate e stabilimenti difesi da milizie appositamente pagate. L’attività estrattiva genera dunque anche in un clima di perenne guerra civile svariati miliardi di Dollari. La Noc non li gestisce direttamente: la società opera, come spiega Claudia Gazzini dell’International Crisis Group, con joint venture straniere con le quali gestisce gli stabilimenti. I proventi sono trasferiti alla Libyan Foreign Bank che a sua volta li gira alla Banca centrale, la quale con queste somme acquista poi petrolio per uso interno.

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Ma gran parte di queste somme che entrano nelle mani della Banca Centrale finanziano le poche attività rimaste in piedi in Libia. Gli stessi stipendi dei dipendenti della Noc sono erogati tramite questi fondi, con cui si pagano anche stipendi dei funzionari e tutto ciò che serve all’amministrazione del governo. Chiaro dunque che di questa enorme torta petrolifera che ancora regge in Libia, tutti coloro che sono impelagati nello scacchiere libico ne vogliono almeno una fetta. Le milizie di Tripoli che formalmente appoggiano Al Serraj vengono pagate con questi soldi, a loro volta altre milizie rimaste fuori dalla capitale non ci stanno a rimanere a mani vuote e dunque ecco che da qui arrivano parte delle motivazioni degli scontri di settembre. Haftar, dal canto suo, vorrebbe mettere le mani su parte dei proventi visto che il suo esercito ha ripreso il controllo degli stabilimenti di Ras Lanuf. Nel Fezzan, dove vi è il grosso degli interessi italiani e dell’Eni, tribù e fazioni sperano anche loro di partecipare alla spartizione della torta.

In Libia il vertice di Palermo potrebbe semplicemente essere visto come una prova generale per capire fino a che punto, ciascuna fazione in campo, potrebbe riuscire ad arrivare nella corsa al petrolio ed ai suoi proventi. In poche parole, prima ancora che per un discorso politico chi, tra i libici, vuole un posto in prima fila a Palermo od in altre conferenze che si terranno in futuro, vuole soldi. Perchè si sa che, grazie al petrolio, ancora ne girano parecchi. Senza affrontare il discorso economico si rischia, per chiunque, di non arrivare mai al vero nodo della questione.

IL GIORNALE

 

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