Bimbi a lezione dai migranti: “Così indottrinano i nostri figli”

L’immigrazione è un tema divisivo. Difficile. Potenzialmente scoppiettante. Oggi gli elettori sembrano più interessati ai movimenti migratori che ad altri.

Mezzo Paese chiude i porti, l’altra apre le braccia all’accoglienza. Il tema è politico. Ecco perché ad Arco, piccola cittadina in provincia di Trento, alcuni genitori hanno storto il naso quando hanno scoperto che i loro bimbi a scuola avrebbero partecipato alla “Settimana dell’accoglienza”, incontrando pure alcuni “rifugiati richiedenti asilo” (guarda il video).

La settimana dell’accoglienza, organizzata dal Coordinamento nazionale comunità di accoglienza è alla sua quarta edizione. E anche quest’anno l’Istituto comprensivo di Arco ha deciso di partecipare. In una circolare indirizzata a genitori e docenti, il dirigente Maurizio Caproni invitava tutte le famiglie a partecipare all’”incontro in amicizia” tra immigrati e alunni delle classi quinte e prime. E così è stato.

“L’ho capito quando mio figlio è tornato a casa e mi ha posto la fatidica domanda: ‘Papà ma in Pakistan c’è la guerra?”, racconta al Giornale.it un padre che chiede di rimanere anonimo per “evitare ritorsioni sui nostri figli e nipoti”. I bimbi festanti hanno ballato, cantato canzoni imparate per l’occasione e proclamato poesie. Tutto all’insegna dell’accoglienza dei migranti. Pochi giorni prima, il 1 ottobre, i bimbi di quinta elementare hanno incontrato “alcuni rifugiati richiedenti asilo” che hanno raccontato la loro storia personale.

In classe si sono presentate, ci spiega il preside, una siriana arrivata con un corridoio umanitario e un richiedente asilo sbarcato su un gommone. Niente di strano? Forse sì. E infatti l’iniziativa ha scatenato le proteste di alcuni genitori. “Se è arrivato col barcone allora è clandestino”, fa notare una nonna (anche se il preside non concorda con tale definizione). “E se è irregolare – le fa eco un papà – a nostro avviso non deve entrare in contatto con dei minori”.

La polemica è finita così nel dibattito politico in una regione che si trova a due settimane dalle elezioni. “Che l’informazione vada fatta, anche ai più piccoli, ci può anche stare – attacca Nicoletta Malfer, segretario della sezione locale – ma non a senso unico! Non con l’indottrinamento che, passando dalla scuola primaria, omologa il pensiero dei bambini”. Ecco: indottrinamento. Lo stesso termine lo usa anche Paolo (il nome è di fantasia) per definire l’iniziativa della scuola di suo figlio. “Questi argomenti non andrebbero trattati con bimbi in tenera età”, spiega con calma imperturbabile. “L’immigrazione va trattata in famiglia, perché solo i genitori possono sapere quando è il momento di parlarne”. Anche perché, fa notare, non è certo semplice. Non basta raccontare quanto è bello costruire ponti anziché alzare muri. “Bisogna considerare l’islam, il rapporto dei migranti con le donne e la criminalità legata all’immigrazione clandestina: come faccio a parlarne con un bambino?”.

La domanda è logica. E merita una risposta. “La scuola si deve ispirare alla Costituzione”, ribatte il preside. “E deve educare alla cittadinanza intesa come educazione alla cittadinanza globale”. Inutile far notare che quello delle migrazioni è un tema divisivo e c’è chi, legittimamente, la pensa diversamente. “La scuola – dice – non è una arena di dibattito politico come la televisione dove deve esserci il contraddittorio”. Il rischio, fanno però notare alcuni genitori, è che così la scuola si metta a far politica. Sostituendosi ai genitori contrari all’accoglienza indiscriminata. “A scuola non si può inculcare quella che è una ideologia politica”, attacca Mirko Bisesti, segretario della Lega Trentino. “La scuola usa le opinioni sugli immigrati dando una sola versione e non completa”, spiega una mamma di origini thailandesi. Dunque lungi dall’essere “razzista”. “Non tutti i migranti vengono da dove c’è la guerra. Ma vengono da altri posti per cercare opportunità in Italia. Quindi la scuola non può raccontare ai bimbi che sono tutti in fuga dalla guerra”. Perché non raccontare tutta la storia rischia davvero di apparire come un atto “politico” e “ideologico”. Altro che insegnamento.

IL GIORNALE

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