Sette giorni di caos trattative ci sono costati 20 miliardi

È stata un’altra settimana negativa per Piazza Affari. Il Ftse Mib, il principale indice della Borsa di Milano, ha ceduto il 4,5% nell’ottava (-2,8% al netto dello stacco delle cedole) e oltre il 7% negli ultimi 15 giorni.

Da quando è entrata nel vivo la trattativa tra la Lega di Matteo Salvini e il M5s per la formazione del governo i titoli quotati in Borsa hanno perso circa 17 miliardi di valore scendendo a quota 635 miliardi di euro (contemplando anche l’erogazione dei dividendi si attesterebbero a 623 miliardi circa). E pensare che lo scorso 7 maggio il Ftse Mib aveva toccato i massimi in chiusura da settembre 2008. E non è tutto. Moody’s ha messo sotto osservazione il rating Baa2 dell’Italia per un possibile downgrade. Lo ha annunciato la stessa agenzia in un comunicato, evidenziando le criticità – rischio di indebolimento del bilancio e stallo delle riforme istituzionali – che rendono necessario mettere l’Italia sotto osservazione. Moody’s comunque ritiene basso il rischio che l’Italia esca dall’Eurozona.

Forte tensione, dunque. Lo spread ieri nel corso della seduta è risalito a quota 217 toccata a giugno 2014 (quando il paese era ancora in fase recessiva) per poi scendere a 206 per un rendimento del Btp decennale fissato 2,47 per cento. Si tratta del più elevato interesse garantito nell’area euro dopo quello del titolo greco di pari durata. L’Italia è percepita come più rischiosa della Spagna (che però soffre una crisi di governo) e persino del Portogallo. Nell’ultima settimana, secondo le stime di Epfr Global, gli investitori hanno ritirato dai fondi azionari italiani la cifra record di 380 milioni di dollari, la più alta dalla metà del 2014. Per ora l’impatto sul costo dei 2.300 miliardi di debito pubblico, garantiti dai titoli di Stato, è irrisorio. Se, però, questi valori dovessero confermarsi nel lungo termine, l’effetto sarebbe stimabile nell’ordine di una quindicina di miliardi di euro nell’arco di un triennio.

La domanda alla quale rispondere non è: «Salvini, Di Maio e il professor Conte sono pericolosi per i mercati e anche per i nostri risparmi?». Il quesito più appropriato è «Perché sembra venir meno la fiducia nei confronti dell’Italia?». Il famigerato contratto di governo, già ampiamente analizzato, presuppone una serie di conseguenze giudicate negativamente dagli addetti ai lavori. In primo luogo, mancando di coperture adeguate (bene che vada paiono mancare una quarantina di miliardi all’appello per dual tax, reddito di cittadinanza e superamento della riforma Fornero, sterilizzazione degli aumenti Iva), è scontato che prima o poi, dopo Moody’s, un’altra agenzia di rating minacci di abbassare la valutazione dell’Italia che è attualmente «BBB» per S&P e Fitch, due gradini sopra il livello «spazzatura». Senza rating «investment grade» (almeno «BBB-») la Bce non può acquistare i nostri Btp né può accettarli come contropartita dalle banche europee nelle operazioni di rifinanziamento. Di lì all’avvento della Troika il passo sarebbe breve.

Si può pensare che si tratti di un avvertimento poco gentile non corroborato dai fatti (il Pil crescerà anche quest’anno e l’incremento del deficit dovrebbe essere contenuto), ma di sicuro l’atteggiamento di sfida tenuto da Salvini e di Maio non aiuta. Tanto più che la flat tax annunciata avrà una ricaduta negativa sui bilanci bancari in termini di deduzione fiscale delle perdite su crediti dalle imposte differite (se il carico fiscale scende, si possono scaricare meno sofferenze). Se aggiungiamo che l’Ecofin ha approvato nuove restrizioni in termini di accantonamenti prudenziali, trovano una spiegazione i pesanti cali registrati ieri dalle banche. Le performance peggiori sono state quelle di Banco Bpm (-7,3%), di Fineco (-4,3%) e di Mediobanca (-4%). Giù di quasi il 4% Intesa Sanpaolo e di oltre il 3% Unicredit. L’indice Ftse All Share Banks ha perso il 15,2% dal 15 maggio, quando Lega e M5S si misero al lavoro sul contratto. Non è una coincidenza, è un messaggio chiaro.

IL GIORNALE

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