Milano, cibi surgelati serviti come freschi: il Savini condannato per frode

 

di Gianni Santucci

Era il cliente, senza che nessuno lo avvertisse, per un puro e astratto scrupolo, a dover chiedere al cameriere: «Scusi, i piatti che sto ordinando sono cucinati con alimenti freschi o contengono anche surgelati?».Perché durante un’ispezione dell’Annonaria della Polizia locale, il 10 settembre 2012, gli agenti trovarono i congelatori pieni. Ma sui menù del ristorante il riferimento ai surgelati compariva soltanto «relegato, con carattere minuscolo, a margine delle pagine di presentazione del locale». La frase era: «Gentile cliente, la informiamo che alcuni prodotti possono essere surgelati all’origine o in loco…». Senza asterischi, riflettono i giudici, accanto ai piatti che contenevano congelati. Senza un’avvertenza di «dovuta evidenza, magari collocata in grassetto prima della lista delle pietanze». Dunque alimenti surgelati venivano serviti regolarmente come freschi, ma di fatto senza che i clienti lo sapessero, o fossero messi in condizione di saperlo. Per questo una sentenza appena depositata dalla Cassazione ha condannato l’allora legale rappresentante e presidente del Cda del ristorante Savini in Galleria Vittorio Emanuele per «frode nell’esercizio del commercio». Quattro mesi, con pena sospesa (e non menzione).

La difesa del ristorante (è bene ricordare che i fatti risalgono al 2012 e sono limitati a quel momento) ha puntato sul fatto che l’indicazione sui menù fosse sufficiente per garantire un’informazione corretta ai clienti e che i prodotti congelati venivano usati soltanto in certe condizioni, per un esaurimento delle scorte o un eccezionale e inaspettato afflusso di clienti. Per due volte i giudici di Milano, il Tribunale nel gennaio 2015 e la Corte d’Appello nel giugno 2017, hanno ritenuto insufficienti queste giustificazioni. La condanna di primo e secondo grado è stata appena confermata dalla Cassazione. I giudici hanno ritenuto che non sia stato rispettato «il diritto all’informazione adeguata per il consumatore».

Al Savini, in quel settembre 2012, quel diritto non era garantito «perché l’iniziativa conoscitiva doveva essere presa dal cliente, il quale doveva essere ben accorto». Il ragionamento, nelle motivazioni delle sentenze, è questo: «L’utilizzo di prodotti surgelati o congelati… era evenienza tutt’altro che rara negli esercizi gestiti da Savini»; i menù non davano adeguata evidenza (di fatto tenevano «nascosta») quell’informazione; avrebbe dovuto dunque essere il personale, di propria iniziativa, a specificare se nei piatti ordinati ci fossero alimenti congelati. E se le norme comunitarie equiparano prodotti freschi e surgelati, questo vale dal punto di vista igienico e sanitario, ma non per la buona fede verso i clienti. L’indagine accertò infatti che all’epoca, per prassi, la maggior parte del pesce veniva congelato, anche quello non destinato ad essere servito crudo. E che dentro il locale, il giorno dell’ispezione, non c’erano prodotti freschi analoghi a quelli trovati invece nelle celle frigorifere.

CORRIERE.IT

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