Bonafede duro con i corrotti ma tace ancora su Lanzalone

«I corrotti devono andare in carcere: occorre certezza della pena per i colletti bianchi».

Tre giorni fa, proprio mentre deflagrava su tutti i media l’inchiesta sullo stadio della Roma che coinvolge nomi eccellenti della politica, il ministro pentastellato della Giustizia, Alfonso Bonafede tuonava contro la corruzione della Pubblica Amministrazione durante il suo intervento per la presentazione della Relazione al Parlamento del Garante dei detenuti. E dato che repetita iuvant il ministro ha ritenuto di rilanciare le sue parole di fuoco contro la corruzione prima su Facebook, sabato scorso, e poi di nuovo ieri sul Blog delle Stelle. «La prevenzione ed il contrasto alla corruzione è uno dei punti qualificanti del programma di governo», afferma il Guardasigilli che si dice «conscio che nessuna lotta al malaffare potrà dirsi credibile se alla condanna per i reati contro la pubblica amministrazione dei cosiddetti colletti bianchi non seguirà un’adeguata o alcuna pena detentiva», ricordando pure che «il numero di questi detenuti è oggi di 370, lo 0,6 per cento del totale». Il ministro afferma che «I cittadini oggi si aspettano una risposta molto chiara e precisa nella lotta alla corruzione».

In realtà visto che il suo nome è stato trascinato nell’inchiesta dal Campidoglio forse i cittadini si aspettano pure una parola chiara in merito all’inchiesta. Eppure dal Guardasigilli non una parola sui rapporti che lo legherebbero al personaggio chiave, l’avvocato Luca Lanzalone attualmente agli arresti domiciliari, o in merito alle dichiarazioni di Virginia Raggi. La sindaca ha confermato anche durante il suo interrogatorio in Procura che Lanzalone le era stato imposto da Bonafede e da un altro ministro del governo giallo -verde, Riccardo Fraccaro. Di questo Bonafede non fa menzione: un riserbo dovuto da parte del ministro, dicono i suoi stretti collaboratori, al grande rispetto che nutre per gli inquirenti. Bonafede non gradisce di essere finito da Guardasigilli nel tritacarne mediatico dell’inchiesta tanto da valutare l’ipotesi di querelare per calunnia chiunque sostenga che sia stato lui ad imporre Lanzalone alla Raggi. Dall’inchiesta emerge in modo sempre più chiaro il ruolo chiave che Lanzalone aveva assunto in Campidoglio. In sostanza per qualsiasi nodo da sciogliere sui fascicoli più spinosi la Raggi invitava i suoi collaboratori a rivolgersi all’ex presidente Acea se non addirittura direttamente a Bonafede e Fraccaro, sui quali poi ha scaricato tutte le responsabilità in merito alla crescita del potere di Lanzalone nella gestione del Campidoglio. Si è invece comportato in modo opposto il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, che non rinnega ma anzi rivendica la sua conoscenza con Lanzalone che per la giunta pentastellata di Livorno curò il concordato dell’azienda dei rifiuti Aamps. Al Fatto Nogarin ieri ha confermato che Lanzalone è stato «scoperto» da lui. Insomma non ci sarebbero di mezzo né Beppe Grillo né Davide Casaleggio. Spiega che con la municipalizzata dei rifiuti in fallimento il comune aveva bisogno di consulenti amministrativi e giuslavoristi e che Lanzalone si dimostrò abile. Nogarin conferma che alle riunioni con Lanzalone all’epoca parteciparono pure Fraccaro e Bonafede. E anche adesso Nogarin si dice convinto del fatto che Lanzalone «sia una persona corretta, un grandissimo professionista».

E per Roberto Maroni il problema è che i Cinquestelle non hanno una classe dirigente e dunque c’è spazio per infiltrazioni che mettono a rischio il governo: «Attenti ai furbetti del quartierino», avverte.

IL GIORNALE

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