Manovra, l’ultima carta di Tria: se non c’è la crescita stop a reddito e pensioni

Più che su un sentiero stretto, come usava dire il suo predecessore Pier Carlo Padoan, Giovanni Tria sta camminando su una fune. Ieri, a tarda sera, il ministro dell’Economia, rientrato precipitosamente a Roma dopo la disastrosa trasferta in Lussemburgo, si è chiuso nel suo studio in via XX Settembre. Il clima è lo stesso della settimana scorsa, di assedio.

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A quattro giorni dall’approvazione in consiglio dei ministri, della Nota di aggiornamento del Def ancora non c’è traccia. «I numeri non girano», dice una fonte vicina al dossier. E il motivo del frettoloso rientro di Tria sarebbe proprio questo: farli quadrare. Riuscire a far girare gli algoritmi del ministero in modo che il prossimo anno tutte le variabili confermino che con un deficit al 2,4%, compresi due decimali di investimenti, la crescita del Pil possa raggiungere l’1,6%. E lasciando Lussemburgo Tria ha confermato che questa è la pista giusta: «Il problema è la qualità della manovra e questa manovra è di crescita. Se vinciamo la scommessa va tutto bene, altrimenti cambieremo la manovra come bisogna fare. Il 2,4% viola le regole europee? E’ sempre accaduto a molti Paesi di sforare. Comunque non ci sarà alcuna fine dell’euro».

La scommessa non è facile. Una crescita all’1,6 (dallo 0,9% attuale) significa un’impennata della domanda interna ben oltre di quanto hanno reso possibile i 10 miliardi spesi da Matteo Renzi per gli 80 euro. Eppure, Tria dovrà trovare il modo per rendere le stime granitiche. Anche perché, entro lunedì, dovranno essere validate dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

IMPRESA DIFFICILE
In base alla legge 243 del 2012, nel caso in cui il documento non fosse validato, il governo se volesse confermare le stime dovrebbe rimandare il ministro in Parlamento a spiegarne le ragioni. Ieri il capo del desk Italia all’Ocse, Mauro Pisu, ha osservato che le stime sul Pil sono una «forte accelerazione rispetto alla tendenza attuale». In atto c’è un rallentamento che ha portato l’Ocse e anche altri organismi internazionali a ridurre le stime. «Noi», ha detto Pisu, «prevediamo una crescita del Pil dell’1,1% per il 2018, ma potrebbe anche rivelarsi inferiore, con un deficit che nelle nostre previsioni era all’1,5% circa. Se il deficit salirà al 2,4%, questo avrà sì un effetto espansivo, ma raggiungere l’1,6% nel 2019 non sarà facile».

Per il ministro, insomma, un passaggio decisamente complesso. Anche perché i fronti si stanno moltiplicando: da una parte le istituzioni europee, decisamente preoccupate (e indignate) per l’annunciato aumento al 2,4% del rapporto deficit-Pil, dall’altra Luigi Di Maio per nulla disposto a un ravvedimento virtuoso. Leggermente più cauto Matteo Salvini.

In più, come previsto e temuto, lo spread è tornato a ringhiare: 282 punti, contro i 267 della chiusura di venerdì. E così Tria, per provare a calmare le acque e per non perdere altra credibilità («non solo il leader di un partito, però ho un ruolo da svolgere», ha detto ieri sera), sta studiando un meccanismo automatico di stop alle misure di spesa se il debito (come promesso) non dovesse scendere. Ma, e questa è la novità, la tagliola automatica colpirebbe proprio la spesa corrente introdotta dalla «manovra del popolo», ossia il reddito e le pensioni di cittadinanza, la bandiera dei 5Stelle, e probabilmente anche la riforma della Fornero. Le misure, dunque, diventerebbero a tempo. Senza contare che ancora si ragionerebbe su una riduzione del deficit almeno per il 2020 e il 2021. Bisognerà convincere gli azionisti di governo, compito tutt’altro che semplice, soprattutto sul secondo punto. Anche perché, nonostante le rassicurazioni di rito, il ministro dell’Economia è ancora nel mirino dei 5Stelle.

OMBRE SUL FUTURO
I grillini continuano a valutare un ricambio, nel breve-medio termine, a via XX settembre. Anche perché ritengono che Tria abbia ormai perso quella sua funzione di garanzia e rassicurazione per i mercati. Come dimostrerebbe la crescita dello spread e la via crucis del ministro al vertice dell’Eurogruppo: sbarcato in Lussemburgo senza avere in mano il testo della nota di aggiornamento del Def e costretto a difendere una linea che non è la sua, Tria è finito nel tritacarne. Ed è stato bersaglio del tiro incrociato del commissario europeo Moscovici, del vicepresidente della Commissione, Dombrovskis e del ministro francese Le Maire. Tant’è, che Tria ha deciso di interrompere la trasferta. E di disertare l’incontro di oggi dei ministri finanziari europei. La motivazione ufficiale: «Il Def deve uscire, c’è la legge di bilancio da preparare, ho un lavoro impegnativo da fare. Per me è anche la prima volta…». Per Di Maio non ce ne dovrà essere un’altra.

IL MESSAGGERO

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