“Berlusconi sapeva dei rapporti Dell’Utri-mafia”

Berlusconi sapeva dei rapporti Dell’Utri-mafia. L’apertura dell’ex senatore di Fi come intermediario di Berlusconi rafforzò i piani di Riina nel 1992. L’invito al dialogo che i carabinieri fecero arrivare al boss Totò Riina dopo la strage di Capaci sarebbe l’elemento di novità che indusse Cosa nostra ad accelerare i tempi dell’eliminazione di Paolo Borsellino. Lo sostengono i giudici della corte d’assise di Palermo che hanno depositato le motivazione della sentenza sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia nel 26esimo anniversario della strage di via D’Amelio.

Berlusconi non poteva non sapere.

“Se pure non vi è prova diretta dell’inoltro della minaccia mafiosa da Dell’Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano”.

Durissime le motivazioni della condanna a 12 anni per Marcello Dell’Utri.

“Con l’apertura alle esigenze dell’associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell’Utri nella sua funziona di intermediario dell’imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992”.

La Trattativa accelerò la morte di Borsellino.

“Ove non si volesse prevenire alla conclusione dell’accusa che Riina abbia deciso di uccidere Borsellino temendo la sua opposizione alla ‘trattativa’ conclusione che peraltro trova una qualche convergenza nel fatto che secondo quanto riferito dalla moglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di morire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi, – scrivono – in ogni caso non c’è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato e di lucrare, quindi, nel tempo dopo quell’ulteriore manifestazione di incontenibile violenza concretizzatasi nella strage di via d’Amelio, maggiori vantaggi rispetto a quelli che sul momento avrebbero potuto determinarsi in senso negativo”.

La corte “smonta” poi le tesi dei legali degli imputati che attribuivano l’accelerazione dei tempi della strage all’indagine mafia-appalti che il magistrato stava effettuando e anche alla possibilità di una sua nomina a Procuratore Nazionale Antimafia.

La sentenza emessa in primo grado nell’aprile scorso ha inflitto condanne a dodici anni di carcere al mafioso Antonino Cinà, agli ex Ros Antonio Subranni e Mario Mori e all’ex senatore di Forza Italia. La sentenza assolse Nicola Mancino.

Nessuna prova che Mancino tentò di scalzare Scotti all’Interno.

Non c’è nessuna prova che l’ex ministro Nicola Mancino abbia chiesto di diventare ministro dell’Interno con l’intenzione di scalzare il suo predecessore Vincenzo Scotti per attuare una politica più morbida nei confronti della mafia. E’ il giudizio della corte d’assise di Palermo nelle motivazioni della sentenza sulla trattativa Stato-mafia. L’ex ministro era imputato di falsa testimonianza, ed è stato assolto.

“Forza Italia appoggiata dai boss per le promesse di Dell’Utri”

“Le promesse o quantomeno la disponibilità manifestata da Dell’Utri per soddisfare le esigenze di Cosa nostra hanno contribuito all’entusiastico appoggio dato da quest’ultima in Sicilia alla nascente nuova forza politica”. Lo scrivono, delle motivazioni della sentenza del processo stato mafia, i giudici della Corte d’Assise di Palermo. Senza nominare in alcuni passaggi Forza Italia, di cui l’ex senatore fu uno dei fondatori, assieme a Silvio Berlusconi, i giudici parlano di un ruolo di Dell’Utri “tutt’altro che neutro, perchè non si sarebbe limitato ad ascoltare e a raccogliere le richieste dei mafiosi, ma avrebbe ancora manifestato disponibilità nel farsi carico delle iniziative del governo Berlusconi. Anche tale atteggiamento ha contribuito all’affidamento riposto in Dell’Utri e Berlusconi dai vertici mafiosi, non soltanto Bagarella e Brusca ma pure Giuseppe Graviano e persino Salvatore Riina, di cui viene citata una intercettazione del 4 ottobre 2013, in cui il capomafia diceva di avere creduto che “lui avrebbe fatto qualcosa…”. I magistrati ricordano che “l’evento del reato contestato non è costituito dai provvedimenti legislativi poi adottati ma esclusivamente dalla percezione da parte di Berlusconi, in qualità di capo del governo, della pressione psicologica operata da Cosa Nostra col ricatto, esplicito o implicito che fosse, della reiterazione delle stragi”. In altri termini la Corte sostiene che Dell’Utri “continuava ad informare Berlusconi di tutti i suoi contatti con i mafiosi anche dopo l’insediamento del governo da quest’ultimo presieduto e vi è la definitiva conferma che anche il destinatario finale della pressione o dei tentativi di pressione, e cioè Berlusconi, mentre ricopriva la carica di presidente del Consiglio, venne a conoscenza della minaccia in essi insita e del conseguente pericolo di reazioni stragiste che una inattività nel senso delle richieste dei mafiosi avrebbe potuto fare insorgere”.

“L’azione del Quirinale fu corretta”

E sul ruolo del Quirinale i giudici scrivono: “La sollecitazione di Mancino è rimasta priva di concreto sbocco poiché la Presidenza della Repubblica e la Procura generale della Cassazione, anche e soprattutto per chiara e ferma presa di posizione dell’allora capo della Dna Grasso, sono stati attenti a non travalicare i limiti delle proprie competenze. La sollecitazione di Mancino è rimasta priva di concreto sbocco poiché la Presidenza della Repubblica e la Procura generale della Cassazione, anche e soprattutto per chiara e ferma presa di posizione dell’allora capo della Dna Grasso, sono stati attenti a non travalicare i limiti delle proprie competenze”.

L’HUFFPOST

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