Addio divieti. A colpi di sentenze i giudici liberano l’accesso al mare

matteo indice, marco menduni

Il bagnante supera l’ingresso principale d’uno stabilimento privato, non si cura di eventuali stop o richieste di pagamento e raggiunge la battigia, larga non sempre i 5 metri fissati dalla legge. Poi stende l’asciugamano, si tuffa, prende il sole e se ne torna casa, ripassando da dov’era entrato ovvero la medesima entrata sulla carta privata. Possibile? Assolutamente sì, specie alla luce delle ultime sentenze in materia – pronunciate in Sardegna, in Campania e nel Lazio – uno strano mix che proietta la burocrazia fra sole e creme abbronzanti a ridosso della stagione estiva.

I vincoli spazzati

I giudici italiani nell’ultimo biennio hanno riscritto le regole d’accesso al mare, liberandolo da molti vincoli del passato. «Potremmo dire – spiega Gianpiero Cirillo, presidente della sezione del Consiglio di Stato che più deve sentenziare sui contenziosi in materia – che ormai è considerato un bene costituzionalmente garantito, una cosa comune per godere della quale i cittadini non possono essere costretti a fermarsi davanti a barriere invalicabili. E il periodo 2016-2018 ha rappresentato una svolta, i bagnanti hanno molte più facoltà di quanto credano». In ballo non ci sono i singoli micro-divieti sui comportamenti in spiaggia (dai massaggi proibiti a Cervia, ai palloncini fuorilegge in provincia di Taranto per non farli mangiare dai pesci), ma una facoltà tanto basilare quanto – spesso – ostacolata: raggiungere, appunto, il mare.

Per orientarsi bisogna circoscrivere un po’ di numeri e almeno tre pronunciamenti delle toghe. Primo dettaglio: l’Italia è un paese con quasi settemila chilometri di coste e però le spiagge rappresentano poco più della metà, il 52%. Soprattutto: quanta di questa superficie è destinata alle spiagge libere? I dati nazionali non collimano sempre variando le fonti, e le cifre fornite dalle Regioni sono un po’ meno sconcertanti dei report di Wwf e Legambiente. È comunque difficile superare il 45% di lido destinato a tutti, percentuale che crolla al fondo della graduatoria dove compaiono Emilia Romagna (23%), Lazio (15%) e Liguria (14%). Dalle Cinque Terre al confine con la Francia ci sono 357 chilometri di coste, 135 di spiagge dei quali 19 libere. E a snocciolare numeri del genere vengono in mente le parole pronunciate recentemente da Stefano Salvetti di Adiconsum: «Già nel 1976 il Consiglio di Stato evidenziò come in Italia fossero state date troppe concessioni. In quarant’anni sono aumentate del 300% e nel 2008 siamo arrivati a svariate leggi regionali che prevedono per ogni Comune il 40% di appezzamenti liberi, o liberi attrezzati, sul totale. Lo strumento legislativo c’è, bisogna dargli le gambe».

 

La protesta

Eppure i balneari non ci stanno a passare per «occupanti», come spiega Riccardo Borgo che fa parte del direttivo nazionale nel sindacato di categoria: «Da Nord a Sud, su 30 mila concessioni pubbliche i bagni sono circa 13 mila. Ognuno dà lavoro ad almeno due persone della famiglia che lo gestisce e a una media di 4-5 dipendenti. Poi c’è l’indotto, poiché quelle imprese fanno da traino all’intera economia dei luoghi».

Ciononostante le amministrazioni locali hanno ribaltato il proprio approccio. «In un primo momento – spiega ancora Cirillo del Consiglio di Stato – i sindaci erano prudenti e preferivano un’interpretazione restrittiva. E così il diritto d’accesso era consentito solo se il Comune non aveva riservato alla collettività spiagge a uso libero oppure non fosse possibile alcun ingresso alle aree per tutti. In seguito si è affermata una visione contraria e il riflesso sociale degli aggiornamenti burocratici è più importante di quanto si creda».

 

L’ultima spinta è arrivata da tre sentenze: la prima emessa in Sardegna, dove i giudici hanno spiegato agli amministratori della Marina di Gairo (Ogliastra) che per liberare le meraviglie sabbiose di “Su Sirboni” bastano strumenti ordinari, senza avventurarsi in logoranti cause; un’altra dal Tar Campania su Castel Volturno (Caserta), dove la giunta potrà obbligare i titolari di concessione a creare un accesso pedonale per chi deve raggiungere la spiaggia libera a ogni ora del giorno o della notte; la terza su Ostia, con il Consiglio di Stato che ha avallato l’operato del municipio da cui era arrivato l’ok all’apertura di varchi con le ruspe. Va invece meno bene ai cani: i giudici sono diventati più restrittivi e a febbraio il tribunale amministrativo della Liguria, pronunciandosi su Sestri Levante, ha detto che è giusto vietarne l’accesso alla spiaggia.

LA STAMPA

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