Governo in pressing sulle partecipate, alla Cdp la regia degli investimenti

nicola lillo, ilario lombardo
roma

Il governo ha un’urgenza: calmare i mercati e dare l’idea che questa volta sugli investimenti si fa sul serio e che la crescita del Pil trascinerà la ripresa e darà un senso all’abbuffata di deficit. A oggi è una scommessa, una speranza. E la convocazione dei big delle partecipate, per la prima volta tutti assieme intorno a un tavolo a Palazzo Chigi, va in questa direzione. All’incontro c’erano da un lato del tavolo, tra gli altri, i vertici di Enel, Eni, Leonardo, Ferrovie, Poste, Fincantieri, dall’altro il premier Giuseppe Conte, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti e i ministri Luigi Di Maio, Giovanni Tria e Paolo Savona. Il governo ha chiesto in pratica un aiuto sugli investimenti, con l’idea di trasformare la cabina di regia in qualcosa di più strutturato. Un appuntamento fisso, coordinato e supervisionato dalla Cassa depositi e prestiti. «Bisogna fare sistema», ha ribadito più volte Conte.

C’è comunque un progetto che nella riunione di ieri è rimasto sullo sfondo, nemmeno accennato, ma che è al centro degli interrogativi di tutti i capitani delle aziende pubbliche invitate. La Banca degli investimenti, un pallino del Movimento 5 Stelle, ispirata a modelli già esistenti in Germania e in Francia, a cui si lega il ruolo che avrà Cdp. La Cassa è la prima preda importante conquistata da Di Maio, che ha indicato per il ruolo di amministratore delegato Fabrizio Palermo, 47 anni. Per mesi, ancora fino a questa estate, i vertici del Movimento la consideravano il cuore di questa nuova Banca, pensata come un aggregatore di altri partner pubblici e privati da individuare. Un’idea complicata – hanno preso atto i grillini – dato che Cdp dovrebbe andare sotto alla vigilanza della Banca d’Italia, rispondere alle complessa regolamentazione bancaria e perdere di conseguenza la sua potenza di fuoco, mettendo a rischio peraltro i risparmi postali degli italiani.

Ma c’è comunque l’intenzione di rendere Cdp un pivot dello sviluppo economico del Paese. Come? È proprio qui che sorgono i dubbi dei manager accolti ieri da Conte. Che potere avrà la Cassa? Quanto ne perderanno le controllate o le altre aziende che non sono sotto alla sua governance? Nessuno vuole perdere potere – e da qui si registrano alcuni malumori per l’attivismo e il protagonismo di Palermo – anche se molti dei presenti di ieri si trovano sotto scacco. Di nomina renziana, alcuni di loro scadranno entro il 2019, altri nel 2020: sono tutti in attesa di una riconferma o di un giro di poltrone interna alla partecipate. Ovvio quindi che vogliano accreditarsi con il nuovo governo giallo-verde.

L’esecutivo ha comunque grandi attese proprio nella Cdp. Già a settembre il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha chiesto a Palermo di aggregare i dati delle aziende controllate (Snam, Terna, Italgas, Fincantieri, Ansaldo Energia) per avere un’idea della potenza di fuoco: si parla di 22 miliardi di investimenti da spalmare negli anni 2019-2023. Una mole di risorse importante, che potrebbe anche crescere. «Abbiamo avuto grande disponibilità», spiega il premier al termine, parlando di investimenti aggiuntivi, da parte delle aziende, pari a 20 miliardi. C’è infatti attesa per il piano industriale di Cdp, che sarà presentato alla fine di novembre. Oltre che da Cdp, garanzie di investimenti sono arrivati anche dalle altre aziende. Ferrovie dello Stato ha parlato di 64 miliardi (oltre ai 15 dell’Anas), di cui il 34% al Sud. L’Enel punta a far salire il suo impegno nel triennio da 6,1 a 8,3 miliardi.

LA STAMPA

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